Il ritratto

Il regista occulto di Mediaset. Ritratto di Mauro Crippa

Carmelo Caruso

E’ il padroncino delle notizie, dei telegiornali e dei talk-show. Storia, carriera e manovre quotidiane dell’uomo che dal 1998 controlla ogni parola che le tv di Berlusconi mandano in onda

Il “crudele”, il “malvagio”, “il terribile”, “il gelido” Mauro Crippa di Mediaset. E’ il capo del capo. E’ la lama di Pier Silvio Berlusconi, la velocità di Fedele Confalonieri, l’Epicuro di Cologno Monzese: “Voler bene è una debolezza”. Il Cavaliere, il fondatore, Silvio Berlusconi lo aveva classificato come “necessario”, perché di “Crippa non se ne potrà mai fare a meno, l’umanità stessa lo esige. Crippa è il male necessario”. Una sua mezza frase ha provocato cessioni di rami d’azienda. Una sua smorfia ha accelerato la fine di carriere televisive. Dopo una cena, a Ponza, come un re, ha assunto Gianluigi Nuzzi e gli ha offerto la prima serata di Rete 4: “Era simpatico, e bravo. Mi piaceva”. Si deve a Crippa il più spaventoso dei generi televisivi. E’ il regista occulto del “retequattrismo”, l’informazione come lavatrice populista, l’Italia incubo raccontata dall’inviato che stana “il clandestino” e processata dal direttore-conduttore. Per calcolo commerciale, spirito del tempo, ha favorito l’avanzata di Salvini e di Meloni. Ha sempre replicato: “Mi sopravvalutano”. Godeva nel dirlo.


Cumula due incarichi. E’ direttore generale dell’Informazione, direttore della Comunicazione e Immagine di Mediaset. Da 25 anni comanda il più grande gruppo televisivo privato d’Europa, decide quanti minuti debba avere l’ultimo dei parlamentari, sbrana chi parla e scrive male dell’azienda. Potrebbe continuare a farlo per i prossimi venticinque anni sempre in nome della famiglia, “l’unica in Italia, la sola dinastia capace di dividersi un patrimonio da otto miliardi senza liti, con amore, sulla base di un foglietto di carta”. Ha la fiducia dei Berlusconi dal 1988, da quando accolse per primo il padre a Mondadori, da capo ufficio stampa, e conquistato con l’astuta sottomissione: “Se vuole io posso essere suo”. Ha 64 anni. Nello studio, al settimo piano di Cologno, a Mediaset, tiene alla parete un ritratto di Marx, una fotografia di Hemingway con Fidel Castro del fotografo Robert Capa. Il suo comunista preferito è Massimo D’Alema. Il fisico della tv di destra è di sinistra. Ha fatto parte del Movimento studentesco, rischiato negli anni Settanta, a Milano, di finire in caserma insieme ai suoi vecchi compagni Mario Capanna e Marco Rizzo. Non è stato mai fermato perché, come dice Crippa ai suoi collaboratori, “io sono veloce. Io non mi lascio catturare. Neppure dalle donne”. Le sue telefonate non superano i trentadue secondi per evitare di essere frainteso, altri dicono intercettato, più semplicemente perché per Crippa un ordine si può formulare in diciassette. Lo ha calcolato. E’ modesto. Ha appena scritto un libro con Giuseppe Girgenti, “Umano, poco umano” (Piemme) contro l’intelligenza artificiale, un pamphlet contro alcuni dei suoi pari, vale a dire Sam Altman, l’ad di OpenAI, Elon Musk, Mark Zuckerberg e Bill Gates, colpevoli di voler assemblare un “supermondo”. In Italia, in televisione, basta il suo. Quando l’intelligenza artificiale regolerà la vita, la naturale, quella di Crippa, avrà escogitato un piano per sabotarla, piegarla al “crippismo”, il più antico pensiero occidentale: “Meglio temuti che amati”.


Crippa sa annientare. Pensa che debba essere ancora l’uomo a farlo e non l’algoritmo. Beve vino rosso perché “i superalcolici sono di destra”, chiede caffè macchiato perché gli piace l’idea della macchia fatale che colora la cappa del torero. Ama la Spagna, la tragedia, tutto ciò che si risolve con la caduta. Mai la sua. E’ nato a Roma, al quartiere Olimpico. Il padre, Giuseppe, siciliano, di Caltanissetta, era un tenente dei carabinieri, poi responsabile della sicurezza della Ibm, la prima azienda che ha assunto il figlio come young communicator. Crippa faceva parte di quella che viene definita “la cucciolata Ibm”, una generazione di comunicatori che include Vittorio Meloni, Beppe Pescetto, Laura Pollini, compagna di Luciano Benetton, Marco Pogliani. La madre, Maria, era calabrese e leggeva il Corriere, gli articoli di Enzo Bettiza. Abitavano a Milano, al quartiere Affori. La sorella di Crippa, Paola, è impiegata a Mediaset. Si è diplomato al liceo Manzoni, la scuola di Enrico Mentana e dell’architetto Stefano Boeri. A 18 anni ha fondato, insieme a un gruppo di ragazzi, Radio Milano Libera, l’altra Radio popolare, che aveva gli studi prima a Porta Romana e poi Carrobbio. Conduceva un programma, una striscia di informazione. A 23 anni era giornalista professionista. Gli arnesi del mestiere gliel’ha consegnati Gian Piero Dell’Acqua, firma di Repubblica Milano, uno che fumava Gitanes pure a letto. Le sigarette di Crippa erano le Ms e poi le Marlboro. Capanna lo chiama ancora “il rigoroso Crippa” e nei suoi ricordi sta “insieme a Giovanni Cominelli, Luca Cafiero e soprattutto a Gino Strada. Eravamo sofisticati, i lord della sinistra”. A 29 anni era dirigente della Mondadori che ha la sua sede, a Segrate, a cento metri da Ibm, la multinazionale che aveva affidato a Crippa la sua rivista interna. La sera, dopo il lavoro, scriveva articoli che spediva a Panorama. Gliene pubblicarono due, uno sull’uso delle bretelle e l’altro sul papillon. Nel 1998 era già passato da Mondadori e Fininvest. A Mediaset lo chiama Confalonieri, membro del consiglio di amministrazione insieme a Gina Nieri, che è direttrice degli Affari istituzionali di Mediaset. Sono entrambi, Crippa e Nieri, le ricche creature di Confalonieri che Crippa chiama “l’altro padre”, definisce il “tutto”, da cui ha imparato che la “vita è solo sorte. Io sono stato incredibilmente baciato dalla sorte nell’incontrare Confalonieri come Confalonieri nell’incontrare Berlusconi. Può accadere che il fato mi chieda il conto. Mi farò trovare”.


Non è religioso. Non crede in nessun Dio. Se ne incontra uno gli spiegherebbe che è sostituibile pure lui e che “è solo una modifica di palinsesto, poi lo spettatore si abitua”. Si è laureato in filosofia, pochi anni fa, alla Vita-Salute San Raffaele, ma solo perché Confalonieri lo metteva alla prova sulla storia del Quattrocento, su Pipino il breve, sui filosofi francesi e lui non sapeva rispondere. Farfugliava. In quegli anni da universitario, adulto, si era invaghito dei testi di Diego Fusaro. Per cinque anni ha studiato un’ora a sera, dopo il lavoro, sbuffando, maledicendo i Plantageneti, poi usciva e andava a fare karate in una palestra, al centro di Milano. E’ cintura blu. A Roma ha l’ufficio a Largo del Nazareno. E’ lo stesso palazzo dove ricevono Gianni Letta, Confalonieri e poi Crippa che non dorme nella Capitale perché “questa città si può sopportare solo se la sera si fa ritorno a Milano. Sono due magnifiche città e come tutte le magnifiche città non tollerano la monogamia”. Ha una compagna, un figlio. Un giorno, in un ristorante di piazza Ungheria, a Roma, una donna, a pranzo con un manager, si è avvicinata per salutarlo e Crippa le ha risposto: “Sei vicina all’uomo sbagliato” e lei: “Solo perché a te il meglio non bastava”. Il giornalismo femminile di talento lo appassiona e la passione è un sentimento che merita una prima serata di talento. In inverno veste di velluto rosso, in estate di lino ocra. Colleziona delle penne verdi, francesi, come faceva Gae Aulenti, le Ball Pentel, “perché mi ricordano gli anni Settanta. I miei anni”. Li ha trascorsi, la sera, in una locanda che si chiamava “Il greco” dalle parti di corso Ticinese che raggiungeva a bordo della sua Seicento blu, di seconda mano. La prima auto nuova, che gli aveva regalato il padre, una Autobianchi A112, venne rubata la prima notte. Ha inventato Videonews, la macchina informativa di Mediaset, che ha ridotto, scientificamente, il perimetro dei Tg, perché Crippa aveva bisogno del giardino. E’ il padroncino delle notizie. Lo lascia curare ai suoi botanici di fiducia che sono Paolo Liguori e Siria Magri, “i suoi amici piccoli” con cui va in vacanza, anche queste piccole, perché, come diceva a Forte dei Marmi, a un direttore di un quotidiano, “non mi piace stare fermo, ma detesto tutti quelli che corrono, in particolare i ciclisti. Sono indisciplinati. Superano a destra. E’ naturale metterli sotto”. Si trattiene dalla strage.


Oggi tutta l’informazione Mediaset fa riferimento a Crippa a eccezione del Tg5, del direttore Mimun, che a Mediaset rappresenta una repubblica indipendente e che per Crippa è un direttore “insostituibile”. Sono compari ma è solo deterrenza nucleare, come quella che c’è tra Crippa e Meloni, a cui tutela il compagno Andrea Giambruno, o come quella tra Crippa e Salvini, a cui tutela Mario Giordano. Silvio Berlusconi lo aveva incaricato di fare “l’ammortizzatore”, di gestire le proteste dei leader che Crippa da venticinque anni vede fiorire e appassire: “Occupatevene”. Se ne occupa adesso per conto di Pier Silvio, che è l’editore “moderato e responsabile”. Ogni volta che a Crippa rivolgono la domanda “ma Pier Silvio farà politica?” lui la ribalta e chiede “quale editore che non edita la Settimana enigmistica non fa politica?”. Per Crippa la “politica è una seccatura”, i conduttori televisivi dei fusibili che si possono rimpiazzare. Fanno eccezione i creatori di tv, ma quelli sono pochi, “De Filippi, Costanzo, Ricci, Mentana, Tortora”. Nella lista manca il suo nome perché Crippa si ritiene “un produttore di tv”. Si è inventato, dopo la fine di Verissimo, condotto da Cristina Parodi, il pomeriggio di Canale 5 e lo ha affidato a Barbara D’Urso ma solo per dimostrare, come il fisico Oppenheimer, agli uomini, a Mediaset intera, che in televisione lui può essere Vishnu del Bhagavad Gita, il distruttore dei mondi. Dopo l’addio di D’Urso, quest’estate, quando Pier Silvio Berlusconi ha deciso di assumere Bianca Berlinguer, Crippa ha spostato Myrta Merlino al pomeriggio, che è la parte della giornata perfetta. Il suo libro è “Morte nel Pomeriggio” di Ernest Hemingway, il saggio diario sulla corrida, sulla crudeltà. Abita a Milano nel quartiere City Life ma in una casa degli anni ’70 perché “conosco il valore del denaro, io non sciupo”. Ha un autista personale ma gli piace fare l’umano che è un altro modo di fare lo snob. Si muove in metropolitana, la verde, fino a Cascina Gobba, poi prende la navetta aziendale. A una cena ha detto che “la pedonalizzazione di Milano ha aumentato gli incidenti e non ha diminuito l’inquinamento. E’ solo ideologia. A me non piace tutto ciò che è ideologico”. Quel famoso incontro del 1988, che gli ha cambiato la vita, con Berlusconi, a Segrate, è stato possibile solo perché “tutta la vecchia Mondadori era ideologica. Io me ne fregavo. Sono andato ad accogliere Berlusconi perché mi sembrava buona creanza”. Era il suo investimento. Si espose a favore di Berlusconi durante la guerra di Segrate ancora in corso. Il direttore generale di Mondadori, Corrado Passera, che stava dalla parte di Carlo De Benedetti, lo mandò a chiamare per dirgli di cercarsi un altro lavoro. Per calpestarlo, due volte, decisero di nominare come suo capo, un altro Crippa, di nome Sergio. Quando Berlusconi vinse la sua guerra, nessuno ha mai più saputo dove è finito Sergio. C’è un video brevissimo, su Youtube, una risposta di Crippa che sintetizza la sua idea di come si vive, avrebbe detto Eugenio Scalfari, di come “si campa”: “Se una persona fa un errore ma lo fa in buona fede è un errore che devi comprendere, ma se l’errore è per danneggiare qualcuno altro, allora bisogna essere un po’ cattivi”.


A Mediaset nessuno può permettersi di essere cattivo con lui, dato che è Crippa l’amministratore delegato della cattiveria. Ha il monopolio. In tutti questi anni ha rilasciato una sola intervista intima, per “simpatia”. Quando viene a sapere che un giornalista sta per scrivere di lui, si limita al consiglio: “Meglio lasciare perdere”, dopo si fa questa domanda: “Come possiamo fermarlo?”. Sono ritenuti suoi clamorosi errori la sostituzione di Mentana con Alessio Vinci, l’uomo Cnn, una meteora, così come l’assunzione di Gerardo Greco come direttore del Tg4; un’altra parentesi finita nella più lauta delle buonuscite che la storia del giornalismo ricordi. Sono suoi eccellenti disastri, gli ultimi, la gestione di Giambruno, il compagno della premier, i fuori onda di Striscia la Notizia su Giambruno, l’uscita di Augusto Minzolini da Rete 4, che faceva i migliori ascolti possibili, nella striscia preserale del fine settimana. E’ a carico di Crippa il 2.6 per cento di share che giovedì sera ha totalizzato Bianca Berlinguer con il programma “Prima di domani”, la stalla di Mauro Corona e di Orsini, il professor Kubrick, l’invasato Dottor Stranamore. Sono crimini contro l’umanità televisiva i tentativi di Crippa di servire Berlinguer, la sciantosa, di favorirla togliendo perfino la pubblicità, spostando Forum di Barbara Palombelli, la sola eleganza che Mediaset possiede e che non sa custodire. Sono solo una piccola parte dei danni collaterali di Crippa, l’uomo che da bambino voleva fare il domatore. Ce l’ha fatta. Non ha mai cercato la televisione colta, anzi, quando lo accusavano di fare la tv spazzatura, del dolore, l’orrida, a Mediaset, gli hanno sentito dire che “quella tv pagava gli stipendi e che quell’intuizione meritava una statua a Cologno”. Divide l’informazione televisiva in informazione da “volume alto”, quella di Mario Giordano, dalla “geniale”, quella di Paolo Del Debbio, l’unico capace di creare l’attesa perché “sa maneggiare lo spavento, la catastrofe e me piace il flusso di coscienza, chi sa evocare la catastrofe”. E’ Crippa a pensare che “la tv perfetta durerebbe un giorno” e che come Leonardo Sciascia “la verità è meglio inventarla” perché si fa peccato quando si tradisce, ma si migliora la verità, si fa arte, “se il fatto lo sai tradire”. E’ l’esecutore materiale del licenziamento di Enrico Mentana da Mediaset, il dirigente che avrebbe smascherato la sporcizia, il ricatto di Emilio Fede contro di lui, e provocato l’allontanamento definitivo dall’azienda. E’ il manager che la sera della morte di Eluana Englaro, febbraio 2009, non ha fermato il Grande Fratello, perché “ci sono i tg. La notizia era coperta. Dovevo salvare milioni di investimenti”. A Cologno ricordano le urla di Mentana che non gli ha mai voluto male perché anche la collera va in prescrizione. A Vittorio Feltri ha fatto saltare una striscia televisiva che aveva chiesto espressamente Silvio Berlusconi, una specie di anti Fatto di Enzo Biagi. Non se ne fece nulla perché per Crippa era “possibile dire ‘no’ a Berlusconi, ma il difficile era saperlo argomentare”. Replicò con una lettera, al Corriere, a Giovanni Sartori, il padre della politologia, studiato in America, che aveva insolentito il Cavaliere.


A dargli la notizia della morte di Berlusconi, il “mio 11 settembre”, sarebbe stato Carlo Gorla, il suo terzo. Il secondo, il suo vice, è Andrea Delogu, il successore per linea ereditaria, un manager che possiede tre lauree, titoli che non basteranno mai a sostituire Crippa. Per superarlo servono i pantaloni alla zuava, il coltello nel polpaccio, qualche eccentricità, voluta, nel vestire, una penna verde, un iphone con la cover gialla, degli occhialoni o i mocassini di pelle di ghepardo yemenita. Serve rispondere al telefono come se si avesse appena strangolato qualcuno a mani nude per il “bene dell’azienda”. La straordinarietà di Crippa è la sua irriproducibile ferocia. E’ uno stile. L’uomo probabilmente si può migliorare, sostituire, e si può arrivare a immaginare lo scontro tra intelligenze artificiali e umani. Ma è proprio allora, in quel pomeriggio, durante la battaglia definitiva, quando per sopravvivere sarà necessario tornare allo stato di natura, è allora che serve uno come Crippa, la sua filosofia, “se un nemico ti prega non respingere la sua richiesta, ma fai attenzione, non è diverso da un cane”. I Crippa permettono ai capi di dormire, di mangiare carotine lessate, di preoccuparsi del master del figlio, di limarsi le unghiette. Sono loro, quelli come lui, gli spazzini dell’anima, la menzogna e la carne, creature notturne come i pipistrelli che abitano l’immaginario di Crippa. Nel suo studio, vicino al ritratto di Marx, giganteggia un pipistrello speciale, un’immagine, una magnifica impostura, come è Crippa. E’ Batman che a Gotham City, di notte, con una bomboletta scrive: “Il vero nome di Batman è Clark Kent”.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio