i fantasmi dell'antimafia
Scarpinato vede l'ombra di Mori dietro Colosimo. E Di Matteo piccona la Cassazione
Il senatore grillino ha individuato nell'ex capo del Ros il responsabile “esterno” dell’iniziativa che il centrodestra sta portando avanti per allontanarlo dalla commissione Antimafia. Intanto l'ex pm della Trattativa torna ad attaccare la Cassazione, che assolse gli imputati
Abituato a vedere entità inafferrabili dietro a ogni evento, a partire dalle stragi mafiose del 1992-1993 (che da pm ha attribuito, senza mai trovare uno straccio di prova che reggesse sul piano giudiziario, a un’alleanza misteriosa tra mafia, destra eversiva, servizi segreti deviati e massoneria), il senatore grillino Roberto Scarpinato ha individuato in Mario Mori, ex capo del Ros, il responsabile “esterno” dell’iniziativa che il centrodestra sta portando avanti per allontanarlo dalla commissione Antimafia di cui fa parte. Dopo la pubblicazione della notizia delle conversazioni avute da Scarpinato con l’ex collega Gioacchino Natoli prima dell’audizione di quest’ultimo in Antimafia, il centrodestra ha depositato una proposta di legge per escludere dai lavori di Palazzo San Macuto i parlamentari che si trovano in una “situazione di conflitto di interessi” con i fatti esaminati dalla commissione.
Intervenendo alla presentazione di un libro lunedì sera a Roma, Scarpinato ha attaccato la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, accusandola sostanzialmente di subire le influenze “malvagie” del generale Mori: “Quando si è istituita la commissione sono rimasto molto perplesso perché la televisione ha mandato un filmato in cui si vedeva Colosimo che riceveva anche il generale Mario Mori. All’uscita di questo incontro, uno di coloro che avevano partecipato ha detto ai giornalisti: ‘Abbiamo posto un problema di conflitto di interessi di quelli che stanno qui dentro’. Quindi prima ancora che cominciassero i lavori hanno posto il problema che io avevo un conflitto di interessi”. Sarà pure andato in pensione, ma la logica di fondo di Scarpinato resta la stessa mostrata quando era pubblico ministero: il complottismo.
Poco prima di attaccare Colosimo, Scarpinato si era lanciato in una sorta di requisitoria proprio contro Mori, con accuse infamanti: “Com’è possibile che i Carabinieri, Mori, abbiano ingannato la procura di Palermo e gli hanno fatto credere che non sarebbe passato uno spillo da quella casa senza che loro lo controllassero?”, ha detto riferendosi alla vicenda della mancata perquisizione del covo di Riina nel 1993. “I mafiosi hanno svuotato la casa e hanno fatto sparire tutti i documenti”, ha aggiunto. Peccato che, come spiegato più volte da Mori, non solo non si trattava del covo di Riina, bensì della casa dei famigliari del boss mafioso (in cui con molta probabilità non c’era niente), ma l’operazione del Ros fu autorizzata dalla procura di Palermo, che non fu affatto ingannata. Per la vicenda, comunque Mori è stato assolto in via definitiva dall’accusa di favoreggiamento a Cosa nostra.
Scarpinato ha poi alzato ulteriormente il tiro: “Come è possibile che abbiano favorito la latitanza di Provenzano nascondendo addirittura alla magistratura che avevano individuato l’autista di Provenzano?”. Peccato che, anche in questo caso, Mori sia stato assolto in via definitiva dall’accusa di aver favorito la latitanza del boss corleonese.
Ancora, Scarpinato ha pure accusato Mori di “essersi visto passare sotto il naso, senza informare nessuno” Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale e condannato per la strage di Bologna, che si sarebbe recato in Sicilia nel 1991-1992, prima delle stragi. In verità, l’intero caso Bellini, come abbiamo già scritto su queste pagine, è stato valutato nel processo sulla trattativa stato-mafia e si è rivelato essere un grandissimo bluff, fondato sul nulla.
Anche il processo sulla Trattativa, naufragato miseramente in Cassazione con l’assoluzione di tutti gli uomini delle istituzioni (incluso Mori), è stato oggetto di discussione nella serata di lunedì. L’incontro ha infatti registrato anche l’intervento di Nino Di Matteo, ex pm della Trattativa, oggi sostituto alla procura nazionale antimafia. Dopo un anno e mezzo dalla sentenza, Di Matteo è tornato ad attaccare pubblicamente la Cassazione, che a suo dire “è entrata nella valutazione dei fatti”, quindi esondando dalle sue competenze. Per Di Matteo, la pronuncia “costituisce un monito per la magistratura”, insomma un messaggio per tutte le toghe: “I processi non possono ricostruire vicende complesse come quelle delle stragi ma si devono limitare a vedere chi ha ucciso il morto a terra”.
E’ solo l’ultimo attacco di Di Matteo alla sentenza della Cassazione, da lui già definita in precedenza “un colpo di spugna che cancella vicende troppo scabrose per il paese”. Il pm ha anche parlato di “verità troppo scomode”: “Il sistema stato non poteva consentire che in una sentenza definitiva restassero consacrati rapporti di dialogo e scambio con il nemico dichiarato nel periodo delle stragi”. Un modo per mettere in dubbio, di fatto, l’indipendenza dei giudici di Cassazione. Allora la domanda sorge spontanea: può un magistrato della procura nazionale antimafia attaccare di continuo la Corte di cassazione, mettendone in dubbio l’imparzialità? Per il Csm è tutto normale?
L'editoriale del direttore