
Referendum, banche, Pd, Meloni. Parla il libdem Marattin
I referendum all’orizzonte, i movimenti sullo scenario finanziario dopo la mossa di Mediobanca e il “Puam, Partito unico antimercato”. Il deputato Luigi Marattin, eletto con Italia Viva e oggi cofondatore del neonato partito Libdem, lo descrive così: “Il Puam, per esigenze televisive, si divide in due curve ultra chiamate convenzionalmente ‘destra’ e ‘sinistra’”. Un’impostazione da curva, dice al Foglio Marattin, che in vista dell’8 e 9 giugno dilaga: “I referendum sono il riflesso condizionato di una sinistra ideologica che, come ha fatto notare persino la Corte Costituzionale riguardo a uno dei quesiti, preferisce danneggiare i lavoratori piuttosto che ammainare un vessillo ideologico. E il fatto che il Pd abbia addirittura raccolto le firme la dice lunga sul fatto che lo schieramento di centrosinistra sia ormai una classica offerta politica di sinistra radicale, à-la-Bernie Sanders e Alexandra Ocasio Cortez. Andrebbe spiegato a chi ancora si illude di poterli ‘moderare verso il centro’”. Il riferimento è agli ex compagni di strada che il Jobs Act lo hanno votato, ma che cosa propongono i Libdem? “C’è bisogno di molto altro”, dice Marattin: “Oltre a sistemare per via legislativa alcune incongruenze che in questi anni gli interventi della Corte costituzionale hanno prodotto, occorre pensare a un Jobs Act 2. Se il primo era mirato all’occupazione, e ha avuto pieno successo come si vede dai dati di questi anni, il secondo deve essere rivolto a un’altra esigenza: aumentare le retribuzioni”. In pratica, che cosa bisognerebbe fare? “Detassazione completa sia dei premi di produttività (togliendo il limite dei tremila euro di premio) sia degli aumenti retributivi derivanti dalla contrattazione territoriale e o aziendale. Dove imprese e lavoratori si mettono d’accordo per fare più e fare meglio, lo Stato alza le mani e si ritira. E poi: una riforma della contrattazione, in modo da dare più peso alla contrattazione decentrata – lì si realizza infatti il vero scambio tra produttività e salari. Bisognerebbe inoltre tenere presente il fatto che, con imprese di tre o quattro dipendenti, i salari non cresceranno mai. Mettiamo allora in campo una grande strategia per favorire la crescita dimensionale delle imprese”. Mondo del lavoro fermo, finanza in movimento? “Nella vicenda di Mediobanca si intravede ancora uno dei difetti originari della nostra politica”, dice Marattin: “Usare la finanza per provare a costruire e consolidare reti di relazione e, in ultima analisi, consenso. E’ stato così fino agli anni Novanta, quando le banche erano enti di diritto pubblico e per sapere chi le guidava occorreva aspettare gli esiti dei congressi dei partiti; ma è rimasto così anche dopo – si veda per esempio il celebre ‘abbiamo una banca’ di Piero Fassino sul caso Unipol”. Che cosa dovrebbe fare il governo, secondo voi? “Esca da Mps”, dice Marattin, “ritiri quel ridicolo provvedimento di golden power sulla vicenda UniCredit -Bpm, smetta di sostenere implicitamente questa o quella cordata di nuovi ‘capitani coraggiosi’. In un’economia di mercato moderna, il potere pubblico interviene in queste cose solo tramite le autorità di regolamentazione, per tutelare la concorrenza”. La soluzione si può trovare a livello europeo? “Tutti fanno a gara per dire che ‘l’Europa deve parlare con una voce sola’, che ‘deve poter competere con Usa e Cina’, che ‘ci vuole il mercato unico dei capitali’ e poi si alzano le barricate quando due realtà del risparmio gestito, l’italiana Generali Investment holdings e la francese Natixis, provano a fondersi per creare un campione europeo? Si fanno i lamenti sul ‘risparmio della signora Maria’, ma il tema vero è un altro: si teme che non basti più una telefonata di ‘moral suasion’ per far comprare il debito pubblico italiano e tenerlo fino a scadenza, indipendentemente dalle fluttuazioni di mercato. Perché l’altro nome del Puam è il Pusp, Partito unico della spesa pubblica”. I Libdem si presentano nella veste di opposizione costruttiva. Che cosa salvare dell’opera del governo? “Meloni si muove molto bene in politica estera. Ma dobbiamo chiederci perché, invece, in politica interna stenta così tanto a fare le riforme di cui l’Italia ha bisogno. La risposta è semplice: ha costruito il suo consenso con contenuti e classe dirigente incompatibili con quello che serve all’Italia del 2025. In più, ha i sovranisti populisti di Salvini come seconda forza della coalizione. Ma questi sono anche i risultati di questo pessimo bipolarismo”.
