Il racconto

La marcia degli intrepidi. Ecco i veri spiritati di Giorgia Meloni, la corrente della collera

Carmelo Caruso

Sono la frangia più estrema del partito di Giorgia Meloni. Rabbia, insulti, turismo e controegemonia culturale. Il loro punto di riferimento, il loro Vate, è Francesco Lollobrigida. Ritratti dei nuovi avanguardisti di Fratelli d’Italia

AMentone, a Mentone!”. Un giorno se la riprenderanno e ai francesi porteranno via pure Nizza e la Corsica. Solo allora sarà “Open to meraviglia”. E’ Giorgia Meloni che traccia il solco, ma sono loro, gli avanguardisti a Mentone, gli intrepidi, che lo difendono. Sono i figli di una fiamma minore, già giovani del Fuan, militanti dell’Msi, di An, oggi deputati e senatori di FdI.

 

Li ha selezionati il Vate di Tivoli, il ministro Francesco Lollobrigida, il patriota che, sollevando il calzone sulla gamba, mostra al mondo il polpaccio italico. E’ il polpaccio la specialità etnica. Si sono formati nelle barberie di provincia e hanno il prurito alle mani. Conoscono ogni tipo di barba, e di pizzo, e lo sperimentano sulle loro gote invincibili, anzi, direbbero loro, invitte. Non sono mai stati raccontati perché sono ritenuti gregari, come lo erano, negli anni ‘20, gli Arpinati, i Dumini, i Vecchi, i Forni, i Gaggioli, i Caradonna, gli smanacciatori di professione, i concimatori di collera. Gli intrepidi smanacciano, ma perché vogliono telecamere: “Venite, venite”. Sono i Foti, i Messina, i Mazzi, i Mollicone, i Merlino, gli Speranzon, i Deidda, i Liris, fratelli di audacia. Non sfasciano case del popolo, ma il muro del suono. Ripetono come dei posseduti: “Vergogna, vergogna”.

 

Sono ormai governo e devono tenere le mani a freno. Ma è forza castrata. A loro è stata assegnata un’altra missione. Lanciano granate, comunicati stampa, nei momenti difficili, quando l’opposizione disfattista si permette di criticare o irridere la premier e la sua famiglia. I giornalisti, alla Camera, li hanno visti scendere dall’autocarro durante il caso Cospito, dopo il Festival di Sanremo, il giorno seguente la pubblicazione della vignetta del Fatto Quotidiano contro Arianna Meloni. L’ultimo episodio risale al giovedì del disonore, 27 aprile 2023, il giorno della bocciatura del Def a causa delle assenze di FdI, Lega e Forza Italia.


Vediamo il primo di loro, l’uomo che li passa in rassegna. E’ il capogruppo alla Camera di FdI, Tommaso Foti. E’ nato a Piacenza, ed è in Parlamento da ben sei legislature. Per anni è stata una presenza sobria, inosservata. Era il vicecapogruppo di Lollobrigida.  Vanta il fondamentale duello con il noto “bolscevico” Gianfranco Pasquino, candidato di sinistra che nel 1996 ha stracciato alle elezioni grazie a “330 voti” di pollici italici. Foti ha cominciato a imprecare, in Aula, come un agitato, negli ultimi mesi. Da allora si è distinto. Da allora è una presenza fissa in televisione. Il 9 marzo del 2022, alla Camera, presente Mario Draghi, si discute di riforma di catasto. Foti in quell’occasione lo “affronta”. Il verbo che gli intrepidi usano è infatti “affrontare”, verbo “maschio”. Basta guardare l’autobiografia di Foti. E’ un piccolo foglio. Si trova facilmente sul web. Tutta la sua vita è una battaglia. Questo è uno stralcio: “Nell’ottobre del 2014 non esito a rispondere alla chiamata a una nuova battaglia elettorale”. “Non esito”, “rispondo”, “battaglia”. A sette anni, e lo scrive lui, “rilascia” un’intervista al giornale parrocchiale “il Richiamo”. Draghi, quel giorno di marzo del 2022, rimase attonito dalla furia di Foti. Non lo conosceva e si racconta che a un ministro chiese: “Ma perché fa così?”. Tenendo con la mano destra la mascherina, rivolgendosi a Draghi, Foti urlò, a ripetizione: “La sua proposta è esilarante, lei oggi ha una maggioranza, lei oggi ha una maggioranza, che è interessata ai mercati finanziari piuttosto che a mercati rionali!”. Lollobrigida, compiaciuto, lo applaudiva. Quel formidabile pomeriggio, un intrepido, aveva superato la prova.

 

Durante l’approvazione della manovra, era dicembre, Foti pretendeva che i funzionari del Mef si “mettessero a disposizione” e se ne lamentava in Aula con gli spiritati di FdI. Li voleva andare a stanare a Via XX Settembre con l’olio di ricino. Il giorno dopo la bocciatura del Def, invece, sapendosi responsabile, in parte, della figuraccia, e consapevole dell’ira della premier, Foti si presenta in Aula e “affronta” il Pd. Recupera dall’archivio i casi analoghi, casi di assenze che riguardavano i governi di centrosinistra, e li porta come prova. Vuole essere scagionato. Chiede scusa “alla premier”, al “popolo italiano”. Rovescia la sciatteria, sua, del governo, sulla sinistra che avrebbe peccato di mancato senso della responsabilità. La sinistra doveva, a suo parere, votare il Def che la maggioranza non aveva votato.


Il vicecapogruppo di Foti, “il lui sarà quello che sono io” è invece Manlio Messina. E’ nato a Catania, la città di Benito Paolone, il missino che agli avversari diceva “io ti mangio il cuore”. Messina è alla sua prima legislatura. E’ tra i riferimenti di Lollobrigida al sud. Prima della sua elezione ha ricoperto il ruolo di assessore regionale al Turismo. L’ombrellone è per gli intrepidi la sciabola. Si sono esercitati e hanno praticato scherma in questi assessorati. Come nel Psi esisteva la “corrente ferroviaria”, che faceva capo a Claudio Signorile, in FdI esiste oggi la “corrente turistica”. Nelle regioni governate dal centrodestra, Lollobrigida ha un suo riferimento al Turismo. Grazie a questi assessorati, la “corrente turistica” di FdI ha costruito relazioni e protezioni. Messina, in Sicilia, è ricordato per i suoi assalti agli scienziati. Ma cosa importa? Chi lo ricorda? E’ passato. E’ passato? Era un no vax, un no pass e ha spiegato, magistralmente, sul suo profilo Facebook, perché si opponeva al green pass, ai vaccini. La sua risposta, a chi lo contestava, è stata un raffinatissimo “Suca”. Rispondeva a un utente che gli consigliava di starsene al suo posto e di finirla con i complotti, di smetterla di ripetere che i vaccini non servivano. Messina gli ha consigliato di “leggere meno Repubblica”. Infine il saluto: “Adesso ammazzati che devo andare a farmi il bagno. Suca”. Messina si difese dicendo che, su Facebook, “lui usa quello slang”.

 

E’ il cesso alla turca, quello delle pompe di benzina, il vero obelisco degli intrepidi.

 

In precedenza, Messina si era dato alla grafica. Aveva postato, sempre sulla sua ringhiera Facebook, un fotomontaggio di Giuseppe Conte condotto in carcere, in manette, dai carabinieri. Da assessore si può definire, a ragione, il vero pioniere di “Open to meraviglia”, la campagna pubblicitaria lanciata dalla ministra Santanché, costata 9 milioni di euro. Messina, da assessore regionale, ha speso 24 milioni di euro per “diffondere” i tesori della Sicilia. Quanti manager della pubblicità sarebbero disposti a chiamare i direttori dei quotidiani, di rete, e invitarli a chiudere due occhi per poter avere anche solo le briciole di quei 24 milioni? Quanti? “Suca”.

 

Tutte le spese meravigliose di Messina le ha elencate Mario Barresi, firma de La Sicilia. Un solo spot a “Ballando con le stelle” è costato 400 mila euro. I 24 milioni di euro sono stati spalmati alle concessionarie Publitalia ‘80, (Mediaset), Rai Pubblicità, Rai Com e al gruppo Rcs di Urbano Cairo. Altri 2,2 milioni, da assessore, li ha utilizzati per allestire una mostra di 12 foto a Cannes, presso l’hotel Majestic. Il denaro è confluito in una società lussemburghese e stanno indagando tre procure, compresa quella europea. Quando il caso Cannes è scoppiato, Messina non era più assessore. Al suo posto, FdI ha preteso che fosse indicato il maresciallo dell’esercito Francesco Paolo Scarpinato, un Messina che si farà. E si farà. Ha tentato di replicare la passerella siciliana alla Croisette e ha aumentato anche il budget da 2.2 a 3.7 milioni di euro.

 

Scarpinato si è giustificato dicendo di non avere “nessuna colpa rispetto a una procedura di finanziamento predisposta nella scorsa legislatura”. Nella scorsa legislatura il presidente della Regione Sicilia era Nello Musumeci, attuale ministro del Mare di FdI, ministero che Meloni ha giustamente voluto istituire. Gli intrepidi sono infatti “navigati” e credono davvero che questa volta si possa cambiare l’immaginario. Significa “svoltare”, amministrare denaro. Esiste un documento preziosissimo che lo teorizza. Il suo titolo è “Controegemonia”. Lo ha firmato Emanuele Merlino, capo della segreteria tecnica del ministro Gennaro Sangiuliano, ex coordinatore culturale di FdI del Lazio. In quell’articolo, da caverna intellettuale, si spiega che si devono “finanziare festival, rassegne, presentazioni, momenti di dibattito con autori nostri” perché, e continua, “presentare il libro di un grande nome televisivo vuol dire riempire le piazze ma a quale costo? Quello di aver finanziato chi da quel palco ci insulterà, ci sminuirà e farà, grazie al microfono che gli avremo dato, campagna elettorale per la sinistra”.

 


In Rai si traduce con fiction da produrre, attori e attrici di area da valorizzare. Ci sono già racconti giovanili della “nouvelle vague” meloniana che sono stati opzionati. La Rai di destra come può bocciare un progetto, un copione, scritto da un esponente della destra? Hanno perfino l’attenuante: “La sinistra lo fa da sempre”. Ed è vero. E’ la sinistra che ha imbruttito gli intrepidi. Hanno bevuto per anni cognac di disprezzo. Per anni si sono cibati dei resti che la sinistra gli lasciava. In Sicilia c’è un’espressione. Si dice: “Sembri un cane di bancata”. A Palermo, i cani di bancata divoravano i resti, gli ossi dei carnezzieri, i macellai. La destra per anni si è nutrita di resti. Era scheletrica. Meloni, che gli ha aperto la dispensa, la porta del comando, deve adesso togliergli il cibo che rimane impastato sulle gengive. Ora che comandano sono invasati, vorrebbero sbranare la carne delle partecipate di stato, degli enti locali. Si vorrebbero ingozzare e ricevere pagine agiografiche, serenate. Desidererebbero vedere mostre sul futurismo a ogni angolo di strada. Non fanno altro che ripeterlo.

 


Al ministero della Cultura, il Bottai della controegemonia è Gianmarco Mazzi, già amministratore delegato della società Arena di Verona, autore di Adriano Celentano, “agente” di Massimo Giletti, direttore artistico per anni del Festival di Sanremo. Viene chiamato nell’ambiente “il Salzano minore”. E’ stato eletto con FdI, ma era in realtà un leghista, prima di unirsi alla colonna intrepida. Da allora, come il Molleggiato, quello della trasmissione (che Mazzi ha realizzato) “Francamente me ne infischio”, Mazzi se ne infischia, e se ne infischia perfino dei patrioti. Ad Atreju, la manifestazione di FdI , ha ordinato ai suoi nuovi amici di “fare silenzio perché lui altrimenti perdeva il filo”. Lo ha detto come un generale. La platea si è zittita davvero.

 

Per l’ultima edizione di Sanremo, che Mazzi ha ovviamente criticato, voleva che si intonasse la canzone “Giovinezza” insieme a “Bella Ciao”. Mazzi partecipa regolarmente a tutte le sedute spiritiche sulla nuova narrazione di destra e usa il suo ministero come fosse un box office. Impone ancora artisti ai teatri, piazza serate di Al Bano Carrisi ovunque. Non se n’è scritto a sufficienza, ma, a Verona, all’Arena, il suo fondaco, Mazzi ha organizzato un colpo di mano per mettere in minoranza il sindaco Damiano Tommasi, del Pd, in modo che Cecilia Gasdia, la sovraintendente, potesse restare al suo posto. Mazzi parla di esclusione decennale e non si capisce quale, dato che, almeno lui, la sinistra, lo ha sempre lasciato esprimere, lavorare, e guadagnare, in libertà.


Un altro spiritato, che ha diritto alla provocazione, è Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera. Mollicone è il rifugio del giornalista in crisi di idee che se ne serve quando è a corto di sfondoni. Funziona così. Dalla direzione, dagli uffici centrali dei quotidiani, arriva la chiamata: “Oggi ci serve uno di FdI che la spara, uno che fa uno sfondone”. Il giornalista distaccato a Piazza Colonna, alla Camera, risponde: “Mollicone”. Ogni giorno Mollicone si aggira a Piazza Colonna e si offre. Mollicone è il Gabriele Paolini di FdI, quello che l’inarrivabile Paolo Frajese prese a pedate. Paolini mostrava il preservativo, Mollicone fa invece il secondino della (sua) buon costume. Chi digita su Google la frase “FdI choc” si vedrà apparire come primo video quello di Mollicone sulla “maternità surrogata reato più grave della pedofilia”. Se si digita invece “Mollicone gaffe”, il motore di ricerca classifica in testa la frase “le coppie gay sono illegali”. Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, il 3 ottobre del 2019, in Commissione Cultura, alla Camera, rivolgendosi a Mollicone disse: “Sei un incompetente. Non capisci un cazzo. Ladro, capra, picchiatore fascista”. Mollicone si opponeva al prestito, al Louvre (ancora maledetta Francia), dell’Uomo vitruviano di Leonardo, prestito che favoriva la “diplomazia culturale”. La replica di Mollicone a Sgarbi è stata questa: “Quando hai un’audizione prendi un sedativo. Sei patetico”. Oggi Mazzi è sottosegretario, Sgarbi pure, e Mollicone presiede la Commissione Cultura.


