Il racconto

A messa con Giancarlo Giorgetti. Dio, bilancio e uomini che gli chiedono una grazia

Carmelo Caruso

Suorine, candele, vangeli e un monsignore che gli tiene il registro dei fedeli. In chiesa con il ministro dell'Economia che riceve come un prete

Alle sette e cinquanta di mattina Giancarlo Giorgetti cerca Cristo. Alle otto e dodici è in ginocchio, alle otto e ventuno in raccoglimento, un minuto dopo toglie le mani dal viso e risponde: “Rendiamo grazie a Dio”. Si presenta in chiesa con una felpa, accende due ceri alla Madonna, legge gli Atti degli Apostoli. A messa finita riceve  come un prete: “Introibo ad altare dei”. In una cappella di Roma, poco lontano da rovine, nove panche a destra e nove a sinistra, tre suorine e una perpetua curva chiedono “perdono” insieme al ministro dell’Economia, l’uomo che tiene la cassa di governo. Come facevano i democristiani, Giorgetti si duole dei “peccati del mondo”, del buco Superbonus, poi si infila in sacrestia, conosce altri peccatori come lui, tutti annunciati da un uomo vestito con la pianeta bianca. Un avvocato d’affari lo ha raccontato a cena a una donna divertita: “Ma lei sa che il nostro ministro dell’Economia dà appuntamento in chiesa, la mattina?”. La donna, sempre più divertita, lo ha incoraggiato: “Come un prete?”. L’avvocato convinto di conquistarla ha continuato: “Come un prete, un curato. C’è la fila per avvicinarlo e parlargli. Chi vuole chiedere una grazia al ministro fa questo sacrificio. Si alza presto, si ascolta la santa messa. Poi lui entra in sacrestia. I privilegiati li riceve nel suo Getsemani”.

 

Quell’avvocato non è stato un privilegiato. Avrebbe scoperto che non c’è la fila perché anche gli apostoli si addormentarono anziché vegliare. Avrebbe visto lo sguardo e il desiderio di castigo di Giorgetti rivolto a chi ha osato disturbare la sua ora di preghiera. Non è per tutti il regno dei cieli e neppure il tempo di Giorgetti. Esistono i “giorgettiani”? Esistono. E’ uno speciale ordine. Sono i praticanti che vogliono un lembo del ministro “penitenziale”. Se ne possono descrivere almeno due e agli occhi sembravano due amministratori delegati, forse direttori generali di una società partecipata. Profumavano di colonia. Avevano scarpe con la fibbia, i pantaloni con il risvolto. La fede di Giorgetti è nota come è nota la sua assenza di coraggio, la capacità indiscutibile di ricevere le piaghe, lasciarsi offendere, lamentarsi, accettarle.  Ha partecipato alla fondazione della Lega con Umberto Bossi e oggi è ancora il vicesegretario di Salvini. Da dieci anni almeno si scrive che potrebbe prendere il posto di Salvini ma Giorgetti prende solo cariche dicendo “me lo ha chiesto Salvini”. Ha cinquantasette anni e da ventotto è in Parlamento. Due volte ministro, due volte sottosegretario, due volte presidente della Commissione Bilancio. In lui c’è chi ci ha trovato il peggio e il meglio d’Italia. Nessuno ha mai trovato la verità. (“Che cos’è la verità?”, Giovanni 18,38). Matteo Salvini sarebbe uscito dal primo governo Conte su suggerimento di Giorgetti ed entrato in quello Draghi, sempre su suggerimento di Giorgetti. A un suo amico, Salvini ha detto: “Mi ha fatto perdere tutto”. Giorgetti, a chi gli ha chiesto se fosse vero, ha replicato: “Quando si intraprende un percorso bisogna avere costanza”. Voleva dire che Salvini non l’ha avuta perché per Giorgetti, come per San Paolo, “la fede è sostanza di cose non viste e di cose sperate”.


Questo ministro alto due metri preferisce vestirsi malissimo. Volutamente. Ora si veste meglio. Lo fa di cattivo umore. Ha un frezza bianca tra i capelli. Il volto è rimasto segnato da un’acne giovanile. Porta la barba e la stessa montatura da vent’anni. E’ di Varese, di Cazzago Brabbia, ma questo ormai lo sanno tutti. Quello che neppure Mariachiara, la cameriera del ristorante, al civico 54, può sapere, è il giorno esatto della funzione: “Dipende credo dalla sua agenda”. Dice tuttavia che è vero, “lo vedo entrare in chiesa. La fila per parlargli? Dovrebbe pregare pure lei e scoprirlo. Non trova?”. Lo ha servito? “Spesso. Abbiamo una saletta riservata per lui. Succede. Ha sempre un viso sofferente”. La passione di Giorgetti è lasciare credere che sia costretto a fare quello che in realtà ha l’ambizione di fare. Adesso vuole andare in Europa, non gli dispiacerebbe essere indicato commissario, ma ha dichiarato che “cinque anni fa mi era stato chiesto e ho rifiutato”. Si chiama “dissimulazione” ed è quella di Torquato Accetto, autore della “Dissimulazione onesta”, un libello pubblicato a Napoli nel 1641. Era un gesuita e ha insegnato che la dissimulazione è diversa dalla bugia e dunque non è un peccato. Anche la piccolissima chiesa di Giorgetti è dissimulata come a Milano è dissimulata piazza San Fedele, incastrata, protetta. Una delle parola che Giorgetti ama è “fedele”. A chi, è il mistero. A Giorgetti piace la nebbia. Deve piacergli l’idea del cielo nascosto, in chiaroscuro. Coperto da Bossi, prima, da Salvini, dopo, è riuscito a fare il ministro dell’Economia, il meglio che potesse desiderare il figlio di un pescatore di Varese, mandato a studiare, a Milano, alla Bocconi. Il prete della chiesa, racconta un leghista, sarebbe “una sorta di suo segretario dell’anima”. E’ la scorciatoia per “toccare” Giorgetti. L’indiscrezione: “Chi lavora nella finanza ha fatto girare la voce che Giorgetti ha il suo padre spirituale in questo monsignore. Volendo, si può arrivare a Giorgetti se si è già arrivati al monsignore. Lui fa la scrematura: ‘Caro Giancarlo, ci sarebbe una cara persona che vorrebbe parlarti… E’ quello che si dice”. Giorgetti non è Giulio Andreotti, che parlava con il prete mentre De Gasperi parlava con Dio. Giorgetti vuole parlare a casa del prete per avere un superbonus da Dio. La canonica è sbarrata. La chiesa, come spiegavano a scuola, ha la facciata a capanna. Alle sette e mezza è abitata da due sole donne che recitano rosari. Una prega in piedi. L’altra, la piccina, curva, anziana, come la santa del film di Sorrentino, si trascina con fatica e accende le candele dell’altare. Sono sette ceri e ci tengono svegli. Su un podio, aperto, c’è il libro con le letture della giornata. Se la chiesa fosse una nave, un’arca, non accoglierebbe più di trenta uomini. Il confessionale è uguale al confessionale che si può trovare in una chiesa di Mombasa, in Kenya. E’ angusto, semplice, di ciliegio. Ci sono copie di opere. Una è di Santa Teresa d’Avila, la santa che definiva “melanconie” le amicizie. Giorgetti ha delle “melanconie”. Il presbiterio è separato da una balaustra. E’ impossibile capire da dove possa fare il suo ingresso il prete dato che non ci sono porte che collegano il presbiterio e il retro. La donna di mezz’età guarda fisso il lato destro. Mimetizzata, c’è la porta che collega con la sacrestia. E’ come una porta segreta. Seduti si attende l’inizio della messa. La porta esterna scricchiola due volte. La prima, entra un uomo di colore con una copia del Corriere della Sera. La seconda, è la volta di una studentessa che non può che avere sedici o diciassette anni. Ha tra le mani un dizionario di latino scollato. Potrebbe essere il giorno della versione. Si siede e rimane ferma per dieci minuti almeno. In Todo Modo, il Don Gaetano di Leonardo Sciascia invitava il pittore laico a provare con “noi cattolici, a essere imperfetti”. Chi sono gli imperfetti? Di sicuro lo sono due fedeli che appaiono in chiesa lasciando una scia di dopobarba. Sono forse questi i grandi direttori di banca, gli amministratori delegati? Si vestono tutti allo stesso modo ma purtroppo è impossibile chiederlo, interrogarli, anche perché la vecchietta, curva, ci caccerebbe, aiutata da altre tre suorine che si sono aggiunte. Chi siede in chiesa da curioso viene subito smascherato, i giornalisti, peggio. Si viene guardati dai due imperfetti. Le suore, per statuto, perdonano perché hanno letto Giobbe e sanno che l’uomo è “uno che imbratta di tenebra il pensiero di Dio, uno che parla senza sapere”. La studentessa esce, va via.

