
Il racconto
Il cortocircuito populista di Meloni sugli stipendi dei ministri. Giuli: "Il mio aumento? Lo donavo a Renzi"
La retromarcia della premier e di Crosetto sull'emendamento che equiparava gli stipendi dei non parlamentari. Critiche nel partito a Donzelli. E torna il derby FdI-M5s
“Peccato”. Cosa ministro Giuli? “Peccato che l’equiparazione del mio stipendio a quello dei parlamentari non sia passata”. E’ serio? “Certo, altrimenti l’avrei devoluta interamente a Matteo Renzi, che ha sempre bisogno di qualche paghetta. L’avrei data in beneficenza a lui”.
Dice così perché il leader di Iv ce l’ha con lei? “Ma non ce l’ha con me, è fatto così...”. Poi il ministro della Cultura scompare dalla galleria della Camera, avvolto in una nuvola di fumo, per tornare al Collegio Romano. Tra veleni e retromarce questa faccenda degli stipendi dei ministri e sottosegretari non eletti non è banale. Ne parla Giorgia Meloni in Aula, le opposizioni, Pd e M5s, la usano per inzupparci il biscotto della polemica. La riformulazione dell’emendamento che alla fine destina solo 500 mila euro per i rimborsi spese dei non parlamentari ha tenuto inchiodato governo e maggioranza in commissione durante la maratona per la manovra. Un discreto cortocircuito populista che ha travolto Fratelli d’Italia.
D’altronde la premier due cose non sopporta: di essere scavalcata a destra e di scoprirsi sul fronte del consenso che spesso fa rima con il populismo, per chi come lei viene da una lunga gavetta all’opposizione. L’idea, motivata e legittima, era di Guido Crosetto, massimo rappresentante, insieme al ministro dell’Interno, della categoria dei non eletti: 17 esponenti di governo e sottogoverno su 65. Un incremento di circa 7 mila euro al mese lordi. La proposta aleggiava già da un anno. Se ne discusse anche in Consiglio dei ministri, ma per motivi di consenso venne stoppata da Meloni. Fino a quando spunta sotto forma di emendamento. In Via della Scrofa e a Palazzo Chigi dicono che l’ispiratore sia Crosetto attraverso Monica Ciaburro, cuneese come il ministro della Difesa. Opposizioni sulle barricate. Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, difende l’incremento in tv, ai microfoni di “Tagadà” e dice due cose: Difende la possibilità “di un tecnico di prendere lo stesso stipendio di chi fa politica, altrimenti non ci possiamo lamentare se al governo ci sono solo politici”. E poi aggiunge che non è giusto che un ministro non eletto “prenda meno di un parlamentare che schiaccia un bottone”. Parole che in un partito, come quello meloniano che della supremazia della politica sulla tecnocrazia ha fatto un marchio di fabbrica, provocano disturbo. Per non parlare del passaggio sugli schiaccia bottoni, visto che FdI ha il gruppo più numeroso. C’è chi si sfoga nelle chat interne contro questa uscita del Donze. Tutti contro tutti. Fino a quando la questione finisce sul tavolo della commissione bilancio, riunita per tutta la notte alle prese con la manovra. Questa misura di “equità”, a mano a mano che le opposizioni trovano una breccia, preoccupa il governo. Anche qui Meloni contro Meloni: chi la conosce sa quanto le costi ingranare la retromarcia davanti agli attacchi di chi non fa parte della sua maggioranza. Lo considera lesa maestà. E quindi è di nuovo Crosetto a spuntare su X con un lungo post in cui annuncia il ritiro dell’emendamento, che sarà poi riformulato con un fondo da 500 milioni, perché “quello che non sarebbe comprensibile per nessuna altra professione e cioè che due persone che fanno lo stesso lavoro, nella stessa organizzazione, abbiano trattamenti diversi, per chi fa politica deve essere messo in conto”. Crosetto la caldeggiava, Crosetto la fa ritirare. Su spinta della premier. Che non a caso in Aula plaude al ministro della Difesa e prova a buttare la palla avvelenata nell’altro campo: ovviamente contro il M5s, partito populista purissimo e garantito al limone. “Sono d’accordo con il ministro sul ritiro dell’emendamento, ma si trattava di equiparare due trattamenti. Non credo che l’attenzione della legge di Bilancio debba essere spostata per un’iniziativa del genere. Ma eviterei, però, di farmi dare lezioni dai colleghi del Movimento 5 stelle da chi dà 300 mila euro di soldi pubblici a Beppe Grillo, anche no”. In questa fumisteria di slogan, di vorrei ma non posso, di equità che fa rima, chissà perché, con onestà si perde come spesso accade il merito della vicenda. Dalla presidenza del Senato interviene Ignazio La Russa – che nel 2023, come informa l’Adnkronos, ha denunciato un imponibile di 343 mila euro – per dirimere la questione: “Allora abbassiamo gli stipendi dei parlamentari”. E subito dal M5s ecco Alessandra Maiorino: “Siamo pronti a tagliarci lo stipendio”. La lotta alla casta è come la lontananza di Domenico Modugno “spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi”.