Erano intrepidi anche i sottosegretari Delmastro, Gemmato e Donzelli, prima di iniziare, grazie ai giornali e per colpa delle loro frasi infelici, un percorso di rehab istituzionale. Al Senato, un intrepido è Guido Quintino Liris. Il 24 aprile si sente in dovere di avvisare che il turpiloquio di Lucia Annunziata su Rai 3 non resterà impunito. Invita i colleghi di FdI, della Commissione di Vigilanza Rai, a intervenire. E’ un medico ed è stato anche assessore regionale dell’Abruzzo. Riuscì a cumulare otto deleghe. Durante l’emergenza sanitaria chiese il reintegro, l’interruzione dell’aspettativa, per ottenere il trenta per cento dello stipendio, da medico, da aggiungere all’indennità politica. Pizzicato dal Pd dovette rinunciare. In Sardegna si esercita Salvatore Deidda, segretario regionale FdI, oggi deputato, che se potesse chiamerebbe ogni sezione, sezione Italo Balbo, come ha fatto a Terralba. E’ Roma, il Parlamento, la loro sala pesi. Da Venezia, ogni settimana, fa la spola il senatore Raffaele Speranzon, signore di Mestre, convinto, come è convinta l’assessore regionale veneta Elena Donazzan, che il Veneto possa diventare un bosco tolkeniano di FdI. Tutti e due riscrivono la storia recente, convocano giornalisti per dire che gli antifascisti furono la causa della nascita del terrorismo rosso. Altri intrepidi cercano di farsi largo, ma la concorrenza è tanta. Quanti sono?


C’è una giornalista che da oltre sei mesi, instancabile, li sta smascherando uno per uno. Gira le città d’Italia e ce li mostra, esatta e spavalda, “senza indietreggiare”, come direbbe Giorgia Meloni. Si chiama Roberta Benvenuto ed è inviata di “Piazza Pulita”, il programma di Corrado Formigli, a cui Meloni l’ha giurata. Quando Benvenuto, pochi giorni prima delle elezioni, ha chiesto a Meloni: “Formigli le ha fatto un invito, verrà a Piazza Pulita?”, Meloni ha risposto: “No”. Quando Benvenuto ha chiesto “Perché no?”, Meloni ha ripetuto: “Perché no!”. Quando Benvenuto ha continuato: “Risponda però nel merito”, Meloni ha chiuso così: “Ho altre priorità”.

 

E’ stata Benvenuto, la prima, a illuminare la smorfia, quell’aria da sopracciò della presidente del Consiglio, quell’aria che le fa temere, ancora oggi, le conferenze stampa per paura di non controllarsi. Benvenuto non ha cercato i bonifici di chissà quale società con le espadrillas. Ha cercato gli occhi bolliti degli intrepidi, il loro desiderio di pericolo tenuto prigioniero dall’abito di governo, quell’irrefrenabile bisogno di azione. Ogni  faccia spiritata catturata è uno scoop, perché è indagine e pensiero. C’è un catalogo di video, con tutte le loro scuse banali. E’ quel catalogo il secondo volume dell’autobiografia Meloni. Ci sono fascisti smemorati, incapaci di argomentare, distrutti dal miglior giornalismo: “Ci crede nelle cose che dice?”; “Risponda”; “Perché ancora il braccio teso? Perché?”. Da una parte la pulizia delle domande e dall’altra parte i tizzoni accesi. Da una parte la serenità di chi li interroga e dall’altra la faccia da pellerossa con le frecce, la tensione di chi crede, ancora, che la vita sia uno schiaffone da schivare.

 

Meloni è oggi il loro fazzoletto bagnato sulla fronte, il “tranquilli, a loro ci penso io”. Si può arrivare al governo, ma quanto tempo serve e, soprattutto, si può cambiare davvero la natura? Per quanto tempo, Meloni potrà preferirgli i Descalzi, i Nordio, i Mantovano? Molti degli avanguardisti degli anni ‘20, dopo la conquista, si sentirono delusi. Per loro anche il regime era fiacco. Li aveva traditi. Meloni ha detto in passato che il M5s ha portato al potere degli scappati di casa, ma lei, chi ha portato al potere? Quando i suoi intrepidi si accorgeranno che Mentone resterà città francese, allora sì che le rimprovereranno la vecchiaia, le rimprovereranno di avergli rubato l’ardore che non tornerà mai più. Sarà “il governo mutilato”. Si scopriranno superati e si sentiranno reduci. Sarà allora che inizieranno a indossare i pantaloni alla zuava.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio