il leader di italia viva
Battere Meloni si può. Intervista a Matteo Renzi
Il dopo Sangiuliano, l’amichettismo, le nuove coordinate del centrosinistra, i punti d’incontro persino con Conte, il ruolo dell’Italia in Europa, le guerre, gli influencer di governo e una previsione: il governo non durerà molto. Una chiacchierata a tutto campo con l’ex premier
Pubblichiamo l’intervista integrale fatta dal direttore Claudio Cerasa a Matteo Renzi, senatore e leader di Italia viva, a Roma, il 5 settembre, aggiornata dopo le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Claudio Cerasa: Senatore Renzi, il caso Sangiuliano cosa ci dice dello stato di salute del governo Meloni?
Matteo Renzi: Ci dice che abbiamo avuto un ministro della Cultura che ha portato per due anni la sua tracotante arroganza in giro per l’Italia. Però noi l’abbiamo detto dal primo giorno, nel silenzio degli altri perché Sangiuliano era intoccabile: gli unici che menavano forte sulle politiche culturali di questo paese siamo stati noi. Il ministro dei Beni culturali è il ministro che ha il lavoro più bello che può fare oggi un ministro in Italia. Ricordo che Obama, quando venne in visita a marzo 2014, disse a Franceschini davanti al Colosseo: “Tu fai il mestiere più bello che può fare qualcuno in Italia. Sei il guardiano dei sogni e dell’eredità di un paese che è la patria del bello”. Con Sangiuliano eravamo allo zimbello, non al bello. E’ stata una commedia all’italiana strepitosa. Ha insistito dicendo che lui su Pompei stava facendo un sacco di cose. Tutto quello che è stato fatto a Pompei – non la parte della dottoressa Boccia – è impostato da un signore che si chiama Massimo Osanna, che noi abbiamo voluto a governare questo grande progetto perché nessuno ricorda, in questo paese, che Pompei faceva notizia per i crolli dei muri. Perché andava a pezzi. E un governo è intervenuto e ha messo i soldi dell’Unione europea: Pompei è tornata a passare da meno di due milioni di visitatori a più di quattro l’anno prima del Covid. Noi siamo orgogliosi di aver fatto notizia su Pompei per questa cosa. Sangiuliano no. Sangiuliano, al di là di alcune tesi meritevoli – secondo me, su uno che spiega che Cristoforo Colombo segue le direttive di Galileo e Galileo non è ancora nato, ha ragione la Meloni: è uno che riscrive la storia, la geografia, tutto – ha lasciato il ministero per sei mesi nel litigio con Sgarbi. Noi siamo a un punto in cui il paradosso di questo ex ministro è che Sgarbi sembra quello serio dei due. E di fronte a tutta questo io mi domando: ci sarà qualcuno di destra al governo che pensa alla credibilità sui temi della cultura? Perché alla prima occasione di dimostrare l’egemonia culturale della destra hanno messo qualcuno che non vedono l’ora di rimandare a casa – poi purtroppo lo mandano alla Rai, ma questa è un’altra storia. Ho un’idea delle istituzioni italiane in cui il ministro della Cultura fa notizia perché educa un ragazzino a entrare in biblioteca, a teatro, in un museo, ad arricchirsi con l’idea della cultura. Non a fare le figuracce spaziali che l’Italia ha fatto in tutti i consessi internazionali, a cominciare dal G7”.
CC: Insisto, che cosa ci dice questa storia del governo Meloni?
MR: Ci dice che questo è il governo dell’amichettismo. Questi non sono cattivi, hanno una concezione proprietaria delle istituzioni. Per cui se c’è un rapporto particolare, quello se la porta dietro. Se c’è il treno in ritardo, quello lo ferma. Se va a Capodanno e c’è una pistola, quell’altro spara. Loro sono così. Hanno una concezione delle istituzioni che è di questo livello. Ed è mortificante per il paese. Dopodiché, ad agosto la notizia è che io stavo organizzando un complotto: io e il Fatto quotidiano insieme. Ragazzi, questa è fantastica. E’ bastato scrivere al presidente La Russa “ci convochi la Meloni per capire questo complotto chi l’ha fatto”, che improvvisamente il complotto è sparito. Ma ora l’abbiamo capito: il complotto se lo sono fatti da soli. Non c’è bisogno di farne altri, basta lasciar libero Sangiuliano. A partire dalle persone che nomina in Ales – prima o poi anche lì verrà fuori: trovo imbarazzante che alla gestione della società del ministero della Cultura mettano il consigliere comunale di Frosinone, un imprenditore che con la cultura non ha niente a che fare, ma che penso sia nel cerchio magico della famiglia Meloni, e ora che non c’è più Sangiuliano vogliamo sapere chi gli ha chiesto di nominare Tagliaferri all’Ales, vogliamo avere l’elenco delle assunzioni, vogliamo conoscere gli appalti: magari il nuovo ministro, Alessandro Giuli, ci aiuterà a fare chiarezza, no? Vede, ci hanno raccontato che questo non è il governo dell’amichettismo. Pensa se lo fosse stato: chi mettevano, il cane di famiglia al ministero? E’ un governo imbarazzante per la sua mediocrità. E, rispetto anche al tema di Sangiuliano, c’è un filo conduttore che riguarda questo governo, anche quando si parla di cultura, e quel filo è il complottismo. Ho sentito dire che al governo, forse anche a Palazzo Chigi, qualcuno è convinto che dietro il caso Sangiuliano ci siano Matteo Renzi e Salvo Nastasi.
Mi verrebbe da dire: purtroppo no, non c’entriamo nulla, sono stati bravissimi da soli, sono registi, attori protagonisti, attori non protagonisti, comparse, hanno fatto tutto da soli, e anche qui il complotto è un’altra arma di distrazione di massa, o forse dovrei dire di masseria. Mi auguro, a proposito di Sangiuliano, che tornando in Rai abbiano il pudore di non mandarlo in qualche direzione, e se davvero dovesse essere messo a capo di una testata un uomo così schierato saremmo davvero oltre la decenza. Quanto a Giuli, a cui va il mio in bocca al lupo, siamo anche qui alla quintessenza dell’amichettismo. Lo attendiamo comunque alla prova dei fatti, e diciamo che rispetto ad alcune uscite del passato, quando definiva Putin un patriota alla festa di CasaPound, non può che migliorare. Fatti, sì, di che tipo? Beh: per esempio dovrebbe reintrodurre subito app18, il bonus cultura per i minorenni. Vediamo cosa farà. Ma vede, più in generale, il punto è questo: siamo di fronte a un governo mediocre, mediocre, mediocre.
CC: Ma se ci sono così tanti elementi di fragilità in questo governo, perché i partiti che fanno parte di questa maggioranza godono ancora di un consenso notevole certificato dalle ultime europee?
MR: Beh, intanto c’è una responsabilità dell’opposizione: immagino che ne parleremo ed è anche il senso della nostra svolta estiva. Ma c’è anche un tema di contenuti. In questi giorni è passata sotto silenzio una notizia: l’Italia è stata fuori dal formato Quint, vale a dire il gruppo dei grandi paesi che discute dell’Ucraina. Perché l’Italia si è incastrata nel dibattito sulle armi: se diamo le armi all’Ucraina, è giusto che l’Ucraina le utilizzi anche oltre confine? La domanda è talmente evanescente da risultare imbarazzante. Tu puoi dire non voglio dare le armi: posizione che non condivido, ma legittima. Giuseppe Conte e Viktor Orbán. Ma se tu dai le armi, non è perché gli ucraini ne facciano collezione. Adesso si può discutere se sia utile agli ucraini aver fatto la controffensiva o se conveniva di più stare sulla difensiva: questo è il tema che sta dilaniando, purtroppo, il governo di Kyiv in questo momento – tant’è che è in corso un rimpasto. Ma non puoi discutere se è lecito. Tajani, lo statista che abbiamo messo alla Farnesina, ha detto che le armi non possono essere utilizzate fuori dall’Ucraina. Gli mette il TomTom sul mitra. Ma vi rendete conto di che roba è? Questa nostra posizione è uguale a quella dell’Ungheria. Noi e l’Ungheria. E basta. Cos’hanno fatto gli americani, gli inglesi, i francesi, i tedeschi? Hanno detto “grazie, ragazzi: la Meloni non importa che venga alla prossima video-call”. Questa è una cosa enorme. Vedete, io sono uno di quelli che crede che bisogna portare Putin a una pace giusta – non penso che Putin possa essere sconfitto, lo dice anche Blair nell’intervista al Corriere della Sera. Ma sono anche uno di quelli che pensa che manchi all’Europa una vera arma diplomatica. E l’ho sempre detto dal 24 febbraio 2022: chiesi di mandare un alto rappresentante, feci i nomi di Blair e Merkel allora. Quindi figuriamoci se sono insensibile all’esigenza di trovare una soluzione anche diplomatica. Ma non la puoi fare senza le armi agli ucraini, altrimenti in una settimana Putin è a Kyiv. Di fronte a questo dibattito, il governo italiano ha quattro posizioni diverse. Tajani ha fatto tutte le sue iniziative in giro per l’Italia, non va all’estero nemmeno se si paga. Persino Di Maio girava più di Tajani. Lui sta fisso lì, in campagna elettorale permanente. Vuol fare il presidente della Repubblica: lunga vita a Sergio Mattarella. E di conseguenza, noi abbiamo un ministro degli Esteri che tutto fa tranne che andare su questi temi. Avete sentito questo dibattito? Io no. Ecco perché dico che c’è un tema che riguarda l’opposizione. Ma c’è prima un tema che riguarda il mondo: trovo imbarazzante che noi siamo stati così tanto a discutere di Sangiuliano quando Tony Blair dice le cose che dice, trovo imbarazzante che stiamo a discutere del complotto di Arianna Meloni quando sappiamo quello che succede in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo. C’è un risveglio del terrorismo internazionale islamico di cui non parla nessuno. Sono tutte questioni importantissime: vorrei che la politica riprendesse l’arte di avere la P maiuscola. E questo governo non ce l’ha. Piace agli italiani? A me no.