 

Alle sette e cinquanta, un uomo alto quasi due metri fa rotare la porta. E’ Giorgetti. E’ vestito con una felpa, la solita giacca blu da bancario, un paio di scarponi. Saluta a sguardi i due imperfetti che gli sorridono come amici. Ci guarda come fossimo mercanti da tempio. Poi, a piccoli passi, si dirige verso l’altare, a destra. Deposita degli spiccioli e accende una candela. Si sposta a sinistra e versa ancora delle monete. Va sfogliare il libro con le letture del giorno. Sceglie la terza panca. Gli imperfetti si sono seduti rispettivamente uno due banchi dietro, a destra, mentre l’altro nel terz’ultimo di sinistra. Nella prima panca di sinistra, le due donne, allineate, continuano le cantilene. Tre uomini di chiesa, vestiti di bianco, escono dalla sacrestia. In mezzo, il monsignore. Indossa una pianeta con filamenti d’oro, la stola è verde, color smeraldo. A messa iniziata il ministro si tiene ferma la mano sinistra. Se la porta dietro e la tiene bloccata con l’altra fino a quando la tende al petto e inizia a batterla. Al momento della lettura, come fosse qualcosa di concordato con il monsignore, Giorgetti lascia il banco e si avvia diretto all’altare. Il monsignore gli sorride. Gli imperfetti si scambiano un’occhiata, anche loro complice. Il ministro dell’Economia inizia la lettura: “La pietra scartata è diventata la pietra d’angolo…”. Se ne torna al banco. Quando il prete invita a scambiarsi un segno di pace, Giorgetti guarda dietro e solleva il mento. E’ la sua pace. Al momento della comunione, non si alza. Scattano invece i due imperfetti che colgono l’occasione per salutarlo. Non c’è omelia. Resta solo la benedizione del prete: “Dio benedica voi, nel nome del ...”. Giorgetti pochi secondi dopo si avvicina al presbiterio, piega la testa, entra oltre la porta stretta. Uno degli imperfetti lo segue. Siamo rimasti quaranta minuti in chiesa e per altrettanti quaranta minuti gli agenti di scorta sono rimasti fuori ad attendere il ministro. Quando è uscito, salito in automobile, abbiamo cercato il monsignore. Possiamo? “Certo. La chiesa è sempre aperta”. Anche per i giornalisti? “Dipende da che domande fanno”. Possiamo chiederle chi sono i suoi fedeli illustri? Il monsignore: “Ma di fronte a Dio tutti siamo illustri”. Questa sembra una frase da film, non crede? Il monsignore: “In questa piccola chiesa vengono ministri, senatori, cosa la stupisce?”. Viene anche Giorgetti, il ministro dell’Economia? “Qui il solo ministro sono io. Concorda?”. Quante volte viene Giorgetti? “Spesso. E’ assiduo”. Lo sembra molto. Il monsignore: “Chi è fedele è assiduo. I politici hanno bisogno del conforto di Dio”. Giorgetti ha bisogno del suo per preparare il Def? “Giorgetti, come qualsiasi altro ministro, può avere il mio conforto. Qui non esistono tessere di partito. Giorgetti testimonia con calore la sua fede. Tanti politici vanno a messa, ma voi giornalisti non lo sapete perché a messa non andate”. E cosa fa per quaranta minuti, in sacrestia. Riceve? “I giornalisti hanno il segreto professionale. Mi sembra. Anche i ministri di Dio devono essere riservati. Non tutto si può dire e si deve dire. Adesso la benedico”. Ci stringe entrambi le mani. Saluta e chiude la porta. Chiedo alla vecchietta curva se conosce Giorgetti: “Chi è Giorgetti? Lei ha visto Giorgetti?”. Ho visto un ministro, pregare, battersi il petto, leggere le scritture. Cosa ha detto al prete, non lo so. Chi siano gli uomini che riceve, insieme al prete, neppure. Per trenta minuti era però un uomo sgravato. Era libero come tutti i personaggi di Pirandello che devono impazzire per poter ritrovare la libertà, “quell’intatta e appagata musica dell’uomo solo”.

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio