Il caso

Meloni e le grane Ue: lettera d'infrazione sui balneari e Mes verso un nuovo rinvio

Nel giorno in cui il premierato arriva al Colle, la premier si trova alle prese con le concessioni delle spiagge e sulla ratifica del Meccanismo salva stati: il sì ci sarà dopo la riforma del Patto di stabilità

A distanza di due settimane dal varo in Consiglio dei ministri “la madre di tutte le riforme” è arrivata, bollinata, al Quirinale. Il premierato tanto caro a Giorgia Meloni è nelle mani di Sergio Mattarella che ufficialmente si prenderà il  tempo necessario per leggerla (sono cinque articoli) e controfirmare. Meloni ieri è salita al Colle in occasione del giuramento dei nuovi giudici della Corte costituzionale. Il capo dello stato e la presidente del Consiglio non si vedevano di persona dal 4 novembre. Ieri si sono salutati prima e dopo la cerimonia senza  vedersi in disparte una volta terminato l’appuntamento  . I dossier, e i possibili punti di frizione, tra Palazzo Chigi e il Quirinale volendo non mancherebbero. Non solo per la scortese segretezza con cui il governo ha gestito l’operazione migranti in Albania, ma anche per i possibili rilievi del Colle sul dl carne sintetica per non parlare della vicenda balneari oggetto di una riunione di Meloni nel pomeriggio e soprattutto di una lettera dello scorso 24 febbraio di Mattarella “sulle norme da modificare rispetto alle concessioni”. Si entra così in una storica e identitaria battaglia della destra che Meloni per principio e tornaconto politico vuole portare avanti nonostante tutto. 
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E proprio su questo punto l’atteggiamento del governo è attendista, ma anche di sfida nei confronti della Ue. 
Durante il vertice a Palazzo Chigi è emerso il timore che già la prossima settimana possa arrivare la lettera d’infrazione di Bruxelles. Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha messo questa ipotesi sul tavolo. Se dovesse scattare il cartellino rosso della Commissione l’esecutivo si metterà al lavoro per scrivere una norma di riordino  partendo dalla mappatura.  Il tavolo tecnico ha sancito che è in concessione solo il 33 per cento delle coste italiane. Il 67 rimanente è quindi libero e questo dato sarebbe il punto sul quale insistere con la Commissione Ue per stabilire che la risorsa non è scarsa e, quindi, non è il caso di applicare la direttiva Bolkestein. Se nemmeno la norma di riordino non dovesse essere accettata il governo metterebbe a gara le concessioni balneari esistenti con dei paletti. Di sicuro per il centrodestra non sarebbe un buon viatico in vista delle elezioni europee di giugno. Maurizio Gasparri di Forza Italia, che ha partecipato alla riunione, spiega: “Vogliamo difendere il lavoro del governo: riteniamo che gli spazi  a disposizione per le nuove concessioni non siano scarsi e quindi che nuovi imprenditori abbiano spazio”. Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo traccia una serie di ipotesi: “Dalla possibilità di non applicare la direttiva europea fino a ipotesi intermedie. Vogliamo lasciare meno spazio possibile ad amministrazioni locali, magistrati, altre istituzioni dello Stato offrendo norme chiare, per tutelare un settore fondamentale”. Per il momento tutto rimane sospeso in attesa della possibile lettera di infrazione: la riunione è stata aggiornata alla prossima settimana. Di rinvio in rinvio e sempre seguendo questo sottile filo di tensione Meloni ha parlato con i suoi vice Matteo Salvini e Antonio Tajani più il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti anche di Mes, ma soprattutto di Patto di stabilità. La trattativa per le nuove regole del bilancio è partita in salita e sembra questa la vera battaglia su cui si concentrano i timori del governo. Il sì alla ratifica del meccanismo salva stati per la premier è stata sempre un’arma negoziale da inserire nelle trattative ben più complesse sul Patto di stabilità. Ecco perché in attesa di capire come finirà questa partita, il Mes resta parcheggiato. Sarebbe atteso la prossima settimana in Aula a Montecitorio, ma con due decreti in conversione e con l’informativa di Antonio Tajani è probabile che slitti tutto di altri dieci giorni. Ma per fare cosa? E’ convinzione diffusa del centrodestra, perfino anche di Matteo Salvini, che il sì sia inevitabile. Bisogna capire i tempi. Non è escluso che in questo sovrapporsi di tavoli e strategie tra Roma e Bruxelles il governo voglia prendere ancora tempo rinviando il testo sul Mes in Commissione, da dove era stato licenziato su spinta di Italia viva. Il Pd, e questa è una notizia, sembra andare incontro a Meloni. Con una soluzione per salvare capre e cavoli. La offre Enzo Amendola, capogruppo in commissione Esteri del Pd. La mediazione prevederebbe l’approvazione della cosiddetta “clausola alla tedesca” per la quale la eventuale futura attivazione può essere fatta solo con una maggioranza parlamentare qualificata. “Questa è l’ultima offerta – dice Amendola – e gli permette di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati”. Dopo l’approvazione della sospensiva lo scorso luglio, la maggioranza non può votarne una seconda, tuttavia, viene fatto osservare ad Amendola, potrebbe votare un rinvio in Commissione per guadagnare tempo. “E' vero - spiega l’esponente dem - ma allora Giorgetti non potrebbe più andare in giro in Europa a dire che è il Parlamento italiano a non voler votare la ratifica del Mes”.