Perché Giorgetti ha due grane da risolvere a Bruxelles  in autunno

Valerio Valentini

Il destino di Franco (Bei o Bce?) e la trattativa sul Patto di stabilità. In due mesi il capo del Mef si gioca molto. L’avviso di Gentiloni: "L'accordo sulle nuove regole va trovato entro il 2023"

Roma. Una cosa non l’ha detta, forse neppure pensata, eppure gli è stata attribuita. L’altra gli è scappata per davvero, invece, e in quel cedimento alla loquacità s’è intravisto un convincimento reale che è passato quasi inosservato. Frainteso, dunque? Chissà. E’ insomma il solito Giancarlo Giorgetti: un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma, o giù di lì. Come che sia, l’una e l’altra faccenda, quella non detta e quella sussurrata, quella della Banca europea degli investimenti e quella del Patto di stabilità, sono le due trattative che il ministro dell’Economia dovrà condurre a Bruxelles nell’autunno che verrà. 
La prima riguarda il destino di Daniele Franco. Che l’ex capo di Via XX Settembre vada dirottato verso la Bce è un’ipotesi che Giorgetti non contempla affatto. Che magari, è vero, sarà stata accennata in qualche colloquio a margine di un Cdm, ma senz’altro come scenario residuale. Perché quello preferito dal leghista vuole il suo predecessore come nuovo presidente della Bei, la Banca europea degli investimenti. E la concorrenza della spagnola Nadia Calviño, la presunta causa impediente del successo della candidatura di Franco, per i tecnici del Mef semplicemente non esiste. Perché è vero, sì, che il governo spagnolo aveva chiesto e ottenuto una proroga di tre mesi – da giugno a settembre – ipotizzando una promozione della ministra delle Finanze uscente. Ma lo scenario politico a Madrid è ora del tutto diverso: e della sua vicepremier e responsabile dei conti Pedro Sánchez ha estremo bisogno, tanto più che ad apprezzarne metodi e stile sono soprattutto quei catalani dai cui umori dipenderà la possibilità del leader socialista di restare alla Moncloa. E dunque, perché questa improvvisa cagnara agostana sul supposto ripensamento di Giorgetti circa il futuro di Franco, da indirizzare, si dice, verso il board della Bce? “Induzione alla mistificazione”, mugugnano al Tesoro, alludendo neppure troppo velatamente a qualcuno che, tra i colleghi di governo di Giorgetti, ritiene che, per dirla con un parlamentare di FdI, “se davvero Franco è il nome migliore, conviene puntarlo sulla Bce”. Ohibò. Di certo c’è che la speculazione patriottica rivela una certa confusione della maggioranza di governo. Non di Giorgetti, però: il quale resta sicuro della validità della candidatura di Franco alla guida della Bei, tanto più ora che, al Mef ne sono convinti, le credenziali della sua più temibile sfidante, la vicepresidente della Commissione Ue Margrethe Vestager, vanno scemando per via della dichiarata ostilità di Francia e Spagna, insieme alle quali facilmente l’Italia potrebbe porre un veto insuperabile in seno al Consiglio europeo di ottobre, quello che si preannuncia come decisivo. Senza contare, poi, che rinunciare alla Bei per ottenere un posto nel board della Bce sarebbe una mossa azzardata quanto mai, visto che la garanzia che a sostituire Fabio Panetta – da ottobre governatore di Banca d’Italia – nel consiglio direttivo dell’Eurotower sia un italiano non c’è. Dunque perché rischiare? (Valentini segue a pagina quattro)
A rischiare invece Giorgetti pare disposto sull’altro fronte: quello del Patto di stabilità. E il senso della scommessa l’ha rivelato lunedì scorso: “La Commissione europea, rispetto a qualche anno fa, ha completamente cambiato paradigma rispetto  alla clausola generale che non si è applicata in questi anni per il Patto di stabilità e crescita e che forse, spero di no, partirà dal primo gennaio 2024”, ha detto il ministro  al Meeting di Rimini. Auspicio un poco contorto, a ben vedere, e a cui dallo staff del responsabile di Via XX Settembre hanno subito suggerito di non dare grande peso. Ma basta consultare altri membri del governo che seguono il dossier per avere la conferma che sì, la strategia italiana è proprio questa: non accettare la proposta elaborata dalla Commissione sulle nuove regole fiscali – ritenute da Giorgia Meloni non abbastanza vantaggiose per l’Italia – e puntare a un rinvio, cosicché nel 2024 si proroghi la sospensione del Patto. Liberi tutti, insomma, almeno per qualche altro mese. Magari sfruttando la contrarietà che alla proposta della Commissione oppone anche la Germania, sia pure per i motivi opposti, e cioè ritenendo il nuovo pacchetto di vincoli troppo lasco sul fronte del debito. 
  E proprio questo, però, è il segnale che forse tanto sconveniente per l’Italia, questa proposta, non deve essere. E forse si spiega così il fatto che Paolo Gentiloni, che di quella proposta è l’estensore  in qualità di commissario agli Affari economici, l’azzardo sovranista sembra condividerlo poco. “Giorgetti dice bene, quando chiede a Bruxelles maggiore attenzione agli investimenti”, ha osservato Gentiloni poche ore dopo le dichiarazioni del ministro al Meeting. “C’è però bisogno di trovare un accordo con gli altri stati, e la Germania spinge in una direzione diametralmente opposta”. Di qui, dunque, la raccomandazione di Gentiloni: “Io dico che a un accordo bisogna arrivarci, e bisogna arrivarci entro quest’anno, per evitare un limbo inaccettabile”.
E qui, dunque, la parziale sintonia tra Gentiloni e Giorgetti diventa divergenza. Perché l’alzare l’asticella delle pretese italiane sul riconoscere un “trattamento di favore agli investimenti rispetto alle spese correnti”, come dice il ministro dell’Economia, pare in realtà uno stratagemma con cui il governo Meloni prova, semplicemente, a sabotare l’accordo che dovrebbe essere raggiunto a Bruxelles nel mese di ottobre. “In mancanza di un accordo ragionevole, è una strategia giusta”, spiegano a Palazzo Chigi. Che però, ammesso che sia giusta, sia terribilmente azzardata, lo ha ammesso ieri lo stesso ministro Raffaele Fitto, sempre a Rimini, quando ha detto che “il rischio è che, se non si trova un accordo, subentrino le vecchie regole”. Quelle, cioè, dell’epoca ante Covid. E allora sì che la scommessa di Giorgetti diventerebbe una disfatta. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.