CC: E’ vero che ci sono molti casi di ministri che hanno mostrato la loro non impeccabilità, per utilizzare un eufemismo. Ma è capitato anche a voi, anche allo stesso Matteo Renzi, di andare d’accordo con qualcuno. Penso a Guido Crosetto, a Carlo Nordio e recentemente a Raffaele Fitto che ha ricevuto da parte vostra un sostegno per la sua partita europea. Ecco, ma oggi, esattamente, Meloni cosa si gioca in Europa?
MR: Mi pare che il posizionamento di Giorgia Meloni sia chiaro: lei ha vinto le elezioni e ha perso il dopo elezioni, in Europa. Ha sbagliato misure, ha sbagliato mosse, pace. Dopodiché, Raffaele Fitto è l’italiano nominato commissario. E il nostro gruppo in Europa, Renew Europe, lo ha attaccato. Ma io penso che noi siamo comunque italiani. E aggiungo: Raffaele Fitto è un sincero democratico, un democristianone di lungo corso. E’ stato nominato da Meloni anche perché è considerato uno dei più credibili in Europa di questo governo. E’ una persona per bene, è una persona seria. Allora io non posso accettare che la famiglia politica di cui faccio parte attacchi Fitto per un pregiudizio ideologico e nessuno in Italia lo difenda. Quindi io, che dico tutto il male possibile del governo italiano, quando dall’estero attaccano il commissario designato dal presidente del Consiglio italiano dico: ragazzi, pensate a voi stessi, io difendo Raffaele Fitto. E nel difenderlo, lo difendo dall’opposizione. Non facendo inciuci. Mi si dice Crosetto: è una persona seria, ad averne di ministri come lui. Nordio: due anni che dice cose giuste. Poi al ministero governa Andrea Delmastro Delle Vedove, un giustizialista di estrema destra, l’amico del pistolero di Biella. E non ne sta facendo mezza di riforma. Perché quelle faticosamente portate avanti da questo governo sulla giustizia sono fuffa. Questo è un governo che fa il decreto Ferragni, il decreto rave party. E fa gli ultimi due decreti, liste d’attesa e carceri: sono stato il 15 agosto con Bobo Giachetti, che ringrazio, perché s’è fatto 400 km a Ferragosto per venire da me a Sollicciano.
CC: Quella che l’onorevole Andrea Delmastro definirebbe la Mecca dei detenuti?
MR: Delmastro è uno che ha fatto una cerimonia di giuramento di agenti di polizia penitenziaria che in un paese civile sarebbe stato cacciato. E ci sono centinaia di agenti, persone serie, che non ne possono più di questo ministro che ha il complesso di avere il corpo di polizia a sua disposizione. Il punto fondamentale però è che loro hanno fatto un decreto sulle carceri. Partivano da un presupposto: c’è troppa gente in carcere. Ed è un problema vero. Di fronte a questo problema hanno fatto un decreto legge che non risolve nulla. Il giorno in cui viene approvato, alla fine, Nordio fa un’intervista e dice: abbiamo un problema di sovraffollamento delle carceri, ne devo parlare col presidente della Repubblica. Sei ministro, hai firmato il decreto legge: non esce nessuno con le norme che avete fatto. E’ l’idea della politica dove il decreto legge è lo spot. Anzi, il post. Alla fine non cambia niente.
Quello che voglio dire è che i ministri possono essere bravi, ma poi bisogna ragionare di cose concrete. Noi abbiamo fatto Industria 4.0: Adolfo Urso, che il Foglio ha ribattezzato Urss, ha fatto un piano di Transizione 5.0 che non funziona. Sono soldi vostri buttati via, ragazzi. Ecco perché io dico svegliamoci e diamo un serio cambio di passo a questo paese. Non sono capaci, è la mediocrità. E’ vero che l’occupazione è cresciuta – poi la Meloni come al solito esagera dicendo “era dai tempi di Garibaldi”: come le vengano queste frasi non so. Diamogliela buona. Ma vi rendete conto che aumenta l’occupazione ma non aumentano di conseguenza gli stipendi? Cioè noi rispetto al 2008 siamo al 93,5 per cento degli stipendi. Gli altri paesi sono tutti sopra di noi, tranne la Grecia. Per cui la vera sfida oggi – quella di Kamala Harris, quella che Starmer ha vinto – è il ceto medio: è la gente che con 1.200 euro non ce la fa più, è la gente che ha rinunciato alle vacanze. Quando facemmo gli 80 euro, tutti a prenderci in giro ma era una soluzione. Oggi non basterebbero gli 80 euro. Ma questo è ciò di cui dobbiamo parlare. Invece siamo a parlare delle lacrime di (San) Gennaro Sangiuliano. Santo no, però il miracolo l’ha fatto anche lui.
CC: Arriviamo all’altro campo. Lo possiamo definire ancora campo largo o le piace più campo tetris? E siamo sicuri che osservando i due campi quello più debole sia quello di centrodestra e non quello di centrosinistra? E soprattutto: come fa Matteo Renzi a stare dalla stessa parte politica in cui si trova un partito che sull’Ucraina la pensa come Orbán, che mastica giustizialismo, che odia il Jobs Act, che rimpiange i tempi del reddito di cittadinanza e Toninelli?
MR: E’ una grande domanda ed è la vera domanda, che sta portando tanti di noi a discutere. Noi abbiamo fatto partire Italia viva nel 2019, quando Salvini era in mutande al Papeete. Allora dissi: facciamo l’accordo coi grillini, ma cerchiamo di equilibrare con una forza riformista perché può darsi che il Pd non sia in grado di fare da contraltare. Dare il via libera a quel governo mi è costato un casino dal punto di vista umano: erano passati pochi mesi dall’arresto dei miei genitori e in Senato un paio di grillini mi fecero il segno delle manette. Arresto che oggi si dimostra che fosse assolutamente ingiusto. Però io penso che la politica non sia fare l’interesse personale, ma quello del paese. A chi mi dice che cambio idea… se c’è una cosa che io non ho cambiato è l’idea sui contenuti. Ho le stesse idee di quand’ero presidente del Consiglio. Cosa cambia? Il contesto: nel 2019 c’era un governo guidato da un grillino e per noi era obbligatorio rendere più forte l’area riformista fondando Italia viva. Poi è accaduto che il Pd, che pure aveva rotto con i grillini, ha scelto di mettere un veto su di noi nel 2022. Questa grande strategia dei veti. A quel punto abbiamo fatto il Terzo polo. Quando si sono create le condizioni di un’oggettiva novità politica, quella di Elly Schlein – non c’entra niente la partita di calcio, il racconto semplicistico ex post: la settimana prima lei aveva fatto un’intervista alla Stampa dicendo di voler vincere contro la Meloni, togliendo i veti. A domanda esplicita, ci stai a rimuovere i tuoi veti sul passato per ragionare di futuro affinché vadano a casa… quelli che abbiamo descritto fino a qualche istante fa? Noi abbiamo risposto: andiamo a vedere. Chi scrive che Renzi si è autoproposto per il centrosinistra non ha capito nulla. Noi abbiamo ricevuto una richiesta di Elly Schlein e abbiamo detto ok: giù le carte, andiamo a vedere. Questo è fare politica. Perché quando che vedi che il Terzo polo, per i veti di qualcuno, non elegge rappresentanti in Europa in un momento in cui l’Europa ne avrebbe avuto bisogno, non sei più riformista se insisti a dire sto con i miei, pochi, buoni, per eleggerne zero. Perché il riformismo, amici cari, è cambiare le cose: non sentirsi in pace con la propria coscienza. Sporcarsi le mani vuol dire andare a vedere. Dopodiché non ce l’ha ordinato il dottore. Come si chiama questo campo? Per me nuovo centrosinistra, sono affezionato a questa idea perché qui sono nato. Quello di cui sono certo è come non si può chiamare: “zoo di Pistoia”. Cos’è? E’ quello di una canzone celebre di Jannacci: vengo anch’io, no tu no. C’è qualcuno, in quella parte del campo, che pensa si faccia politica dicendo no tu no. Mettendo i veti. Lo fanno i grillini. E, spiace dirlo, lo fa anche qualcuno del campo riformista o presunto tale. Che vive di veti perché immagina la politica come un rapporto tra antipatia e simpatia. Quando si è trattato di andare a fare il governo con Conte, lui non era il mio best friend – e non lo è nemmeno adesso. Ma serviva al paese. E l’abbiamo fatto. Questa questione dei veti è imbarazzante, ma non è un problema nostro: noi ci stiamo, quando ci chiamano, a ragionare sui contenuti. Se qualcuno ci chiedesse “cancellate tutto quello che avete fatto in questi anni”, noi diremmo di no. Sui temi siamo pronti a discutere. Se il Pd ha voglia di discutere, ci stiamo. E mi pare che a Pesaro la risposta sia stata incredibile: dicevano che non ci sarebbe stato nessuno, alla fine gli stand della Festa dell’Unità restituivano i soldi perché avevano finito il cibo. Tant’è che ho chiamato Ricci: il 10 per cento potresti darlo a Italia viva, su.
