Fare come Macron? Urso pensa a una conferenza con imprese straniere nel 2024. Tensioni con la Farnesina

Valerio Valentini

Dopo l'evento parigino, a Via Veneto sognano una Choose Italy. Insomma, "Open to business", oltre che "to meraviglia". Gli imprenditori italiani presenti a Versailles ci spiegano cosa ha di così attrattivo il metodo francese. A Roma intanto tra ministro delle Imprese e degli Esteri si rischia la baruffa

E l’Italia, allora? Perché non farlo pure noi? Adolfo Urso, in effetti, ci sta pensando sul serio. E gliene va dato atto, visto che per il resto, tra Palazzo Chigi e Via della Scrofa, l’indomani della conferenza di Versailles, “Choose France”, si porta dietro, più che l’ambizione di emulare  Macron,  il solito condensato di paranoie antifrancesi. Invece il ministro delle Imprese vuole provarci: approfittare della visibilità offerta dalla presidenza di turno del G7, che al nostro paese spetterà nel 2024, per organizzare, a Roma o a Milano, un vertice aperto alle grandi multinazionali che già hanno o che stanno penando di investire in Italia per incoraggiarli a credere in un governo “open to business”, oltre che  “to meraviglia”. Missione non facile, perfino a livello politico, se è vero che il solo disegno di legge per la promozione del Made in Italy, ancora in cantiere a Via Veneto, ha generato non pochi sospetti tra i funzionari della Farnesina, messi in allerta del resto dai moniti di quell’Antonio Tajani che ripete spesso, e fin dall’inizio del suo mandato: “Io sono il ministro del commercio estero”. E insomma già qui s’intravede la distanza tra Roma e Parigi. Che è, dice uno dei manager italiani ospitati a Versailles lunedì, “anzitutto una questione di metodo”.

Era gennaio quando gli amministratori delegati di una dozzina di grandi imprese italiane hanno ricevuto una mail. Messaggio scarno, poche essenziali righe, scritte in italiano e in inglese, e con un mittente inequivocabile: la segreteria del presidente Macron.
Tra le imprese contattate, tutte floride e in salute, molte sono state selezionate perché già hanno interessi in Francia, o comunque per ragioni di prossimità territoriale e d’affari. Iveco, per dire, è una costola di un gruppo, Stellantis, costitutivamente bilingue. Mundys, erede del gruppo Atlantia, ha partecipazioni significative nella società che gestisce gli aeroporti della Costa Azzurra, oltre che nella gestione di centinaia di chilometri di autostrada tra Parigi e Calais, mentre la Memec di Vito Pertosa ha grossi contratti con le ferrovie pubbliche transalpine. “La relazione di fiducia e collaborazione con le autorità locali è tra i principali fattori che hanno portato il nostro gruppo a investire in Francia nel tempo”, ci spiega Giuseppe Accogli, ceo del Gruppo Chiesi, multinazionale della farmaceutica con uno stabilimento nella Valle della Loira, che  partecipa a “Choose France” ormai da sei anni, cioè fin dalla prima edizione.

Il metodo, si diceva. “La facilità delle relazioni”, è ciò che un po’ tutti sottolineano. Perché, dopo aver ricevuto l’invito direttamente dall’Eliseo, i manager sono stati contattati, per definire i dettagli, dagli uffici diplomatici francesi in Italia per conto di Business France, l’Agenzia nazionale perl’internazionalizzazione dell’economia transalpina. Un po’ quello che in Italia fa l’Ice. Solo che se qui da noi c’è una decennale disputa istituzionale tra Farnesina, Mef e Mise (e loro varie ridenominazioni) sulla titolarità dell’ente, e una lunga teoria di trasferimenti di competenze e direzioni generali annesse, a Parigi, chissà perché Business France riesce a far capo contemporaneamente a tre ministeri – Esteri, Economia e Agricoltura – senza che ciò, incredibile a dirsi, generi bisticci o gelosie. E così, in capo a qualche settimana, quella dozzina di ceo contattati dall’Eliseo ha potuto scaricare una comoda app – “Choose France”, appunto – tramite cui ha potuto non solo ricavare dettagli e spiegazioni chiare sulle novità normative francesi e sulle prospettive di crescita del settore d’interesse, ma anche prenotare, con un paio di clic, un incontro bilaterale con un ministro francese, che nel giro di qualche giorno ha confermato giorno e ora del vertice.

Nel paese che fa la guerra al Pos e che vagheggia, in un’esaltazione di luddismo,  la soppressione dello Spid, deve apparire quasi una provocazione. Insomma se al mezzo invito di Matteo Salvini a investire in Italia Elon Musk, era novembre, si limitò a rispondere tramite un tweet di dieci parole, e poi più nulla, preferendo però recarsi in visita da Macron, forse una ragione c’è. E non va ricercata neppure solo nelle tentazioni autarchiche del sovranismo, visto l’esito della trattativa, avviata all’epoca da Mario Draghi, per convincere Intel a investire in Italia.

Dopodiché, eccoci al grande rendez-vous di lunedì, a Versailles. Ciascun manager poteva portare con sé uno sherpa. Incontri serrati, da venti o da trenta minuti a seconda del formato, con un ministro francese che, avendo già letto e studiato il dossier specifico, offriva all’amministratore che aveva di fronte, a tu per tu, le risposte desiderate, ponendo condizioni e illustrando i vantaggi di un maggiore impegno di quella azienda sul suolo transalpino. Il tutto, rigorosamente in inglese, a meno che l’ospite non esprima preferenze diverse. Non proprio come quando, a fine aprile, il ministro Francesco Lollobrigida aveva fissato in agenda degli incontri con imprese inglesi all’ambasciata italiana a Londra, salvo poi dover ricorrere in tutta fretta a un interprete che nel frattempo era stato bloccato all’ingresso in attesa di un accredito ufficiale.

Eppure, qualcosa si muove. Lo si è visto durante la conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, al Palazzo dei congressi di Roma, dove in effetti il formato dei colloqui proposti a manager italiani e ucraini era analogo a quello macroniano, che è poi una replica del metodo utilizzato negli incontri del World Economic Forum. E lo si vedrà ancor più se davvero l’idea del ministro Urso, quella di organizzare una grande conferenza per gli investitori stranieri in Italia, si concretizzerà l’anno prossimo.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.