A Ferragni più che un Damato servirebbe Amato

Michele Masneri

A City Life traballano le sorti di Fabio Maria Damato, braccio destro di Chiara, come spesso accade amico del cuore-confidente-factotum. Forse dovrebbero sostituirlo con un lobbista di primo livello

Esiste una correlazione tra la produttività stagnante delle imprese italiane, la mancanza di taxi e il Natale tumulato di Chiara Ferragni e Giorgia Meloni. Ma andiamo con ordine. Si era già detto, vite parallele (non proprio Plutarco, ma insomma) delle due femmine fatali alla patria. Famiglia matriarcale, compagni non proprio proattivi alla causa, mamme fondamentali e papà no, e tanta tigna e spirito del tempo. Però le due vite vanno avanti, nella reclusione natalizia. Ci sono infatti due compound in questi giorni nebbiosi e uggiosi, nella noia che separa il Natale dal Capodanno, in cui due donne di cui si vorrebbe sapere tutto e tutto scrutare si negano alla vista. A Milano, nel quartiere City Life, genere “case di calciatori” aggiornato a “casa di influencer”, Chiara Ferragni è chiusa, sigillata, tumulata.  

 

Per suprema nemesi immobiliare, visto che da poco si era compiuto il trasloco, sempre stesso compound, matita di Zaha Hadid, curvature, no-place che potresti essere a Dubai come a Carugate, lì, tra le finiture di prestigio, “Chiara” non esce, non si mostra, mentre tutti i Reali anche più neghittosi si concedono al popolo come si è visto nell’atteso documentario sul primo anno di Re Carlo sulla Bbc. Ma qui siamo tutti ansiosi della nuova stagione Ferragni, altro che “The Crown”. Ce la farà a riprendersi, e gli sponsor e i follower, i nuovi sudditi, la vorranno ancora? Quale “plot twist” o colpo di scena lei, sublime sceneggiatrice di sé stessa, metterà in atto? Lei, che è anche scenografa (sempre di sé stessa) si è mostrata solo in una piccola “walk of shame” al parchetto comunale, fuori dai soliti set da rich kid. Pare abbia annullato anche la settimana bianca. Fioriscono i meme: poveretta, chiusa nei suoi ottocento metri quadri o quel che l’è. Ma in un’altra City Life, con finiture non allo stesso livello ma siam pur sempre a Roma, e aiuole non così curate, l’altra dama del mistero si sottrae, Giorgia Meloni, lei invece non influencer ma influenzata, di un’influenza selettiva, che va e viene ma che le impedisce di presentarsi per i consueti saluti al Quirinale, e poi alla conferenza stampa di fine anno (ma non alla recita della piccola infanta Ginevra). L’hanno vista pure in aereo, aereo di linea e non di stato come ai tempi gloriosi (i tempi gloriosi erano fino a dieci giorni fa, prima del pasticcio sul Mes, e con Giambruno in sella). Ora Giambruno forse è riconciliato (è stato visto pure lui sull’aereo, ma distante). Il Torrino, il quartiere dove Meloni risiede, non lontano dall’aeroporto, potrebbe essere un City Life romano, costruito negli anni Ottanta, nella capitale disarticolata dove non esiste il frenetico rebrandingmilanese, non esistono i NoLo a Roma, e il anzi “er” Torrino però non ha niente da invidiare. Sempre lì Meloni aveva già rogitato per un altro villone, con piscina e pannelli solari, prima del Giambruno-gate, chissà. Ci abitavano anche i Totti, garanti immobiliari del quartiere, poi adesso solo Ilary nella casa dai mille caveau che abbiamo visto nel documentario Netflix, con l’amica fidata Alessia, amica-manager-parrucchiera tutto fare. A City Life invece traballano le sorti di Fabio Maria Damato, braccio destro di Ferragni, come spesso accade amico del cuore-confidente-factotum, pugliese di Barletta inurbato a Milano, bocconiano (ma c’è una diatriba se abbia conseguito o no l’agognata laurea). E sempre in tema bracci destri, Patrizia Scurti che farà? La segretaria particolare – eminenza grigia della presidente del Consiglio, detta anche “la Kissinger di Meloni” (copyright Carmelo Caruso del Foglio) – cosa ci starà preparando?

 

Il fatto è che nella vita e nell’opera di Meloni e Ferragni, queste donne di formidabile ascesa e tigna e talento, sembra sempre mancare il momento-Cernobbio, inteso come il famoso forum dove si radunano gli imprenditori sul lago e si confrontano col mondo, tanti anche per la prima volta, il momento della trasformazione del piccolo imprenditore in medio e poi grande. Forse non c’è bisogno proprio di un Kissinger, che come si sa era consigliere dell’Avvocato Agnelli. Però di un Gianluigi Gabetti proprio sì, o di un Franzo Grande Stevens, che dell’Avvocato erano legali regali. Agnelli non si era fatto da sé e gli veniva più facile. Quando si passa dalla fabbrichetta alla Confindustria, il piccolo cumenda che ha fondato l’impresa al suo tornio è sempre restio a professionalizzarsi. Meloni aprirà il cerchio magico tolkeniano, dopo i pasticci europei, a intelligenze non legate da appartenenza tribale? Du côté de City Life pare che Ferragni stia assoldando professionisti legulei e di comunicazione e si teme per le sorti del povero Damato (forse dovrebbero sostituirlo con Giuliano Amato. Non servono infatti solo legali e comunicatori ma visto che i Ferragnez si occupano anche di politica, dei consulenti e degli emissari politici. Dei lobbisti di primo livello).  

 

Nel nuovo capitolo, nella nuova stagione di queste due donne imprenditrici di sé stesse, scatterà questo momento Cernobbio? E perché è così difficile fare il salto? Sarebbe bello se lo facessero due donne, dove molti uomini prima di loro non son stati capaci. Conterà la lealtà ai vecchi amici e sodali? La solita cultura cattocomunista? Piccolo è bello? Intanto che le rappresentanti del matriarcato si negano, e i bracci destri tremano, il tasso medio annuo di crescita della produttività del lavoro in Italia nel periodo 2014-2022 è stato dello 0,5 per cento, contro una media europea dell’1,3, ha fatto sapere l’Istat qualche giorno fa. L’Italia ama il piccolo è bello, la fabbrichetta che tiene pochi operai e giammai vorrà ingrandirsi, e trasformarsi nella cattiva multinazionale (Dio non voglia, le spiagge senza le nostre parmigiane e il cibo tipico, come denunciò la ministra Santanché. E i sacri taxi in Uber!). Il cattivo Wall Street Journal nei giorni scorsi ha scelto proprio le code per gli inesistenti taxi e le spiagge sovraniste per spiegare la mancanza di crescita del nostro paese. Nelle City Life di Ferragni e Meloni chissà se qualche braccio destro l’avrà messo in rassegna stampa.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).