CC: Contenuti. Proviamo a ragionare su due o tre contenuti sui quali il centrosinistra potrebbe trovare una sua unità (ieri, domenica 8 settembre, pochi giorni dopo questa intervista, il segretario del Pd, Elly Schlein, alla Festa dell’Unità, ha individuato cinque priorità per “mandare a casa” Meloni: sanità pubblica, istruzione e ricerca, lavoro e salari, politica industriale, diritti sociali e civili, “cinque priorità che stanno su una mano su cui costruire una alleanza nella società, nel paese e con altre forze politiche per mandare a casa il governo”).
MR: Gli stipendi. Tu hai un problema di ceto medio. A proposito: se uno vuole stare nel centrosinistra, la cortesia di dire che tra Kamala Harris e Donald Trump sa da che parte stare, mi sembra il minimo sindacale. Kamala, se vince, è sul ceto medio. Ha messo un candidato vicepresidente che riempie i social di immagini sue in mezzo alla gente: un professore di scuola pubblica, militare nell’esercito, coach di football americano. Il primo tema sono gli stipendi. E quindi vuol dire investire sulla detassazione degli utili se destinati ai lavoratori. Vuol dire mettere in campo tutte le condizioni per cui il delta che c’è tra quello che prendi oggi e quello vai a prendere in più, se in tasca al lavoratore viene totalmente detassato, se in tasca all’imprenditore viene tassato. E’ il meccanismo degli 80 euro esasperato. E’ il tema di affrontare una situazione in cui chi ha un problema di sanità e non ha un’assicurazione fa fatica. Chi oggi non è andato in vacanza fa fatica. Secondo tema: educazione e cultura. Penso che se il centrosinistra vuole davvero credere in un’idea di società diversa, debba partire dal principio che la cultura è tutto. La cultura è la base di tutto: quante volte l’abbiamo detto? Un euro in cultura è un euro in sicurezza. Quando diciamo che c’è bisogno dello ius scholae, senza però avere il gioco delle parti che sta facendo Tajani e poi non chiude, noi abbiamo un problema per cui se non arrivano i migranti fallisce l’Inps. Ma se non c’è un’integrazione e un’identità culturale come punto di partenza, fallisce l’Italia. Ho visto Larissa Iapichino, figlia di due grandi campioni italiani, che è stata fantastica, è arrivata quarta a Parigi 2024: s’è alzata e ha risposto “ho fatto una bischerata”. Nel modo tipico di Firenze. Chi glielo va a spiegare a queste capre, che sui social vedendo un colore della pelle diverso mettono in discussione un principio – nel caso di Larissa, già ampiamente statuito dalla legge in vigore – da semplificare con la legge sulla cittadinanza? Questo tema dell’identità culturale non può valere soltanto quando c’è il medagliere delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi. Vale nelle nostre scuole. Allora su questi temi io non dimentico che quelli che oggi mi fanno la morale a sinistra, cioè i Giuseppe Conte di turno, sono quelli che hanno firmato i decreti Salvini: una vergogna per questo paese. Che avevano al primo punto la cancellazione dei fondi per insegnare l’italiano. Educazione, cultura, investimento sulla scuola. L’ha detto Tommaso Nannicini: abbiamo bisogno di un reddito di formazione in questo paese. Terzo punto, c’è un tema infrastrutture. La prima è quella che serve a mettere in sicurezza il territorio: Casa sicura l’avevamo lanciata con Renzo Piano. E sul tema della siccità: noi siamo un paese in cui piove fin troppo, ma non abbiamo le infrastrutture idriche adeguate. Su questi temi, perché il centrosinistra non parte da una scommessa culturale bella e grande? Dopodiché sul Jobs Act litigheremo. Ma noi non cambiamo idea. Noi siamo l’ala Blair di un centrosinistra che vuole vincere: senza quest’area il centrosinistra perde. E’ una questione matematica e politica. Se lo capiscono, bene. Se non lo capiscono, amici come prima.
CC: Altre due questioni, a proposito di contenuti e blairismo: spieghi a Elly Schlein perché il Jobs Act va mantenuto e non archiviato.
MR: No, non glielo spiego. Perché Elly Schlein, in questa vicenda, è l’unica coerente. Bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno: Elly era uscita dal Pd, che l’aveva eletta al Parlamento europeo grazie al 40 per cento, proprio per il Jobs Act. E io ho rispetto per chi non la pensa come me. E quindi se lei sul referendum vota per l’abolizione del Jobs Act, che puoi dire a Elly Schlein? Lei fa il suo. Il problema è di quei ministri del Pd che stavano in Consiglio a votare a favore, è di quei deputati che votavano a favore, è di tutto quel mondo che oggi fa dietrofront. Perché se vuoi essere serio e rigoroso, il Jobs Act ha creato più di un milione di posti di lavoro. Di cui oltre la metà a tempo indeterminato. Dopodiché il Jobs Act, di cui faremo comitati di difesa, è comunque il passato. E’ chiaro? Un passato di cui sono orgoglioso. Non mi pento del Jobs Act, non mi pento di aver messo Sergio Mattarella al Quirinale, non mi pento di aver messo Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, non mi pento di Industria 4.0, non mi pento degli 80 euro, non mi pento delle unioni civili, non mi pento della riforma del terzo settore, non mi pento della legge sul caporalato. Non mi pento delle cose che abbiamo fatto. E su tutte sono pronto a fare il dibattito con chi allora ci metteva in difficoltà: i Cinque stelle – cioè Di Maio – la mattina delle unioni civili ricevettero la telefonata di un cardinale che disse loro di non votare a favore. E il voto ce l’avevano garantito: noi, lo sa Maria Elena Boschi, mettemmo la fiducia. Dunque io da questi non prendo lezioni. Elly Schlein è coerente sul Jobs Act, su cui la penso in modo diverso. Ma con lei e con gli altri, vogliamo ragionare del futuro? Questa è la nostra sfida.
CC: Renzi sarebbe contento se Elly Schlein dovesse organizzare un pranzo con Giuseppe Conte, il leader di Avs, tutto il centrosinistra? Ci andrebbe a parlare con loro, a cercare già oggi questi punti di convergenza?
MR: Ragazzi, c’è ancora un po’ di tempo: facciamo le cose con calma. Siamo una comunità. Il punto è: se ragioniamo dal punto di vista strettamente politico, è evidente che quella è l’unica soluzione. Se vuoi vincere devi metterti con quelli che non la pensano come te. Noi dobbiamo recuperare le dimensioni del sogno: basta litigare sul passato. Non facciamo più figli. Abbiamo un tema enorme di investimenti. Abbiamo dei ragazzi che possono creare delle startup e non abbiamo un ecosistema in grado di aiutarli, perché Adolfo Urso-Urss è fermo a Transizione 5.0. Ecco perché dico che sono pronto a ragionare con loro. Poi vediamo su quali temi. Noi abbiamo dato la disponibilità a stare dentro anche in Liguria. Perché facciamo politica. L’altro giorno Orlando ha detto una frase meravigliosa: i partiti di sinistra devono superare la stagione neoliberista, riferendosi agli Obama, ai Clinton, ai Blair. Io, che non ho visto questa stagione neoliberista, dico che la stagione di Blair è quella che ha fatto vincere i laburisti nel Regno Unito. Poi hanno deciso di mettere un veto su Blair e hanno perso per quattordici anni. Poi improvvisamente hanno smesso di mettere il veto su Blair e hanno vinto con Starmer: sarà la provvidenza, sarà il caso, sarà il colpo di c. Quello che volete. Ma quando si tolgono i veti sui riformisti si vince, quando si mettono si perde. La domanda è: caro Pd, vuoi vincere o non vuoi vincere? Se vuoi vincere noi siamo disponibili a parlarne, se ti piace perdere ognuno perda per i fatti suoi. Noi non siamo disponibili a stare in una realtà in cui, anziché l’apertura di Schlein, la linea politica la dà Travaglio. Alla fine, chi è che si è arrabbiato per la nostra apertura al centrosinistra? Travaglio e Giorgia Meloni, che le è presa una rosicata inspiegabile.
CC: O forse era gelosa, magari vi vedeva già nel centrodestra.
MR: Ma no, perché a Meloni puoi dire tutto: sarà incapace a governare, ma è capace a far politica. Come capacità tattica è una delle migliori. E Giorgia ha detto: se perfino Renzi supporta il centrosinistra, al di là del valore numerico del 2 per cento, è un fatto di costruzione di una speranza. Cosa che quelli che mettono i veti non capiscono. Ecco che cosa è successo. L’altro è Marco Travaglio. Ci dedica due pagine al giorno: è bellissimo, mi sembra di essere tornato a dieci anni fa. Mi sento giovane. Il concetto di fondo è che soffre e rosica – intanto lui è amico della Meloni – perché vede la leadership della Schlein crescere. In questa operazione politica è il Pd che diventa il perno dell’alleanza. E se lo è il Pd, e non il M5s, è un bene per tutti.
CC: Qualche tempo fa Renzi ha fatto una previsione, individuando nella traiettoria di questo governo delle difficoltà tali da far prevedere un’elezione anticipata. Dopo l’estate questa convinzione è aumentata o si è affievolita?
MR: La vedo così. L’altra volta c’ho preso: alla Leopolda del 2021 dissi che avremmo votato nel 2022 e si finì a votare nel 2022. Stavolta non voglio fare il mago Otelma, ma si andrà a votare nel 2026. Perché ora c’è una legge di Bilancio abbastanza facile per loro, legata a un extragettito importante: non è detto che venga confermato, ma comunque garantirà una buona copertura delle misure già previste. Peraltro il ministro Giorgetti ha scelto una delle funzionarie e dirigenti più brave di questo paese per fare la ragioniera generale dello stato: la dottoressa Daria Perrotta, voglio dargliene atto, ha lavorato con noi e con i governi di destra ed è una persona molto seria. Nel 2025 però ci sarà il referendum sull’autonomia, che segnerà un passaggio importante: occhio. Il referendum non è detto che passi il quorum, ma farà dividere immediatamente quelli di Forza Italia: se tu levi la Sicilia, la Calabria e la Campania, i forzisti stanno al 5 per cento. Questa divisione tra loro e la Lega è da seguire. Poi c’è il grande aiuto da casa: il generale Vannacci, non sottovalutatelo. Ha deciso che lui, con i suoi camerati – e meno male che Crosetto ha retto, se no la Meloni se lo portava in FdI – farà qualcosa da solo. E quel qualcosa porterà in difficoltà Salvini, ma anche Forza Italia. Queste quattro forze politiche affrontano il salto a ostacoli dell’autonomia, poi arriva una nuova legge di Bilancio: o finisce la guerra e riparte l’economia – cosa ovviamente da augurarci – oppure la situazione economica sarà più complicata. Infine c’è il premierato: quel tema lì, se fanno tutti i passaggi, avrà un referendum costituzionale nella primavera del 2026. E la Meloni se perde può dire quello che vuole, “io non farò come Renzi, non farò come Renzi”. Ok. Non ti dimetterai come si è dimesso Renzi. Ti dimetterai come si è dimesso Cameron: perché se perdi il referendum su cui il governo ha messo la faccia, vai a casa. In tutto il mondo è così. Ecco che allora Meloni, che non è un’incapace, prima di rischiare l’osso del collo sul premierato – perso in partenza per lei: troppo difficile che un referendum in cui voti Meloni e ti ritrovi Sangiuliano possa passare – a quel punto potrebbe dire “ragazzi, se me la devo giocare lo faccio sulle politiche dove avrò una chance”. E quindi alle urne nel 2026. Ecco il mio ragionamento. Dopodiché, al di là di tutti i miei tatticismi, o si recupera una dimensione politica alta dove torniamo a far sognare la gente oppure comunque vada finirà con un sostanziale immiserimento della politica. Una ferragnizzazione del dibattito che è molto triste.
