Governo

Fantasma 2011. Lo spettro del "complotto" agita Meloni e Giorgetti

Carmelo Caruso

Premier e governo cominciano a temere mercati, fondi, e Ue. Giorgetti pressa sul Mes, Meloni a Londra rassicura gli investitori: "Siamo solidi". Le debolezze al Mef e la struttura ostile

 Sono “sotto” in tutti i sensi. Sono andati sotto alla Camera sul Def, sono sotto osservazione dei mercati e sono sotto le coperte perché scottano. Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti a volte lo pensano: “complotto”. E’ la variante della sindrome 2011, la febbre che ha portato alla caduta del governo Berlusconi. A destra lo chiamano ancora “il colpo di stato”. Il governo comincia a credere, e seriamente, che quel demone inafferrabile, chiamato mercato, stia cercando “l’incidente”, lo sparo di Sarajevo, come nel 2011. I segnali sono tre e nel giro di pochi giorni. Il primo. I fondi d’investimento che non credono in alcune delle nuove nomine delle società partecipate. Il secondo. Goldman Sachs che consiglia di investire sui Btp spagnoli anziché su quelli italiani. Il terzo. Un’indiscrezione del giornale Bloomberg che ha anticipato il giudizio, negativo, atteso per il 19 maggio, della società di rating Moody’s. Per avere il giudizio pessimo bastava invece andare alla Camera, ieri, e chiedere alla maggioranza. Il governo si è fatto bocciare la risoluzione sullo scostamento di Bilancio di fronte al ministro del Tesoro, in pratica del Bilancio. Gli economisti parlano ora come i cartomanti: “Gli astri si stanno allineando”. Il complotto è tornato.

 

Quando un ministro ha saputo del Def, bocciato, ha detto: “E’ una figura da cialtroni”. Giorgetti ha già la “febbre” a trentanove. Bastava guardarlo, mentre relazionava in Aula proprio sul Def, per accorgersi che gli manca il metodo Mario Draghi. Chi è Giorgetti? A Wall Street, e non certo per colpa sua, per qualcuno è ancora “Giorgetti, who?”, “Giorgetti, chi?”. Si può essere indicati ministri dell’Economia, e si può essere anche dei campioni rispetto a Salvini, ma ci vogliono anni per essere ministri dell’Economia rispettati e conosciuti. Sono, e sul serio, il tempo e la durata, la forma delle cose. Da settimane, Giorgetti implora Meloni di ratificare il Mes per “dare almeno un segnale all’Europa. Facciamolo”. Passa anche da queste cose il rispetto, la credibilità. Meloni non accusa ancora gli stessi sintomi di Giorgetti. Sono la paura, l’insonnia, un’improvvisa voglia di parlare. Meloni è volata a Londra, in visita dal premier Sunak, e, oggi, incontrerà, presso l’ambasciata, i rappresentanti della comunità finanziaria. La fiducia nel suo governo sta calando e non si intende il consenso elettorale. Per governare non è sufficiente avere l’indice di gradimento sopra il venticinque per cento o ricevere le pacche di Sunak, che davvero, a Londra, l’ha lodata e coccolata (visita nell’abbazia di Westminster) perché “siamo dalla stessa parte, sui grandi temi, perché abbiamo gli stessi valori” e perché, ancora, “dear Giorgia, la tua politica economica è attenta”. E lei, Meloni, ha assicurato “che l’Italia è solida” e che “sono i fatti a dover rassicurare i mercati”, e “i fatti dicono che i nostri fondamentali vanno meglio di nazioni considerate più solide della nostra”. Non basta neppure il memorandum che Sunak e Meloni hanno firmato su migranti e Difesa.

 

Sulla Difesa, ad esempio, e si parla di Leonardo, Meloni è certa che le sue nomine siano state gradite a Gerusalemme, Londra e New York? Nei suoi primi giorni di governo, il 23 novembre, la premier aveva ricevuto una figura che, secondo la narrazione del suo partito, sarebbe un potere fortissimo. E’ Ronald Lauder, presidente del Congresso Ebraico mondiale, filantropo, un patrimonio che secondo Forbes si gira intorno ai 4.5 miliardi di dollari. I mercati funzionano anche così: una smorfia, un clic e si spostano capitali. Poi si prende il telefono, si chiama un giornalista economico. Il giornalista: “Ah, non ho motivo di non crederci. Dunque Goldman…”. Sta accadendo qualcosa. Anche il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, dice che “c’è un’aria che non mi piace”. Alla Camera, Giulio Tremonti, che nel 2011 era ministro, forse perché ha vissuto sulla sua carne quelle ore, non parla. Il suo ultimo libro ha una quarta di copertina con una frase delle Memorie di Adriano: “Sopravverranno le catastrofi e le rovine, trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine”. Cosa ha sconvolto l’ordine? Niente, tutto. Meloni si era sola illusa che quell’ordine esistesse e per la troppa euforia, raccontano funzionari dello stato, “ha cominciato a guidare in stato d’ebbrezza”. Non si è mai dotata di un economista di valore a Palazzo Chigi (Draghi aveva Giavazzi, che è tornato a scrivere sul Corriere della Sera e a ogni suo editoriale il governo trema). Perfino Giuseppe Conte aveva compreso che gli serviva competenza altissima tanto da chiamare, a Palazzo Chigi, Piero Cipollone, direttore generale di Bankitalia. Meloni in sei mesi ha ferito la Ragioneria dello Stato, come nessuno aveva mai fatto prima, scippandole la direzione che si occupava di Pnrr. Quando Meloni chiedeva la testa del direttore del Tesoro, Alessandro Rivera, e l’ha avuta, pensava di allontanare un pericoloso bolscevico francese e non si è accorta che stava allontanando un uomo rispettato da tutta la struttura del Mef, struttura che ora pensa: “Come hanno fatto con lui, possono fare con noi”. Il pericoloso bolscevico, Rivera, lo hanno invece visto, poche sera fa, alla festa della moglie dell’ex ministro, Vittorio Grilli, al Fabulous di Saxa Rubra, e in ottima salute. Tra gli invitati c’era pure Biagio Mazzotta, il ragioniere dello stato, che ha disertato. I funzionari della Ragioneria, che sono i bramini del Tesoro, i sacerdoti, sono offesi con Meloni. L’Europa, che le aveva lasciato il beneficio del dubbio, ha smesso di crederle sul Mes. Sul Pnrr, il suo ministro, Fitto, e lo dicono dirigenti del Tesoro, ha impiegato sei mesi solo per cambiare la governance. Il suo partito, Fdi,  ha straparlato di Draghi, un uomo che possiede quattro telefoni. Ieri, mentre Meloni era a Londra, il  governo ha offerto una prova indecorosa. Complotto? Berlusconi poteva almeno dire “colpo di stato”. Meloni, cosa può dire: “Perdonate, ai miei deputati non funzionava la sveglia”?

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio