Il retroscena

Le banche tra Giorgia e Marina. Così ora la real casa di Arcore un po' mugugna contro Meloni

Valerio Valentini

Gli affari di Mediolanum e i vecchi "prospettini" del vecchio Cav. che ora vengoni recuperati. Forza Italia in subbuglio dopo la tassa sugli extraprofitti. Tajani si lamenta e in Fininvest si fanno i conti. L'ombra di Pier Silvio e le manovre della Famiglia che preoccupano la premier

Chissà se a Giorgia Meloni glieli ha mostrati mai, quelli che lui chiamava “i prospettini”. Agli amici più fidati, agli esponenti di Forza Italia con cui più era in confidenza,  il Cav. era solito sintetizzare i bilanci delle aziende di famiglia, con delle tabelle abbozzate a mano. Qualche voce in perdita, qualche buon dividendo. E poi, quasi sempre, la sorpresa finale: “Per fortuna che c’è Mediolanum”, sorrideva, col fare da istrione che sapeva che anche quella volta il numero era riuscito, e a quel punto calava la cifra sorprendente. E dunque tanto basta, dice chi conosce bene le dinamiche della Real Casa, per comprendere come mai, di fronte alle proiezioni degli analisti del gruppo che stimano  un impatto della tassa sugli extraprofitti che s’aggirerebbe intorno al 50 per cento degli utili della banca “costruita intorno a te”, ad Arcore non siano rimasti indifferenti di fronte agli annunci del governo. E forse non è neppure una semplice questione di bilanci. C’è che forse per la prima volta, da quando il patto tra Giorgia Meloni e Marina Berlusconi era stato siglato, nel febbraio scorso, un’incrinatura in quel rapporto s’è registrata, come un’interferenza fastidiosa su quella linea telefonica che ha più volte tenuto in contatto Palazzo Chigi con Via Paleocapa, la sede di Fininvest. Ed è così che chi ha parlato con Antonio Tajani, per spiegare le ragioni per le quali il ministro degli Esteri abbia voluto prendere le distanze dalla nuova tassa, dice sentenzioso: “E’ che la Famiglia non ha gradito”.

Che poi sia arrivata davvero, la telefonata con cui Marina ha suggerito, o forse imposto, il mezzo distinguo da parte del neo segretario nazionale, o che ci sia stato un semplice scambio di messaggi, è dettaglio forse irrilevante. Di certo c’è quella che  Tajani, coi suoi deputati, ha definito “una certa irritazione”. Per un’accelerazione non concordata, per gli effetti non adeguatamente valutati che quell’accelerazione avrebbe prodotto. “Per non colpire la credibilità del sistema Italia la norma dev’essere scritta bene e sarebbe stato meglio fare tutto a mercati chiusi”, dice ora il capo della Farnesina, che nelle scorse ore è tornato a cercare la premier, a chiedere delucidazioni. La risposta, manco a dirlo, è arrivata con un video – “Gli appunti di Giorgia”, format rispolverato per l’occasione – in cui Meloni ha rivendicato la bontà dell’operazione, rinnovando la battaglia contro “i margini ingiusti” (sic) delle banche.

E certo tutto ciò qualche scombussolamento deve produrlo, in FI, se forse per la prima volta da quando il partito s’è dato la nuova fisionomia iper governista, tutte le componenti si ritrovano a condividere analoghe sfumature di malcontento. Scuotono il capo Giorgio Mulè e Licia Ronzulli, dispensa scetticismo perfino Alessandro Sorte, uno dei tre moschettieri di Marta Fascina, uno di quelli che era con lei due giorni fa allo stadio del Monza: “Il provvedimento andrà corretto, per evitare di creare allarmismi nei mercati e negli investitori”. Si sarebbe potuto gestirla meglio, la faccenda? “Chi esulta, oggi, sono Conte e Schlein: e questo da noi ha fatto suonare qualche campanello d’allarme”. 

Gli stessi, dunque, che hanno allertato anche i vertici di Fininvest. Dove il disappunto andrà misurato nei prossimi giorni, e su una scala che segue logiche non necessariamente affini a quelle della politica di Palazzo, ma che certo poi inevitabilmente anche su quella si rifletteranno. Per Meloni, il rapporto con Marina è prezioso. Fondamentale, perfino, si rivelò nel momento in cui col Cav. la tensione raggiunse il culmine. Erano i giorni della visita della premier a Kyiv, gli stessi in cui Berlusconi andava dicendo che lui, a parlare con uno come Zelensky, mai e poi. Lì ci fu il contatto diretto decisivo, lì nacque l’intesa che ha consentito alla capa di FdI, grazie a una triangolazione complessa ma efficace, di disinnescare le tensioni azzurre grazie al legame con Tajani e, appunto, Marina. Rimettere in discussione questi equilibri, per un’ansia da prestazione elettorale con Matteo Salvini e per meno di 2 miliardi di gettito, pare una mossa avventata.

Tanto più   in un momento in cui le dinamiche della famiglia pongono incognite anche sul partito. Il ruolo di Fascina andrà definito, e la geografia interna a FI andrà, sia pure in parte, ridisegnata di conseguenza. Sempre che a sconvolgere gli equilibri non ci pensi, come in tanti continuano a sussurrare, proprio Pier Silvio. Il quale, a detta di molti parlamentari azzurri, sta portando avanti un’operazione di “costruzione del personaggio” di cui l’evento di due giorni fa – la grande pompa per il primo Trofeo Silvio Berlusconi, il suo intervento ad accompagnare il derby tra Milan e Monza – è stato solo uno dei molti episodi previsti, secondo una strategia che prevede già l’ipotesi di sondaggi ad hoc, per sondare il consenso. E questo, evidentemente, cambia prospettive e scenari dentro FI. Ed è forse lo scenario che, a prescindere dalle simpatie umane, Meloni non si augura. Il percorso ideato da Tajani – blindarsi prima delle europee, con un congresso in primavera che evitasse il processo interno, e i rischi sulla tenuta del partito che questo comporterebbe – era stata illustrato da tempo alla premier, che se ne era compiaciuta. Se tutto ciò venisse rimesso in discussione, se l’entropia scomposta che agita FI dovesse insomma riversarsi anche sul governo, ogni cosa, per la leader della destra, si complicherebbe.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.