Il racconto

Dopo la "scoppola" di Abascal, Meloni ha un piano B: disarticolare Ecr per contare nella Ue

Simone Canettieri

La premier ha garantito sostegno al leader di Vox, ma nel governo non mancano i distinguo con gli estremisti spagnoli: "Sono come noi, ma dieci anni fa". La strategia per entrare in maggioranza dopo le Europee

I Socialisti spagnoli, e quindi anche il Pd, si sono buttati su Raffaella Carrà.  Rimbalzano, da Madrid a Roma e tornano indietro, i balli scatenati per Pedro-Pedro-Pedro-Pe (Sánchez). Lei, Giorgia Meloni, senza fanfare, come rivelato dal Foglio, si è mossa in modalità Mina.  In versione “se telefonando”. Domenica notte la premier ha chiamato e parlato  a lungo con Santiago Abascal, leader di Vox, abbastanza mogio per quella che, perfino a Palazzo Chigi, chiamano con un pizzico di realismo  “scoppola”. La leader italiana, che è la capa dei Conservatori  europei, ha detto al “Fratello di Spagna” che  il loro percorso insieme non finisce qui. Anzi, nel governo si spera  in un secondo tempo. E cioè: pantano parlamentare e nuove elezioni in autunno. L’ideale per fare in modo che il semestre di presidenza spagnola, appena iniziato, non acceleri sui dossier più divisivi (a partire dall’ambiente) concentrandosi così sui fatti interni. Le speranze meloniane  guardano a un possibile tris: Spagna-Polonia-Olanda prima del grande giudizio delle Europee del prossimo giugno. E però tutti questi ragionamenti rientrano nella versione del bicchiere di sangria mezzo pieno. Restano i numeri che hanno la testa  dura. E quindi Vox, anche se conquisterebbe oggi più seggi a Strasburgo, non ha sfondato. E questo è un fatto che alla più importante sostenitrice del partito postfranchista fa male.  


Non a caso, Meloni evita per tutta la giornata di commentare le elezioni spagnole. Né una nota dell’ufficio stampa né una dichiarazione pubblica. Viene solo dato in maniera ufficiosa il “contesto” della telefonata con Abascal. E pensare che solo dieci giorni fa la premier, con toni molto più urbani rispetto al comizio di un anno prima, si era collegata con giacca rosa all’evento di Vox per  rincuorare tutti sul fatto che fosse “arrivato il tempo del governo dei patrioti anche da voi”. Non è andata così. Sicché a Palazzo Chigi si diletta in analisi: oggi le preferenze di Vox farebbero raddoppiare l’attuale delegazione alle Europee, dove c’è un sistema proporzionale purissimo.

E poi ancora: il problema è stata la campagna elettorale del Pp che ha fagocitato gli alleati con tutti quei distinguo, Sánchez avrà vita durissima a formare un nuovo esecutivo. E allora la propaganda del governo dice che “il programma di Meloni in Europa non cambia”: Popolari e Conservatori insieme a caccia della maggioranza. “E guardate  Macron come si sta muovendo: ci metterebbe un attimo a far nascere una maggioranza con Ppe ed Ecr”.  Un quasi divertito Giovanni Donzelli, numero due di Fratelli d’Italia, di corsa come al solito fra i corridoi della Camera avverte che al vero “voto manca un anno” e “le strategie, così come le alleanze per la Commissione” inizieranno dopo, non prima.

E però circola con insistenza un piano B dalle parti di Meloni. Che passa dalla “disarticolazione” di Ecr fra un anno, pur di entrare in maggioranza. Un’operazione che potrebbe lasciare per strada alcune delegazioni pur di favorire la nascita di un accordo potabile con  Ppe e Socialisti, con dentro i liberali. Un film già visto con l’elezione di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento che grazie ai negoziati di Raffaele Fitto portò anche a una vicepresidenza per Ecr. La suggestione che Meloni dia il via libera a un’Ursula 2, visti i rapporti solidi e frequenti che ha con l’attuale presidente della Commissione, arcinemica di Manfred Weber, circola con insistenza. Così come la possibilità che sia proprio Metsola il nome su cui puntare. Ma è tutto molto prematuro, come spiega chi, per realismo politico, sarebbe pronto a favorire l’operazione disarticolazione di Ecr.

Le elezioni in Olanda, dove corre il turbosocialista Frans Timmermans, saranno sicuramente un faro. Così come quelle in Polonia e infine, se dovessero ricapitare, quelle in Spagna. Di sicuro Meloni adesso deve scrollarsi di dosso l’incubo Vox: non vuole essere accomunata a quella sconfitta. Anzi, come spiega una fonte di primo piano a questo  giornale, “loro sono come noi, ma nel 2013: in poche parole c’è lo stesso rapporto di forza che avevamo all’inizio noi con Forza Italia. Adesso qui è tutto ribaltato: fare   associazioni fra noi e Vox è sbagliato”.

Ecco perché la telefonata ad Abascal viene raccontata da Palazzo Chigi come un atto dovuto: quello della leader di un partito europeo che chiama un componente della famiglia. Ecco il momento Mina-Meloni del “se telefonando potessi dirti addio ti chiamerei”. La seconda l’ha fatta, la prima si vedrà.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.