Governo

Meloni si scusa con Draghi e ai fondi dice: "Io e lui siamo amici". L'Albania boccia il Trattato sui migranti

Carmelo Caruso

Al Senato per la seconda volta spiega che non voleva colpire l'ex premier e parla di veto sul Patto. L'idea è recuperare l'ex presidente del Consiglio, che ritiene la sua "carta coperta", dopo le Europee

Tra Merkel e Vannacci sta scegliendo Vannacci. Giorgia Meloni ha iniziato a leggere il mondo al contrario. E’ in paradiso e parla di tenebre, attacca Mario Draghi e poi si scusa. Ed è ancora fortunata. Elly Schlein non ha capito che la premier le ha regalato un Draghi di Natale. Per mettere una pezza allo sbrego di martedì sera, alla frase, “la politica estera non è farsi le foto con Macron e Scholz”, Palazzo Chigi stava per spedire un mazzo di fiori alla moglie dell’ex premier, Serenella. Al Senato, dopo un comunicato che era già di pentimento, una telefonata personale con Draghi, Meloni ha dichiarato: “Lungi da me dal criticare Draghi. Tutti sanno cosa ne penso della fermezza di Draghi sulla questione ucraina. Il treno per Kyiv l’ho preso pure io”. Ed è vero. Quando non legge l’opera del generale, ai fondi internazionali dice che di “Draghi lei è amica”.  La spiegazione di Chigi è che Lia Quartapelle, del Pd, le avrebbe fatto perdere le staffe. Dalle parti di Draghi ufficialmente limitano l’incidente a “si è subito corretta”. Sta trionfando Matteo Salvini. Per inseguire lui, che insegue lei, Meloni è entrata in birreria.

Se c’è uno che da due giorni brinda, quel qualcuno è il leader della Lega. Il senatore Claudio Borghi, per ricordare la posizione, “mai cambiata”, sul Mes, ha postato un  vecchio messaggio di Salvini   datato 2019: “Non firmiamo un cazzo”. Ieri  mattina, in radio, Salvini ha ribadito che sul Mes è ancora “no”, ma il capolavoro è stato quando gli hanno chiesto cosa ne pensasse di Meloni che attaccava Draghi: “Strano, mi sembra che i due abbiano sempre avuto un buon rapporto”. Il rapporto è confermato dallo staff di Meloni. Il Foglio ha dato la notizia che Meloni e Draghi, dopo l’incidente, si erano sentiti e lo staff faceva notare che tra i “due c’è un rapporto di interlocuzione continua, cosa vi stupisce?”. Devono essere le fasi di Luna buona. A Meloni accade nelle notti di Luna piena di entrare nella fase Vannacci. Al Senato, sempre per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, Meloni, neppure fosse Giuseppe Conte, un leader di opposizione, ha sventolato la prova regina, il “fax” di Luigi Di Maio, che ha impegnato l’Italia sul Mes. Lo agitava come prova del patto sceleris, un patto sottoscritto, ripeteva, sempre “con il favore delle tenebre, alla chetichella”.

Le “tenebre” sono un suo vecchio canovaccio che le è servito  a  vincere le elezioni. Meloni le elezioni le ha infatti vinte, ma la natura non si cambia. Ha pure trovato un nuovo amico, Mario Monti, che stupendo tutti, al Senato, suggeriva alla premier di farsi sentire contro i tedeschi, di mettere il veto sul Patto di stabilità. Lo sanno tutti che Monti rivendica la palma dell’italiano che ha salvato l’Italia e che Draghi gliel’ha potata in malo modo. Ma questo è un altro discorso. C’è un bellissimo libro di Conrad (che ha scritto pure “Cuore di tenebra”).  Il titolo è “Linea d’ombra” e ben si concilia con il lessico ultimo di Meloni. E’ la storia di un marinaio che si lascia alle spalle la giovinezza per passare alla vita adulta. Meloni non ci riesce. Chi conosce Draghi spiega che la frase di Meloni “non era tanto una frase sbagliata, ma la prova di solitudine, la rivendicazione di una leader che non vuole nessun nemico a destra.Non muta”. A proposito, di solitudine. Di pomeriggio, la Corte albanese ha  bocciato l’accordo Meloni-Rama sui migranti. Più del Patto di stabilità, dei migranti,  a Meloni angoscia sentire che Salvini è  più a destra di lei. E’ combattuta.

Il vero leader a cui si ispira non è Almirante, ma Togliatti, il filosofo della doppiezza. Sempre al Senato, Meloni ha fatto sapere di essere pronta al veto sul Patto di stabilità, ma in Europa, questo non lo dice, sogna ancora di fare Merkel. E potrebbe pure. A Bruxelles, analisti notano ora che dei tre uomini della foto, la foto del treno diretto a Kyiv, Macron, Scholz e Draghi, quello messo meglio è Draghi. Macron e Scholz sono in difficoltà. Per quanto in difficoltà il meglio che i conservatori di Meloni e i sovranisti di Salvini possono ottenere è arrivare quarti. Pur indeboliti ci sono sempre socialisti, popolari, liberali, verdi e tutti loro hanno già fatto sapere che non vogliono trattare con la destra in birreria. Meloni potrebbe spingere Draghi, ritagliarsi la parte della cancelliera. Germania e Francia non vedrebbero l’ora. E’ da settimane che, attraverso spifferi, articoli di giornale, le lasciano intendere: “Partecipa al  tavolo, dialoga con le grandi famiglie europee”.

Le propongono il pacchetto von der Leyen, alla Commissione, e Draghi al Consiglio europeo. L’Italia potrebbe perfino avere due incarichi come è accaduto negli anni di Prodi e Monti.  Draghi, che ha capito ormai come funziona (dato che si è già scottato con il Quirinale) ha bisogno di Meloni quanto Meloni ha bisogno di Draghi. Nessuno impedisce a Meloni di porre il veto sul Patto di stabilità, ma senza Draghi (e Draghi è forte di questo) difficilmente riuscirà a far dimenticare all’Europa che l’Italia dei paesi Pigs è rimasta l’unica lettera. La Grecia ha duramente rimesso a posto i suoi conti, il Portogallo e la Spagna, sul debito, stanno meglio dell’Italia, e non a caso hanno pure lo spread più basso.

La verità per quanto Meloni si possa battere, mostrare fax, è che siamo sempre un paese debitore, quanto gli altri, per carità, ma molto, molto più degli altri. L’Europa, non chiamiamola nera, ma gessata, di Meloni non ha cittadinanza. “Lungi” davvero da attaccarlo, la premier continua a ritenere Draghi la sua “carta coperta”. Vuole fare tutta la campagna elettorale a destra, contro l’Europa, come Salvini, superarlo, per poi, e lo ha lasciato intendere a Draghi, sposarlo, una volta finita la battaglia. In politica è la vecchia pratica del doppio forno, in amore si chiama bigamia. Ma Meloni è sempre stata per la famiglia tradizionale. O diventa libertina per intero o vince Salvini che non vede l’ora di passare per magnifico cornuto.
 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio