Legarsi a von der Leyen o farle la guerra? I dubbi di Meloni in vista delle europee del 2024

L'amicizia riluttante tra Giorgia e Ursula, di nuovo insieme per l'emergenza in Romagna

Valerio Valentini

Il sogno della premier, quello di un'alleanza tra Popolari e Conservatori, impone di sbarrare la strada alla ricadidatura della presidente della Commissione. Ma i numeri dicono che forse alla leader di FdI conviene farsi ammettere nella maggioranza "Ursula". Scenari

Sono diventate amiche, ancorché riluttanti. I ruoli e la realtà le hanno spinte a collaborare, a trovare perfino qualche sintonia caratteriale. Pare che Giorgia Meloni, in una pausa dei lavori del recente G7 giapponese, le abbia perfino confidato una bonaria invidia per la sua linea sempre asciutta. E lei, Ursula von der Leyen, subito a risponderle che però per il cibo italiano si concederebbe gli stravizi. “They ask you to be a magician”, sorride la premier, ansiosa di dover cavare d’impaccio la presidente della Commissione assediata dalle domande di sindaci e giornalisti che chiedono di conoscere, ora, subito, la cifra esatta che la Commissione ha intenzione di stanziare per l’emergenza romagnole. E insomma anche ieri, nella più infausta della circostanze, l’incontro tra Meloni e Von der Leyen ha rinnovato un rapporto che non era scontato, al debutto del governo sovranista italiano. Eccole, Giorgia e Ursula: insieme su un elicottero dell’Aeronautica mentre sorvolano Bologna, Conselice, Ravenna, Forlì, Lugo: lo scenario della devastazione a perdita d’occhio, la Romagna allagata.

E però, in questa concordia obbligata, c’è senz’altro una contraddizione, la spia di una tensione che verrà o che forse dovrà essere dissipata. Perché se il piano europeo di Meloni prendesse mai consistenza, se insomma quella suggestione di un’alleanza tra Popolari e Conservatori con lo spostamento a destra del baricentro di Bruxelles diventasse qualcosa di più di un’ambizione sovranista, allora è evidente che un passo obbligato per avviare quel cammino sarà lo scongiurare il bis di Von der Leyen a capo della Commissione.

Tutto molto prematuro, ci mancherebbe. Manca un anno alle elezioni, almeno nove mesi prima che le varie famiglia politiche esprimano i propri candidati per la guida di Palazzo Berlaymont. Ma è evidente che la ricandidatura di Von der Leyen da parte del Ppe sarebbe il presupposto per una riproposizione di quella maggioranza che proprio da Ursula prende il nome: insomma l’abbraccio tra Popolari, socialisti e macroniani che Meloni dice invece di voler rompere. Meglio allora sarebbe, per gli interessi di Donna Giorgia, favorire l’ascesa di Manfred Weber, teorico della svolta a destra del Ppe, o magari di Roberta Metsola, l’attuale presidente del Parlamento europeo. O, ancora, l’ipotesi di Antonio Tajani, di cui pure si parla a Via della Scrofa. Insomma un profilo che possa benedire l’alleanza tra i Popolari e il gruppo Ecr.

Sempre che a questo scenario si continui a credere davvero. Perché in effetti, a vederla con gli occhi di chi tiene i conti dell’Assemblea di Bruxelles, quella da cui poi passeranno in effetti gli equilibri  della nuova legislatura nel 2024, una maggioranza tra Ppe e Ecr è semplicemente impraticabile. Alla prova dell’aritmetica, prima ancora che della politica. Nell’attuale Parlamento europeo, Ppe ed Ecr hanno il 36 per cento dei seggi. Pure aggiungendovi gli ultranazionalisti di Identità e democrazia (Salvini e Le Pen),  si arriverebbe al 45 per cento. Mancano almeno 50 seggi per dare sostanza al sogno meloniano. Senza contare, poi, che le elezioni polacche d’autunno potrebbe indurre il Ppe a prendere nettamente posizione contro Ecr, se è vero che Donald Tusk, leader di Piattaforma civica e storico membro dei Popolari, si aspetta un fermo sostegno di Weber e soci contro il PiS dell’attuale premier Mateusz Morawiecki, l’alleato di Meloni.

E dunque ecco che un’altra prospettiva s’affaccerà, nei pensieri di Meloni. Quella, cioè, di non precludersi la via verso un ingresso nella futura larga maggioranza europea. Perché se davvero non c’è, come pare, alternativa alla riproposizione dell’accordo tra Popolari e Socialisti, allora il rischio della premier italiana sarebbe quello di condannarsi di nuovo, e per un’intera legislatura, al ruolo se non dell’aspettata quantomeno di chi resta sulla soglia delle stanze degli adulti. Il tutto mentre le scadenze sul Pnrr si faranno più stringenti, la stretta del Patto di stabilità diventerà effettiva, i grandi dossier energetici verranno definitivamente squadernati. Certo, per Meloni bussare alla porta di Scholz e Macron per essere ammessa nel club significherebbe tradire se stessa e la sua propaganda. Ma primum vivere, poi il resto. E allora, chissà, anche questa amicizia riluttante con Ursula potrà tornare utile. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.