visti da bruxelles

Le critiche della Bce al governo spagnolo per la tassa sulle banche sono un avviso per Meloni. Tensioni in vista

Valerio Valentini

Rischi per la stabilità finanziaria, effetto perverso sull'inflazione, ricadute sui costi delle operazioni e sui tassi dei mutui. A novembre l'Eurotower criticò duramente l'imposta introdotta da Sánchez sugli extraprofitti. Il Mef allora disse: "Non dobbiamo fare come Madrid". E invece ora compie gli stessi errori

Tassare gli extraprofitti bancari? “Creerebbe incertezza e colpirebbe negativamente la crescita economica reale”. Non solo: “indurrebbe gli istituti di credito a offrire condizioni meno favorevoli ai clienti”. Di più: spingerebbe le banche ad “aumentare i costi sui servizi forniti ai clienti” senza che il governo possa in alcun modo considerare illegittimi quei rincari. Col risultato paradossale di aumentare “il rischio di potenziare la spirale inflazionistica”, la stessa che la misura si prefigge di fermare. Questo è quello che pensa la Bce. O meglio, questo è quello che la Banca centrale europea metteva nero su bianco nel novembre del 2022, per stigmatizzare la proposta spagnola di introdurre una tassa straordinaria sugli extraprofitti bancari. E non è certo un’eccezione: perché le stesse obiezioni sollevate in quel caso, gli uffici dell’Eurotower le avevano formulate in ben altri cinque pareri, redatti tra il 2016 e il 2020, per giudicare analoghe iniziative prese, o prospettate, dai governi di Romania, Lituania, Slovacchia e Polonia. E presto, forse, a questa non esattamente rassicurante compagnia potrà aggiungersi l’Italia, visto che la norma contro “i margini ingiusti” voluta da Giorgia Meloni ricalca questi precedenti.

Nel caso iberico, la norma voluta da Pedro Sánchez, entrata in vigore nell’autunno scorso, contemplava un’imposta del 4,8 per cento da versare nel 2023 e nel 2024 per le banche che nel 2019 hanno vantato un reddito netto di almeno 800 milioni. Dunque, per certi versi, una misura meno indifferenziata rispetto a quella del governo Meloni, che si applica invece a tutte le banche.

E forse era stata anche preparata con meno approssimazione, se è vero che nel caso italiano la norma è stata prima annunciata in conferenza stampa da Matteo Salvini e poi, solo dopo una prima giornata di passione in Borsa, corredata dalla precisazione del Mef sui limiti della sua applicabilità. Se dunque già agli spagnoli la Bce aveva “raccomandato che la proposta legislativa sia accompagnata da una accurata analisi delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario”, tenendo conto dei “rischi connessi per la stabilità finanziaria, la resilienza del settore bancario e la fornitura del credito”, chissà come valuteranno a Francoforte una norma che viene presentata con una assai scarna relazione tecnica che “prudenzialmente” non stima il maggior gettito connesso.

Analoga è anche la destinazione d’uso della tassa. Sánchez ha dirottato gli introiti (calcolati dal governo spagnolo in circa 3 miliardi) al pacto de rentas, un fondo sociale per il sostegno alle fasce sociali meno abbienti colpite dall’inflazione. Meloni ha scelto che la tassa sugli extraprofitti andrà ad alimentare il Fondo per la prima casa, oltre che a “interventi volti alla riduzione della pressione fiscale”. Un’impostazione che non pare trovare l’apprezzamento della Bce.  “E’ indesiderabile utilizzare i ricavi derivati da prelievi forzosi nei confronti delle istituzioni di credito – scrivevano i tecnici di Francoforte a novembre – per finalità di finanza pubblica nella misura in cui fare ciò renderebbe le banche meno resilienti agli choc economici e, dunque, limiterebbe la loro capacità di offrire credito, spingendole a offrire condizioni meno favorevoli per i clienti”. Insomma: se l’idea è tassare le banche per agevolare i mutui alle famiglie, la misura rischia di produrre esiti opposti. Non solo. L’effetto perverso di una tassa introdotta “per combattere l’inflazione” potrebbe essere quello di alimentarla, l’inflazione. Per questo la Bce invitava il governo spagnolo “a limitare nel tempo” le misure contro il rincaro dei prezzi e “a indirizzarle solo a proprietari di casa e  aziende più vulnerabili, per limitare il rischio di alimentare la spinta inflazionistica”.

E poi c’è l’altra controindicazione inevitabile: quella per cui le banche, dovendo ammortizzare l’imposta, si rifacciano sui costi dei servizi offerti, con tassi meno vantaggiosi e operazioni più costose per i clienti. Da questo punto di vista il governo Sánchez era stato più previdente di Meloni, introducendo un meccanismo di controllo sull’andamento dei prezzi dei servizi offerti dalle banche, con un monitoraggio delegato all’Antitrust nazionale e una sanzione pecuniaria per gli istituti che sgarravano. Eppure la Bce aveva sollevato molti dubbi. E aveva chiarito che gli aumenti del costo dei servizi (sia sulle operazioni, sia sulla concessione del credito), erano da ritenersi “tutti rincari legittimi”. Dinamiche di mercato, banalmente: contro cui, con buona pace degli statalisti di destra e di sinistra, c’è poco da inventarsi. “La Bce prevede generalmente – si legge nella relazione inviata al Parlamento di Madrid – che gli istituti di credito, in sintonia con le migliori pratiche internazionali, tengano conto, nella determinazione dei tassi da applicare ai prestiti tutti i costi rilevanti, incluse le considerazioni sulle tasse da pagare, nel caso in cui queste siano significative”. Dunque, in sostanza: se le banche si rifaranno sui clienti, non ci sarà granché da eccepire.

Verrebbe da dire che forse Meloni e Giancarlo Giorgetti avrebbero fatto bene a leggersi queste cinque pagine di relazione della Bce, prima di entrare in Cdm lunedì scorso. Ma il dubbio peggiore è che forse l’avevano perfino lette, se è vero che a maggio scorso Enrico Zanetti, uno dei consiglieri del ministro dell’Economia, pur prospettando la possibilità di una tassa sugli extraprofitti bancari raccomandava, in un’intervista concessa a Reuters, di “evitare di introdurre un’imposta simile a quella spagnola, che ha scatenato critiche e dispute legali”. Forse dunque, tra il Mef e Palazzo Chigi, la relazione della Bce l’avevano letta. Poi magari se l’erano dimenticata.
 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.