Il racconto

Gioielli, vestiti, tappeti, abiti, quadri ma anche riso e uno skate: ecco il tesoro di Meloni

Simone Canettieri

Ecco la lista dei doni istituzionali ricevuti finora dalla premier: oggetti preziosi (e non)  custoditi sotto chiave a Palazzo Chigi. Se superano i 300 euro  di valore non possono essere portati via 

E' la stanza del tesoro salgariano di Giorgia? O forse il caveau di Meloni – dove sono custoditi i regali donati alla premier – altro non è che un fantastico bazar più in stile Porta Portese che il deposito di zio Paperone dentro cui tuffarsi la mattina? La pulce nell'orecchio l'ha messa il deputato di Italia viva Francesco Bonifazi con una interrogazione birbante, depositata un mese fa, per verificare “l'elenco dei regali superiori a 300 euro ricevuti dalla premier”. E per capire, soprattutto, “se ho restituito la differenza dei regali superiori a 300 euro che ha tenuto nella sua disponibilità”. Malizia delle malizie. Il Foglio ha ricostruito la lista dei cadeaux dichiarati da Palazzo Chigi, depositata al sindacato ispettivo della Camera in risposta all'interrogatorio del parlamentare renziano. Undici pagine di souvenir catalogati: dalla ciotola di Joe Biden a un paio di scarpe pitonate, che se le vede Daniela Santanchè è la fine. 

 

 

      

I regali dichiarati da Giorgia Meloni si trovano in una stanza mitologica, chiusa a chiave, al terzo piano di Palazzo Chigi, gestita dal cerimoniale della presidenza del Consiglio (gli oggetti più ingombranti nei locali di via della Mercede). Non può portarseli a casa, se superano 300 euro di valore. Al massimo possono finire all'asta per beneficenza o esposti in una mostra, così dicono le varie circolari anticorruzione che si sono susseguite in questi anni, decenni, dopo – si immagina – episodi poco edificanti capitati a precedenti governi. I doni istituzionali raccontano – tipo le calamite da frigorifero per noi comuni mortali – i viaggi (ei ricevimenti). In Italia e all'estero. E allora ecco i cappelli da alpino e da bersagliere, donati alla premier quando ha partecipato ai rispettivi raduni di Udine e di Ascoli. E poi come dimenticare il foulard grigio punteggiato da fotoritratti di abitanti albanesi del Novecento che le ha regalato il primo ministro-artista Edi Rama lo scorso 15 gennaio – genetliaco meloniano – un margine di un vertice sull'energia ad Abu Dhabi inginocchiandosi al cospetto della capa della destra italiana? La quale, sempre quel giorno, riceverà un vaso alto, un vaso basso e una preziosa mattonella. Le missioni ei rapporti in Libia, invece, hanno prodotto statuette a forma di cammello, ma anche vasi della tradizione.

  

     

E non solo: un set di tappeti, due bracciali in metallo, quattro quadri, un piattino in metallo, gioielli, una collana, un altro bracciale, un anello, orecchini, ancora un quadro e una targa. Il primo ministro uscente della Romania Marcel Ciolacu quando si è presentato a Palazzo Chigi per un vertice intergovernativo ha bussato con i piedi perché aveva le mani impegnate da un costume tradizionale composto dalla tipica camicia di lino – “Ia” si chiama – tempestata da croci rosse pronte a proteggere chi indossa l'indumento (accompagnato da una lunga gonnellona rossa ricamata: a occhio e croce poco meloniana come stile). Senza innescare derby a Est bisogna però raccontare la classe di Peter Pellegrini, presidente della Slovacchia, che per non sapere né leggere né scrivere lo scorso 14 gennaio si è affacciato al bilaterale con una graziosa parure composta da spilla, orecchini, anello e porta gioielli. Certo, nulla a che vedere, forse, con una catenina di diamanti, oro e citrino che le diede il presidente dell'Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev nel gennaio 2023. Il tutto con un bel mazzo di fiori rosa e lilla, per non sembrare cafone, forse.    

    
La consuetudine con il presidente ucraino Zelensky ha un risvolto digitale che, a voler essere un po' cervellotici, porta con sé un significato tipo “non perdiamoci mai di vista” “restiamo sempre in contatto”. Perché? Nella lista depositata al terzo piano di Montecitorio, e che questo giornale può raccontare con dovizia di dettagli, c'è un iPad. Sicuramente più utile dei quadri del dittatore egiziano al-Sisi, che regala nature morte e mezze verità sugli italiani – Giulio Regeni – morti nel suo paese. “La stanza di Giorgia” comprende anche acquarelli dalla Moldavia e una bambolina made in Puglia, catalogata come “dono della regione”: si tratta di un presente del governatore Michele Emiliano per il G7 dell'estate scorsa a Borgo Egnazia. Colpisce la delicata classe da lord del roccioso Viktor Orbán: un set di porcellane pregiate con servizio caffè Herend, celeberrimo marchio storico ungherese usato anche dalla Regina Vittoria. E, dopo il tè e il caffè, sei bottiglie di vino bianco, sempre orbaniano (anche se il primo ministro, si sa, ama la vodka). In questo giro del mondo in una stanza non poteva mancare la statuetta di Javier Milei, di viola vestito, con motosega guizzante. E poi, certo, c'è “Melodi”: la coppia Giorgia-Narendra Modi (primo ministro indiano) che decine di migliaia di follower ha portato alla presidente del Consiglio. Qui i regali sono due, donati in altrettante occasioni: per il G20 di Bali, il vestito tipico del Kerala, una roba molto chic in cotone grezzo, decorato con oro o strisce colorate ai bordi; e poi un immancabile tappeto indiano. 

    
L'importante è il pensiero. Se il presidente pakistano Sharif si è presentato con una confezione di riso, il re del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalifa ha pensato a un vaso di fiori, con uno scrittoio contenente una valigetta rossa con cofanetto e cintura con oro e perle. Niente Rolex, ma sibaritiche scarpe di pitone blu con stiletto e tacco oro dello stilista saudita Alhumaid: questo, si legge, è stato il dono di Kamel Al Munajed, presidente del Business forum saudita. Viaggi e miraggi, curve nella memoria, regaloni e simboli: un pezzo di cavo ad alta conduzione del Cern di Ginevra con biglietto della direttrice Fabiola Giannotti, un crest della Nato dall'Iraq, trucchi dal Giappone e poi questo sì che è divertente: uno skateboard made in Montesilvano per scorrazzare metaforicamente su e giù nella maggioranza.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.