CC: L’intervista che Tony Blair ha rilasciato al Corriere della Sera offre moltissimi spunti di riflessione: un gran manifesto dell’ottimismo, in difesa delle democrazie liberali, della società aperta. Blair si concentra sulle due ferite alla democrazia di oggi: l’Ucraina e Israele. A un certo punto dice: “Criticare Israele è legittimo, lo dico da suo grande sostenitore, e non va confuso con l’antisemitismo. Tuttavia la questione dell’antisemitismo è reale e dobbiamo essere fermissimi nello stroncarlo”. Doppia domanda: in Italia le forze politiche hanno dimostrato unità contro l’antisemitismo? E chi sono oggi gli utili idioti di Hamas, nell’opinione pubblica e nel mondo politico?
MR: Questa è una grande domanda. Primo tema: quello che ha fatto Hamas, il 7 ottobre ma anche al popolo palestinese in questi anni, è al di là del male. Noi ce ne dimentichiamo. Ma è un atto studiato politicamente in modo perfetto: nel momento in cui bin Salman e gli israeliani stavano trovando l’accordo, Hamas fa saltare gli Accordi di Abramo. E quell’operazione, per la sua brutalità, pone tante questioni. Anche dentro Israele: perché chi come me è amico di Israele non può accettare l’idea che quella mattina si permetta l’ingresso di 5.500 persone, sottovalutando gli alert dei servizi egiziani e del mondo arabo legato a un rapporto con Israele. Quando arriverà il momento qualcuno dovrà fare chiarezza anche su questo: in Israele si può fare perché è una democrazia. E’ una democrazia che ha arrestato e messo in carcere i propri primi ministri e presidenti che avevano commesso dei reati passati in giudicato. Quindi c’è un tema che riguarda il 7 ottobre, una carneficina che pone tante domande. Poi c’è un punto che qualcuno in Italia chiama l’anniversario della rivoluzione: un modo di parlare blasfemo. Perché le bambine e i bambini violentati quel giorno hanno assistito a un massacro. Dopodiché c’è il punto che dice Blair: si può criticare Netanyahu? Sì. E lo può fare soprattutto chi è amico di Israele, anche all’interno di Israele. Tant’è vero che ci sono manifestazioni di protesta e scioperi da parte delle famiglie degli ostaggi. Questo dibattito civile – ha ragione Blair – si deve fare perché stiamo parlando di una grande democrazia. Nessuno paragoni però anche il più acerrimo nemico, anche Netanyahu, a Hamas: quando metti sullo stesso piano i terroristi a uno stato fai un errore. E vengo alla politica: è evidente che all’interno dello stato di Israele, come all’interno del mondo arabo, c’è chi non vuole la tregua. Ed è un dibattito molto complicato. Nel corso di quest’anno ne ho parlato con leader israeliani e leader arabi. E’ un gran casino. Ma sono d’accordo con Cerasa quando sottolinea l’ottimismo di Blair. Che è stato l’unico a dire che non basta parlarne, bisogna risolvere questo decennale problema: la sua unica soluzione è due stati e due popoli. Non la vogliono una parte del mondo israeliano, ma soprattutto gli iraniani. E fintanto che l’influenza iraniana sarà così pervicace e forte, è evidente che non arriveremo a un accordo serio. Ecco perché è importante trattare con i riformisti arabi: sauditi, emiratini, egiziani e sempre di più i qatarini. Ma dall’altra parte è importante che in Israele le forze che vogliono davvero l’accordo si facciano sentire. Ci vogliono sicurezza, diritti e politica. Perché non la risolverai mai lasciandola agli estremisti dei vari schieramenti. Ed ecco perché io continuo a dire, a chi mi fa le discussioni sugli arabi, che non ha capito nulla: l’unico elemento per risolvere questa storia è a Riad. Stiamo parlando di una delle grandi questioni del nostro tempo, siamo vicini alla soluzione. Però, ecco il punto centrale, o c’è la politica o siamo tutti finiti. La politica è quella nobile arte che ti porta a cercare dei compromessi, degli accordi, dei punti di equilibrio più avanzati che è difficile far capire nel tempo dei social. La politica estera è una grande questione. E noi non ce l’abbiamo. Non abbiamo gli Stati uniti d’Europa. Non abbiamo niente che si avvicini a un’idea un po’ meno mediocre di questo dibattito agostano che abbiamo dovuto sentire. La gente dice che Renzi fa queste cose per la poltrona: io le faccio perché mi piace la politica. E perché penso che la politica sia l’unico modo per lasciare ai miei figli un mondo migliore di quello che abbiamo oggi. Questa è la vera sfida che abbiamo davanti.
festa dell'ottimismo