Voyage in Rai

Rai scioperata, giornalisti contro giornalisti. Bonolis per il dopo Amadeus

Carmelo Caruso

Lo sciopero Usigrai viene boicottato. Tg1 e Tg2 in onda. I dipendenti Rai contro i "privilegi" dei giornalisti Rai (ora tagliati). I corrispondenti esteri si abbeverano del pensiero censurato di Ranucci e Bortone

Ormai esportiamo la Rai come gloriosa rovina, come il Colosseo, Pompei e il teatro di Taormina. Alla stampa estera, i giornalisti Usigrai, in sciopero, hanno attaccato i colleghi Unirai, che hanno lavorato. Tg1 e Tg2 sono andati in onda ugualmente. Fuori, lontano, il resto dei dipendenti Rai esultava perché il premio di produzione “da 2.000 euro, ai giornalisti Rai, è stato finalmente tolto. Evviva”. I corrispondenti esteri si sono convinti di aver trovato, qui, a Viale Mazzini, l’Egitto in miniatura, la cella del reporter, ma con il maritozzo e il vino Frascati. Bon voyage, da Rai scioperata.

Per una giornata, i destri e i sinistri Rai hanno straparlato come se avessero ingerito acidi. Usigrai: “Sabotaggio fallito”. Unirai: “Il muro è caduto. Abbiamo vinto”. Hanno perso entrambi: è stato dimostrato che un tg si può assemblare con cinque giornalisti anziché venti. I dirigenti di destra, i direttoroni,  i melonarchi, hanno raffazzonato le edizioni per esibire i muscoli, far capire che senza i giornalisti “nemici” si può fare. Il Tg1 delle 13 è andato in onda. Alle 16 si è organizzata perfino la “straordinaria” per i fatti di Palermo, e senza avvisare il cdr. Il Tg2, delle 13, è andato in diretta ventisei minuti su trenta. Rai News, di Petrecca, Patapetrecca, non si è fermata e mancava poco che mandasse il filmino della cresima di Fazzolari. L’Italia, tutta, oramai si è messa a vendere questo rudere di televisione, i suoi mali, ai giornalisti stranieri che sono affamati, addentano libertà di stampa violata come gli spaghetti con il cacio. Vero o meno, presunta censura, Meloni che idea di paese sta dando insieme ai suoi compari? Alla stampa estera, alla solita sede di Via Plebiscito, si sono presentati, per raccontare come si vive sotto la melonarchia, Sigfrido Ranucci e Serena Bortone, più richiesta di una diva. In un week-end è passata dal salotto di Verissimo, su Canale 5, all’Usigrai. E’ arrivata indossando un impermeabile di pelle nera, come la direttrice di Vogue America. Ha ripercorso da filologa, l’atto villano su Scurati, poi, quando le hanno chiesto: “Ma lascia la Rai?”; “Sta trattando con altri?” (dicono La 7 del faraone Cairo, ma La 7 dice “no”) la professoressa Bortone ha risposto muovendo con leggiadria i suoi boccoli biondi e promesso: “Io sono un soldato dell’azienda”. Il più simpatico è stato  il nibelungo Sigfrido che ha rilasciato interviste in sette lingue per spiegare che a lui i ciucci gli fanno un baffo malgrado cerchino di stabilire quali repliche di “Report” mandare in onda questa estate, tanto da chiedere: “Voglio sapere se sono stato commissariato”. Accanto a Ranucci c’era Daniele Macheda, il segretario Usigrai, anche se il vero protagonista era Vittorio Di Trapani, presidente nazionale della Fnsi, ex segretario Usigrai per dieci anni, che ha parlato di Rai “orbaniana”. E’ così abbronzato che viene voglia di seguirlo redazione per redazione, lido per lido. Lo sciopero, spiegava la falange, è doveroso contro la censura dei melonarchi. Era la censura denunciata da Enrica Agostini, di Rai News, che si è definita “una stronza”, una professionista a cui la Rai non ha regalato nulla: “Non abbiamo potuto dare la notizia di Lollobrigida, la fermata del treno, o  parlare di Giambruno”. E’ stata applaudita ma non da Di Trapani. Neppure l’Usigrai le ha regalato nulla. Agostini è rimasta redattrice ordinaria nonostante la lunga fatica, il coraggio, la sua attività sindacale perché l’Usigrai le ha preferito, sponsorizzato, una collega come Ida Baldi, che oggi è vicedirettrice. E’ dunque vero che hanno scioperato contro i ciucci ma è vero pure che tra le ragioni dello sciopero c’è il timore di una categoria crepuscolare, una zattera che, a dirla tutta, non vuole sapere né di Usigrai né di Unirai. Il dg Rai, Rossi, ha appena reso il premio di produzione “proletario”. I giornalisti, a differenza dei dipendenti, lo ricevevano slegato dal bilancio Rai. Veniva erogato secondo l’incremento del numero di edizioni e valeva 2.060 euro circa. Cosa possono pensare ottomila dipendenti Rai adesso equiparati ai giornalisti? Pensano che sia un gran bene. In Rai ci sarebbero poi altri 250 precari di cui non parla mai nessuno, neppure il Pd, inquadrati come programmisti. Al posto di Amadeus dicono che la Rai stia provando in tutti i modi a convincere Paolo Bonolis, ma anche questo fa parte dell’esotico. Cosa volete che importi in una tv così sfasciata? La Rai sembra già la Palazzina Laf dell’ Ilva, quella del film di Michele Riondino, dove venivano confinati i rompiscatole in attesa di liberarsene. Sta saltando ogni cosa, l’affetto, la stima, ed esiste sul serio questo maledetto “problema industriale”, usato come coltello alla gola. In quale altra televisione si sciupa denaro così? Un esempio: la premier va ad Ascoli Piceno e il suo staff fa sapere che non ci saranno punti stampa. Tg1, Tg2, Rai News, Tgr, spediscono inviati. A che serve mandare quattro giornalisti da Roma e poi togliere il premio di produzione, si chiede Ranucci, a chi “ottiene risultati, ascolti, a chi si fa il bucio?”. Dispiace scriverlo ma in Rai il più sobrio è rimasto Ranucci. A Berlino lo trattano come un filosofo, come Anassimandro. Sentite che domanda gli rivolgono: “Ranucci, ci dice come si arriva all’indipendenza?” e lui serafico: “L’indipendenza è uno stato dell’anima”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio