Il retroscena

Meloni e la voglia di Europee: "L'annuncio non sarà ad Atreju"

Simone Canettieri

I ministri di Fratelli d'Italia: "Al 60 per cento scenderà in campo".  La premier studia i tempi per non dare vantaggi agli avversari. Intanto Gianni Letta le smonta la riforma del presidenzialismo

L’ora delle decisioni irrevocabili si avvicina: domenica 17 in chiusura della festa di Atreju, dopo una tavola rotonda con i vertici di Ecr, Giorgia Meloni potrebbe annunciare la sua candidatura come capolista di Fratelli d’Italia alle europee. Ci sta pensando. Ma è più no che sì. Qualora invece dovesse decidere di temporeggiare c’è un’altra data da segnarsi sul calendario: 21 dicembre, auletta dei gruppi a Montecitorio, consueta conferenza stampa di fine anno, organizzata dall’associazione Stampa parlamentare. 

Impossibile pensare che la premier non si aspetti la domanda dalle cento pistole. Continua a dire che vuole affrontare una cosa alla volta: prima la manovra, poi la sfida di giugno. Tuttavia la pressione inizia a farsi sentire. Importanti esponenti di governo, in quota Fratelli d’Italia, rivelano al Foglio: “Giorgia è combattuta, ma non è una che si è mai tirata  indietro per il partito. Quindi a oggi direi che al 60 per cento scenderà in campo”.     

Certo, ci sono dei pro e dei contro. Meloni sarebbe in grado di polarizzare su di sé la sfida per Bruxelles, alzando i voti di lista del partito che ha fondato. Allo stesso tempo, con ogni probabilità, costringerebbe anche Elly Schlein a pesarsi in prima persona. Personalizzando così un duello che va cercando da settimane, a discapito di Giuseppe Conte, leader del M5s tecnicamente da statuto grillino incandidabile perché già ricopre il ruolo di deputato (ma, certo, è solo teoria). Allo stesso tempo ci sarebbe solo Meloni in campo. Dando seguito alle dichiarazioni recenti non intende procedere con un rimpasto – se non spinta dalla cronaca – e quindi i suoi ministri rimarrebbero nei ministeri. Il primo ad avere detto “no, grazie” è stato Francesco Lollobrigida, uno dei pochissimi esponenti di governo, a godere di un proprio bacino elettorale in grado di portare un valore aggiunto di relazioni (l’altro è Raffaele Fitto). Allo stesso tempo, con Meloni capolista – anche la sorella Arianna pare non interessata – le altre donne veramente eleggibili, per l’alternanza di genere scivolerebbero tutte al terzo posto. E poi c’è la questione alleati: come uscirebbe il governo dalle urne davanti a una leader forte (secondo i sondaggi è di poco sotto il 30 per cento) e gli altri alleati, Matteo Salvini e Antonio Tajani, magari in affanno? Chi conosce Meloni racconta che questo aspetto la interesserebbe fino a un certo. Anche se l’idea di passare da chi cannibalizza la maggioranza lo considera un azzardo. Pro e contro. Anche perché dopo le europee il vero scoglio per il governo potrebbe essere rappresentato dal referendum sul premiato, “madre di tutte le riforme”. Un disegno di legge costituzionale che ieri ha incontrato anche lo stop di Gianni Letta, grande saggio di Forza Italia (“La riforma costituzionale presentata dall’attuale governo fatalmente ridurrebbe i poteri del presidente della Repubblica, perché la forza che ti deriva dalla investitura popolare è certamente maggiore di quella che deriva dal Parlamento: non sta scritto, ma è ovvio che poi nella dialettica chi è investito ha più forza”). Parole incendiarie politicamente e subito stoppate da Tajani: “Quelle di Letta sono affermazioni teoriche”. Sarà.

Pensieri, spinte e piani che si sovrappongono. E si ritorna così al gioco (e non al passo) dell’oca: l’evento di Atreju. Il cui taglio del nastro è previsto il 14 dicembre quando Meloni sarà impegnata a Bruxelles per un Consiglio europeo abbastanza cruciale sul patto di stabilità. Ieri sera in Via della Scrofa Giovanni Donzelli ha tenuto una riunione tecnica per iniziare a far prendere forma al programma. Non ci saranno Elly Schlein e nemmeno Giuseppe Conte (protagonista di un balletto interno a FdI: ok ti aspettiamo, no ci abbiamo ripensato). Sarà presente invece Matteo Renzi, leader di Italia viva. E chissà che non possa dire di sì – se invitato, ovviamente – Carlo Calenda, capo di Azione. Che infatti è atteso.  La macchina organizzativa della festa inizia a mettersi in moto. E girano già le prime grafiche da diffondere sui social tipo “Atreju è quel posto che se vai al bagno trovi solo due generi”. Tuttavia la cosa più importante rimane l’eventuale annuncio che al momento, fino a ieri sera, non era all’ordine del giorno per evitare di dare vantaggi strategici agli avversari. Termine lato che comprende un po’ tutti: fuori e anche dentro la maggioranza.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.