
(foto Ansa)
Un reato "spia"
Il calvario dell'abuso d'ufficio per i sindaci. Parlano Nardella e Zambuto
L'ex sindaco di Firenze commenta la decisione della Consulta di considerare non incostituzionale l'abrogazione. Zambuto racconta la sua esperienza di condannato e assolto "perché il fatto non sussiste"
“Proprio i primi cittadini hanno sempre sostenuto, in larga maggioranza, l’esigenza di una profonda revisione – se non dell’abolizione – di un reato vissuto come una vera e propria spada di Damocle su chi cercava di amministrare con responsabilità e impegno”, dice Nardella. "Un reato dal carattere tipicamente inquisitorio: serviva per entrare all’interno di un’amministrazione e poi, con una sorta di pesca a strascico, andare a vedere che cosa ci si trova. Abbiamo vissuto anni di barbarie giuridica". dice Zambuto.
L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio prevista dalla riforma Nordio non è incostituzionale: lo ha deciso ieri la Consulta. E’ una sorta di Nemesi per gli amministratori (sindaci, presidenti di Regione) che con quel reato dalle maglie mobili si sono duramente scontrati – alcuni anche perdendo mandato, denaro, serenità. “La Corte Costituzionale”, dice l’ex sindaco dem di Firenze ed europarlamentare Dario Nardella, “si è espressa sulle questioni di legittimità sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di Cassazione, riguardo all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio prevista dalla legge n. 114 del 2024. In sostanza, la Consulta ha stabilito che non esiste alcun obbligo costituzionale o internazionale di prevedere tale fattispecie nel nostro ordinamento. Accogliendo solo le questioni relative agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Merida delle Nazioni Unite contro la corruzione, la Corte le ha però dichiarate infondate, affermando che dalla Convenzione non discende né l’obbligo di introdurre il reato di abuso d’ufficio né il divieto di abrogarlo qualora già esistente”. E quindi, dice Nardella, la sentenza conferma la legittimità di un provvedimento “su cui il governo Meloni ha cercato di rivendicare il merito, ma che in realtà affonda le radici in istanze trasversali, nate ben prima, e portate avanti da numerosi soggetti, in primis i sindaci italiani”. Spesso vittime. “Proprio i primi cittadini, infatti, hanno sempre sostenuto, in larga maggioranza, l’esigenza di una profonda revisione – se non dell’abolizione – di un reato vissuto come una vera e propria spada di Damocle su chi cercava di amministrare con responsabilità e impegno”. I dati parlano chiaro, dice l’ex sindaco di Firenze: “I procedimenti per abuso d’ufficio raramente giungevano a sentenza, e quando ciò accadeva si concludevano quasi sempre con un’assoluzione. Ma soprattutto, l’esistenza stessa di quel reato, nella sua formulazione vaga, finiva per generare un clima di incertezza e paura tra gli amministratori, paralizzando spesso le decisioni più importanti per il bene delle comunità locali. Oggi la Consulta mette un punto fermo: le preoccupazioni espresse da tanti sindaci non erano infondate. Era – ed è – una battaglia di buon senso che non ha niente a che vedere con il furore ideologico di chi vuole la riforma della giustizia al solo fine di indebolire la magistratura”. Furore ideologico anche quello vissuto sulla propria pelle da Marco Zambuto, ex sindaco azzurro di Agrigento condannato a due mesi e venti giorni nel 2014 per l’“abuso” dell’acquisto (per seimila euro) di due pagine pubblicitarie su un quotidiano locale per pubblicizzare la Fondazione Pirandello di cui il sindaco era presidente, con l’accusa di voler in realtà promuovere la sua attività politica. Dopo la condanna, Zambuto si era dimesso, senza aspettare la sospensione prevista dalla legge Severino. Dopo pochi mesi, sempre nel 2014, la Corte d’Appello di Palermo lo aveva assolto con formula piena: “Il fatto non sussiste”. Solo che ormai si era appunto dimesso. Oggi Zambuto tira retrospettivamente un sospiro di sollievo alla notizia della decisione della Corte: “E’ un segnale importante. All’interno del nostro ordinamento ci sono norme che puniscono reati contro la Pubblica amministrazione. Questo invece era una sorta di reato spia, dal carattere tipicamente inquisitorio: serviva per entrare all’interno di un’amministrazione e poi, con una sorta di pesca a strascico, andare a vedere che cosa ci si trova. Nel mio caso, come in altri, nulla. Accuse assurde che infatti si sono rivelate totalmente infondate. Ma la cosa più grave, guardando indietro, è che spesso, attraverso il reato di abuso d’ufficio, si delegittimava un organo politico eletto direttamente al popolo, organo politico che si assumeva la responsabilità della soluzione dei problemi. Le mie dimissioni sono state motivate proprio da questo ragionamento: mi ero assunto una responsabilità; se non mi fossi dimesso sarei stato comunque sospeso e avrei fatto pagare un prezzo alto alla cittadinzanza. Ho preferito pagarlo io, anche se ero stato rieletto per un secondo mandato”. Assolto con formula piena: una vittoria che era parsa una beffa? “Abbiamo vissuto anni di barbarie giuridica”, dice Zambuto, “anni che hanno portato a un populismo devastante votato alla gogna e in cui non c’era nessun rispetto per i principi di civiltà giuridica e si chiedeva subito la testa del politico. Un retaggio di Tangentopoli, ma per fortuna abbiamo un ordinamento giuridico in grado di resistere”.