Perché non basta più dirsi antipopulisti per una politica forte

Claudio Cerasa

Lepenisti chi? Non ci sono solo questioni personali dietro la crisi del rapporto tra Renzi e Calenda: c’è anche la trasformazione del contesto politico. L’Italia non è più un paese dominato dagli estremisti, né a destra né a sinistra

Lepenisti chi? Si sono spese molte parole per provare a inquadrare l’origine della crisi del rapporto tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, due tipacci che piaciuccono a questo giornale. E in molti, negli ultimi tempi, si sono esercitati sul tema provando ad affrontare la questione da molteplici punti di vista. Si è parlato di soldi, spesso a sproposito. Si è parlato di caratteri incompatibili, non sempre a sproposito. Si è parlato di gelosie reciproche, con qualche ragione. Ma non si è parlato, invece, di un elemento importante, un elemento politico rilevante, che riguarda una trasformazione robusta della politica italiana che ha contribuito a rendere più difficile rispetto a un tempo la vita di alcuni soggetti cresciuti cavalcando un sentimento oggi divenuto improvvisamente poco attuale, per le ragioni che vedremo: la piattaforma antipopulista. Non stiamo dicendo ovviamente che il populismo è morto, magari fosse vero, ma stiamo dicendo che oggi l’essere antipopulisti non è più un collante sufficiente per costituire un’identità politica forte, robusta, capace di proiettarsi verso il futuro.

 

Il partito unico del vaffa, come è evidente, oggi non morde più come un tempo e a differenza del passato, quando vi era una rincorsa reale nel rivendicare un’agenda populista, i leader dei grandi partiti italiani sono tutti impegnati a mostrarsi all’elettorato come degli argini al populismo degli altri. Il centrodestra si considera un argine contro il populismo perbenista della sinistra. Il centrosinistra si considera un argine contro il populismo becero della destra. E anche all’interno delle coalizioni, quelle reali e quelle immaginarie, vi è un tentativo quotidiano di mostrare con costanza il populismo degli altri. Lo fa il M5s, quando cerca di ricordare quanto il Pd sia ancora permeato dal “populismo renziano”. Lo fa il Pd, quando cerca di dimostrare, a fatica, che distanza vi è tra la cultura riformista dei democratici e quella dei grillini. Lo fa Fratelli d’Italia, ovviamente, quando cerca di mettere in risalto la scarsa attitudine europeista della Lega. E lo fa la stessa Lega, chiaramente, quando cerca di mettere in risalto la scarsa attitudine antifascista dei suoi colleghi di governo.

   

La politica italiana è dominata da anni da una corsa dei partiti ad allontanarsi da alcuni estremismi, non da tutti, e in questo senso una formazione politica come quella centrista nata per smascherare il populismo di destra e di sinistra oggi si ritrova in una certa difficoltà non solo per i litigi tra i leader di riferimento, Matteo Renzi e Carlo Calenda, ma anche per la trasformazione presente nel contesto politico italiano. Presentarsi al pubblico come le bandiere più genuine dell’antipopulismo oggi non è più una leva sufficiente per costruire una proposta politica convincente. E basta mettere insieme alcuni elementi di riflessione per capirne il motivo. Quattro anni fa, alle ultime europee, in Italia si discuteva molto su come far fare un passo fuori dall’Europa all’Italia, oggi anche i partiti che un tempo volevano uscire dall’euro si interrogano su come evitare, alle prossime europee, di essere irrilevanti e su come provare, nella prossima legislatura europea, a non finire nella trappola della ridotta populista.

 

Quattro anni fa, alle ultime europee, in Italia si discuteva su quanto fosse pericolosa l’Europa, per il nostro futuro, oggi anche i partiti che un tempo sognavano per il nostro paese il modello Brexit sono lì che devono fare i conti con un ricco contratto, di nome Pnrr, firmato con l’Europa da tutti i partiti del nostro paese, e non bocciato neppure dall’unico partito che all’epoca era all’opposizione, ovvero Fratelli d’Italia. Quattro anni fa, ancora, i partiti populisti inveivano contro i trattati di libero scambio, e suggerivano soluzioni protezioniste per tutelare la nostra economia, oggi anche i partiti sovranisti, da Fratelli d’Italia alla Lega, si sono convertiti ai trattati di libero scambio, al punto di essere pronti a firmare un accordo importante, come il Ceta, che in passato i populisti avevano osteggiato con tutta la propria forza.

 

Quattro anni fa, poi, i partiti che oggi si trovano al governo, come la Lega e Fratelli d’Italia, promettevano di spostare l’asse del nostro paese lontano dall’atlantismo, promettevano di curare l’Italia attingendo a piene mani al debito pubblico, promettevano di costruire muri per respingere i migranti e invece oggi, oggi che sono al governo, sono lì che ogni giorno cercano di trovare un modo per mostrare pragmatismo, limitandosi a scaricare il proprio populismo su alcune bandierine politiche, su alcune battaglie di retroguardia, su alcuni nomi dei ministeri. Il lepenismo al governo non c’è, al contrario di quello che sostiene in Francia un ministro dell’Interno non meno populista di un vecchio ministro dell’Interno che ha avuto l’Italia nel 2018, e tutto sommato il populismo estremo, quello becero, non lo si riesce a vedere neppure all’opposizione. Il M5s, è vero, ha promosso un referendum contro l’invio delle armi in Ucraina, e questo è populismo vero, ma lo ha fatto, evidentemente, sapendo che su molti altri temi il populismo grillino non può più replicare la stagione del 2018, quella del vaffa, quella delle manette, quella dell’onestà-tà-tà, e sapendo che in fondo parte dell’arsenale retorico del Movimento 5 stelle oggi è al servizio di una causa in un certo senso di governo: la difesa di quelle vecchie riforme del M5s (dal Superbonus al Reddito di cittadinanza) smantellate dalla nuova maggioranza.

 

Lo stesso Partito democratico, in fondo, per quanto l’algoritmo di Schlein Gpt si sforzi di rinnegare con forza una importante stagione di governo del Pd, alla fine non si può dire che stia seguendo una linea di oltranzismo populista e sui fondamentali la sua linea resta antipopulista: sì all’atlantismo, sì alla difesa dell’Ucraina, sì ai termovalorizzatori e lunga vita al Pnrr. Trovare terreno fertile per costruire una piattaforma antipopulista oggi, in una stagione in cui persino i sovranisti sembrano aver capito che il nazionalismo è contro l’interesse nazionale e in una stagione in cui persino gli estremisti di un tempo sembrano aver capito che l’unico sovranismo che può far bene all’Italia è quello europeo, non è semplice e in fondo la sfida di fronte alla quale si trovano oggi i campioni dell’antipopulismo è quella di riconvertire la propria offerta politica uscendo dalla propria comfort zone, facendo un passo lontano dalla propria rendita di posizione e facendo i conti con un mondo che cambia.

  

L’Italia non è un paese dominato dagli estremisti, né a destra né a sinistra, i lepenisti ci sono in Francia, caro Darmanin, ma in Italia sono un ricordo del passato, e dirsi antipopulisti oggi può essere utile per differenziarsi dai propri potenziali alleati ma non è più sufficiente per costituire un’identità politica forte, robusta, capace di proiettarsi verso il futuro. Prima lo capiranno i nemici del governo e meglio sarà per tutta l’Italia.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.