Il reportage

Rivoluzionari da ombrellone. Il Csc è assediato dalla destra ma i partigiani sono in vacanza

Carmelo Caruso

Il governo azzera i vertici del Centro Sperimentale di Cinematografia. La presidente si dimette, ma la protesta può attendere. Gli studenti, assistiti dallo stato maggiore del cinema italiano, si sono accampati alle Eolie. Viaggio tra le aule deserte del Csc

Sembra un film di Paolo Virzì, ma girato da Checco Zalone: I rivoluzionari a Salina. Trama: “La formidabile resistenza di una generazione allo scoglio”. Motore. Sono giovani, e belli, di sinistra, sono in lotta contro il governo Meloni, che si sta “impossessando” del Centro sperimentale di cinematografia (il presidente e due membri della Fondazione si sono dimessi ieri, per protesta) ma, al momento, i rivoluzionari sono in vacanza, fino a settembre, mese in cui la lotta riprenderà. Promesso. Assicurato. Ce lo hanno detto loro, gli artisti del Comitato “Csc non si Lega”, il Comitato di liberazione in aliscafo: tutti principi di Salina come Don Fabrizio,  l’eroe del Gattopardo. Il cineasta italiano tipo si trova infatti nella piccola isola eoliana dove si sta “rigenerando”. Se lo chiamate al telefono vi rilascia 80 righe indignate contro “il sacco”, l’aggressione della destra: “Questi ministri sono peggio di Mussolini”. E’ l’opinione del regista Marco Tullio Giordana. Questa è invece la sentenza di Nanni Moretti, Ecce Bombo: “Dal governo, violenza e rozzezza”. Hanno voluto esprimere solidarietà anche Sorrentino, Guadagnino, Bellocchio, Garrone, Golino, Mastandrea, Trinca, Salvatores, Elio Germano e naturalmente c’è sempre Virzì che sta ovunque come Pino Insegno in Rai.

 

La lista è lunghissima, ma viene qui privilegiato il maestro che ha vinto almeno una sfogliatella di zucchero, ma deve essere a velo. Sconvolti dall’idea di poter raccontare un’insurrezione, una Budapest, la rivolta contro uno spietato regime, a soli quindici fermate metro, Barberini-Cinecittà, prendiamo contatti con gli insorti. Con tre euro  di biglietto metro, andata e ritorno, si è inviati come Tiziano Terzani nell’estremo oriente. Vogliamo cedere pure alla vanità del corsivo e fregiarci della sigla: dal nostro inviato a via Tuscolana, Roma. Reportage low cost. Ci siamo vestiti come i veri inviati che sono sempre vestiti come i registi. Abbiamo il gilet con dieci tasconi. L’ambulante sotto casa, informato del nostro viaggio, ci canzona: “Ahò.  Sembri er cacciatore”. Non c’è dubbio che l’indumento non funzioni e neppure il power bank (scarico) che avevamo collocato nel quinto tascone. Lo faremo presente ai costumisti. Ma cosa importa? E’ o no la magia del cinema? Sono 280 gli studenti del Csc, che ha ben cinque sedi in Italia, 280 ventenni che qui, in questo stato-palazzina, che fu un tempo libero, e democratico, del Pd, imparano il mestiere di sceneggiatore, montatore, fotografo, addetto luci, e il più ambito: quello del maestro. Tra di loro ci può essere il nuovo Bernardo Bertolucci, non si esclude il prossimo Luchino Visconti. Come suggerisce, con estremo neorealismo, il titolare del Cine Bar di Cinecittà: “A me pare che finiscono tutti a girare lo spot del pesto Barilla. Sia chiaro, a me piacciono gli spot. Basta non tirarsela tanto e non fare gli schizzinosi. Non credi?”. Ha ragione. Al Csc, che il governo sta calpestando con i suoi carri armati, vabbè, non proprio carri armati, ma con “un decreto accozzaglia” a firma della Lega  (stiamo recitando il copione, che è stato fornito dai quotidiani Repubblica, La Stampa) una generazione si è scoperta comunità occupata e “mette l’accento su un’ansia di recupero del collettivismo in campo artistico”. Ma che vor dì?


Come precisa Francesca, studentessa: “Purtroppo accorrete tardi. Adesso siamo lontani da Roma, ma valutiamo nuove forme di protesta che eserciteremo alla ripresa dei corsi. Perdonami,  per quale giornale scrivi?”. Quando il vile piano, ripetiamo, un emendamento della Lega, impilato nel decreto Giubileo (e approvato) è stato scoperto, quando il vile piano, che prevede il cambio di natura, una nuova governance della Fondazione Csc, è stato smascherato dai giornali progressisti, ebbene, orde di leoni, pardi e palme d’oro sono venute a parlare, a rraggionare. Elly Schlein in una conferenza stampa ha anticipato: “Siamo di fronte a una battaglia per le prossime generazioni. Dobbiamo allargare la lotta anche ad altre istanze”. Ingrao è tornato.
 Ma illustriamo meglio la natura del disegno spregevole, il decreto Lega (deve essere ancora convertito in legge) che avrebbe come obiettivo quello di “gestire ben 37 milioni di fondi Pnrr oltre ai 14 milioni di euro ogni anno destinati dal governo al Csc”. Il Csc si compone della Scuola nazionale di Cinema e della Cineteca nazionale. E’ già un film di Francesco Rosi: Le mani sulla poltroncina. L’emendamento lo ha pensato il leghista Igor Iezzi che siede in Commissione Affari Istituzionali. Iezzi contro Sorrentino: a questo siamo arrivati. Il Csc ha un cda nominato, quasi interamente, dal ministero della Cultura (4 membri su cinque, uno lo esprime il Mef). Il Cda in carica è stato indicato dall’ex ministro della Cultura, del Pd, Dario Franceschini. La presidente, fino a ventiquattro ore fa, era Marta Donzelli, produttrice cinematografica, e il suo mandato scadeva fra due anni, così come scadeva, fra due anni, quello dell’attrice Cristiana Capotondi e di Guendalina Ponti. Donzelli, Capotondi, Ponti si sono dimessi con una lettera e ringraziato: “Un grande augurio agli allievi della Scuola Nazionale di Cinema che si sono a lungo, e invano, mobilitati contro l’emendamento poi approvato”. Più che invano a via Tuscolana non ci stanno e non li ha mai visti neppure il barbiere algerino di “Machete barber” che taglia capelli e non ha tempo di fare cinema: “Ma chi sarebbero questi del Centro Sperimentale?”. La proprietaria di un’accademia di pasticceria, sempre di via Tuscolana: “Una rivoluzione, qui? Non sapevo nulla”. Il benzinaio musulmano dell’Ip ci fa segno di allontanarci appena sente la parola cinema: “Diesel o benzina. Niente Gpl. Ho solo questo”. E’ più efficace di un direttore generale.

 

Uno vorrebbe fare arte, ma non può esserci arte senza organizzazione. Il cda della Fondazione Csc, nominato dal governo, nomina a sua volta i membri del comitato scientifico del Csc: il comitato scientifico governa la scuola di cinema.  La scuola rilascia titoli di studio a tutti gli effetti, come un’università. Si entra al Csc tramite selezione, un bando. Il titolo è “equipollente”. Ogni studente ci tiene a farlo sapere. E’ come il Dams, ma meglio. Non si sa mai, magari un concorso pubblico… Ma non facciamo spirito. Il comitato scientifico decide i prestigiosi corsi da tenere in questo palazzo che, bisogna dirla tutta, è un palazzo di architettura fascista, con tanto di font modello Dux, sulla facciata, dove adesso svolazza uno striscione da centro sociale: “La cultura non si lottizza. Il Csc non si lega”. Tre custodi all’entrata. Sembra l’assessorato alla Sanità della Regione Sicilia. Entriamo. Nel 1935 il Csc si chiamava Scuola Nazionale di Cinematografia ed è tornato a chiamarsi così per volere di Veltroni. Al tempo lo hanno voluto Galeazzo Ciano e il suocero, il capoccione, il Duce. Il regista Alessandro Blasetti ne è di fatto il padre, il primo a immaginarlo. Il Csc si trova a pochi metri dagli studi di Cinecittà, fermata metro Cinecittà, ma meglio scendere alla metro Subaugusta. E’ più vicina. In realtà oggi, di fronte al Csc, a dirla tutta, c’è la Coin e il centro commerciale e all’interno un Compro Oro. La commessa del Compro Oro: “Una protesta? Cado dalle nubi”. Vince sempre Zalone. Se si cammina, poco poco, si arriva alla vecchia sede dell’Istituto Luce. E’ cambiato tutto come nei film di Pier Paolo Pasolini. Al posto della Luce (l’istituto) c’è l’ufficio anagrafe del municipio X e la scuola permanente di Polizia municipale. Un vigile urbano vi risponde: “Ma quale luce. Qui solo municipio”. Hanno studiato al Csc maestri come Antonioni, Steno, Germi, Bellocchio, pure Gabriel García Márquez, che però ha lasciato per protesta. La protesta nella scuola dove si impara a fare cinema di protesta. Sarebbe come minimo Orso d’Oro a Berlino. Coproduzione con i sudamericani. Che sceneggiatura.


L’ultimo grande maestro venuto fuori dal Csc è sempre lui: Virzì. L’altra è Francesca Archibugi. Ce lo confida il regista dissipato. Nel mondo cinematografaro romano esiste una figura che si contrappone al regista tipo di sinistra. Si tratta del regista dissipato. Niente a che vedere con l’intellettuale di destra che vi spalma Tolkien sul divano. Il regista dissipato conosce a memoria tutte le opere di Carmelo Bene, Ciprì e Maresco, e, instancabile, da anni, combatte contro lo “strapotere del Csc che, devi sapere, è una Rai più speciale. E’ la Normale di Pisa dei figli di, quelli che vogliono fare i registi per rimorchiare al Pigneto. Alle pischelle, la sera, dicono, ‘so regista’. Rimorchiano alla grande”. Il dissipato ha sicuramente subìto violenze (forse costretto a rivedere, con la forza, tutti i film di Bellocchio) ma vi offre numeri e, almeno lui, conosce tutto il sito del Csc dove, ci fanno sapere, quelli del Csc, “basta navigare e trovate le informazioni che ci chiedete”. Dunque, ancora il dissipato: “Te lo dico io cos’è il Csc. Marta Donzelli percepiva 100 mila euro. Il regista Daniele Lucchetti, che sulla Stampa ha rilasciato un’intervista contro l’emendamento della Lega, è docente, ha il corso. 36 mila euro. Su Repubblica, l’articolo d’autore, sulla protesta del Csc, è stato scritto da Paolo di Paolo che è curatore dell’ultimo numero di Bianco e nero, quadrimestrale del Centro Sperimentale. Ogni pubblicazione ha valore scientifico. L’ultima copertina di Bianco e Nero era dedicata a Nanni Moretti, il primo regista a protestare contro il decreto della Lega, mentre il direttore di Bianco e Nero è Alberto Crespi, che è stato critico dell’Unità”. Aveva capito già tutto titolare del chiosco Cine Bar: “La trama è sempre la stessa. Quelli de’ destra ce’ levano quelli di sinistra, quelli de’ sinistra, che dieci anni fa c’hanno levato quelli de’ destra, se lamentano che ce stanno a levar er cinema italiano. Me sembra tutto lineare”.


Il dissipato, che è dissipato, e che la notte, non visto, scrive sui muri, “Zalone è meglio di David Lynch” la ingrandisce: “La storia del Csc va di pari passo con quella dell’Unità. Quando si chiudeva l’Unità si finiva al Csc. Hai presente quanto volte ha chiuso e riaperto l’Unità? La sinistra li imbucava al Csc”. Non abbiamo dimenticato. La studentessa Francesca ci aveva chiesto per quale giornale scrivevamo e noi abbiamo confessato. La sua risposta è stata: “Il comitato non ha molto gradito i vostri ultimi articoli”. Una catastrofe. Come si può seguire una rivolta dalla parte sbagliata? Proviamo a difenderci dicendo che un articolo è un po’ come un film e non sempre alla critica piace. Francesca lo comprende, ma parlando a nome di un collettivo “le sembra giusto avvisare”. In pochi minuti siamo finiti dentro al film La Meglio Gioventù di Giordana, durante gli anni della contestazione. Si parla con la prima persona plurale e dopo tanto tempo, fragorosa, viene scandita la parola definitiva: “Uno schifo”. La nostra staffetta ci scoraggia dall’andare fino a Cinecittà anche perché “non troveresti nessuno”. Meglio di Sabino Cassese argomenta contro la riforma di destra, l’aggressione vigliacca: “Con questo emendamento accozzaglia la carica della nostra presidente Donzelli decade con due anni di anticipo. Viene eliminata la figura del direttore generale. Il nuovo comitato scientifico sarà composto da 6 membri indicati dai ministri della Cultura, dell’Istruzione, dell’Università e uno dal Mef”. C’è però qualcosa che non torna. Facciamo notare a Francesca che l’attrice Carolina Crescentini, meglio nota come “la cagna maledetta”, nel film cult Boris, il 2 agosto, in una pagina della Stampa, ha raccontato della sua visita al Centro Sperimentale insieme al marito Francesco Motta, cantautore e pure lui docente al Csc. Il titolo era inequivocabile: “Contro il centro un intervento brutale, pronta a lottare insieme agli studenti”. E noi con lei. Ma se sono pronti a lottare perché, qui, a via Tuscolana, c’è solo il bibliotecario argentino Augusto che domani chiuderà? Il mistero, come in Match Point, sta nei titoli di coda. Spiega Francesca: “Crescentini è venuta cinque giorni fa, ma l’intervista è uscita cinque giorni dopo”. Sarà il tempo cinematografico. Nei film è tutto veloce e si ripete. Anche la rivoluzione. Nel 2010, il governo Berlusconi aveva nominato presidente del Csc il sociologo Francesco Alberoni, e anche allora scattarono le proteste per alcuni fondi dimezzati. A protestare c’era già allora Crescentini e come attrice non protagonista la premier Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, che dichiarava: “Questa è la scuola di cinema più antica insieme a quella di San Pietroburgo. Non farò mai mancare il mio sostegno”.

 

A ora di pranzo, sudati come il regista Abel Ferrara, entriamo dal piano sotterraneo perché non vogliamo credere che i partigiani del cinema italiano, all’incrocio della storia, si siano rifugiati a Salina a bere passito e mangiare cozze. Ci sono materassi e armadi di alluminio e poi tanto buio. La possibilità è che non vogliano farsi individuare dai colonnelli del ministro della Cultura, Sangiuliano. Non può che essere questa la ragione. E’ forse qui che girava i film Dario Argento? I corridoi angosciano come i suoi lungometraggi e come le buste paga. I pulsanti dell’ascensore, al posto dei numeri, hanno le lettere “S”, “M”, “T”. L’ascensore non funziona. E’ proprio genere horror, ma per fortuna usciamo dall’ascensore e si vira sul film Una giornata particolare di Ettore Scola (al primo piano, in una teca, c’è il “Leone d’Oro” per il restauro della pellicola). I marmi sono monumentali, come l’atrio, e le scale ricordano vagamente le architetture di Carlo Scarpa. Fuori cantano i grilli. Dentro l’uomo sembra scomparso. Al secondo piano, la prima forma umana. E’ un’ospite, come lo siamo noi. Le chiediamo informazioni. Ci fa capire che qui Sophia Loren è il bibliotecario che pensa solo ai libri: “Fermalo prima che vada”. E infatti alle 13,30 la biblioteca è inaccessibile, e da domani, avvisa Augusto, il bibliotecario, sarà completamente spopolata  come la scuola. Fino al 4 settembre. Sulla bacheca è affissa una nota del preside Adriano De Santis. Comunica che le lezioni sono sospese. E’ l’ultimo giorno pure per Augusto che tuttavia non si sottrae. Spiega con scrupolo come richiedere i testi: “Devi spedire  una mail. Vai prima sul portale, inserisci il titolo del libro. Prendi nota del numero dell’inventario e della collocazione. Io risponderò indicando la data in cui  venire a consultarlo. Abbiamo pure le lettere di Scola e non solo. Una miniera”. Gli chiediamo cosa ne pensa della rivolta e lui, che precisa “sono sudamericano ma con radici austriache”, non se ne cura: “Capita”. Abbassa il volume della musica classica e dice che “è politica”. Ne parla come se fosse un male alla caviglia, un fastidio che già conosce ma su cui non bisogna mai fare commenti: “Io sono un bibliotecario”. Ci saluta. Non abbiamo l’auto di Gassman, ma il vuoto è lo stesso della Roma del Sorpasso, a Ferragosto. In qualche stanza, chiuso, a studiare, ci sarà forse Trintignant. Finiamo per caso nell’ala nuova dove sono ospitate le aule di sceneggiatura, la 302 e la 306, quella di suono; anche queste con le tapparelle abbassate. Seduta al bar c’è una ragazza tutta sola, vestita di nero. Ricorda Stefania Sandrelli nel film Io la conoscevo bene. Un dipendente ci dice che è inutile cercare ancora. La rivoluzione è rimandata. Intorno, nel quartiere, ciascuno continua la sua.

 

Ad Alice Pizza, la cuoca, al bancone, ha paura che due tipi, mezzi loschi, non le paghino la birra: “Dovete pagare, aho!”. Lo dice come fosse Anna Magnani al bancone della frutta in Mamma Roma. I due tipi che sembrano attori loschi tirano fuori una banconota da cinquanta euro e poi sorridono. Le dicono che si erano dimenticati: “Sai, il caldo”. Nessun residente si è mai presentato, anche solo per curiosità, all’ingresso di questo Centro sperimentale di cinema e i cineasti sperimentali non si sono mai presentati dal barbiere algerino. Nessun cineasta ha mai ascoltato il mattacchione della stazione bus, anziano e spelacchiato, che finge di parlare al telefono e che urla: “Ci vuole rispetto, rispetto. Io ho una storia!”. Ne servirebbe sempre, di rispetto. Serviva senza dubbio rispetto anziché questa rimozione per decreto della presidente (si ripropone quanto già verificato in Rai, ma Donzelli, in cambio delle sue dimissioni, non riceverà un cinema, come Carlo Fuortes, ex ad Rai, che ha ricevuto il Teatro San Carlo come premio). Un decreto riforma per anticipare la fine di un mandato non è un delitto, ma racconta la destra, quell’idea marcia che bisogna rimuovere ogni radice di sinistra, da biblioteche, archivi, musei: “Ora i nostri”. Per prendere il ruolo che è stato di Marta Donzelli si è fatto il nome di Pupi Avati e Giancarlo Giannini, artisti dalla carriera così importante che non hanno certo bisogno di essere “di destra”. Serviva rispetto, ma fa sorridere la rivoluzione su WhatsApp, i messaggi dei maestri postati su Instagram: “Siamo con voi”. Non possono essere con loro, perché loro, gli studenti, fanno quello che tutti gli studenti, ad agosto, fanno. Partono. L’unico artista che è davvero rimasto è Emanuele, l’Artista sociale, così si definisce, che canta sulla metro A, Battistini-Anagnina. Sulla metro, di ritorno dal Centro Sperimentale, dice che “tra un anno ci prendiamo San Siro”. Il suo tormentone è “Tu mi hai lasciato” e il ritornello è “il tempo passa e tu vai via/ nessuno passa e mi porta via”. Una nonnina, seduta, con una vocina tenera, si rivolge all’Artista sociale: “Artista sociale, non vorrei mancarti di rispetto, ma te sta’ zitto un attimo e mi fai fare una telefonata?”. L’Artista sociale risponde: “Lo spettatore è il mio unico padrone fino alla fine”. La rivoluzione comincia. Ad Anagnina.

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio