editoriali
La “sostituzione etnica” di Lollobrigida: la destra non riesce a liberarsi di stereotipi smentiti dalla realtà
Il ministro riconosce che l'immigrazione non può essere un problema. Ma poi usa un'espressione inqualificabile, per cui farebbe bene a scusarsi
Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, parlando al congresso della Confederazione dei sindacati autonomi (Cisal) ha sostenuto l’esigenza di favorire l’immigrazione regolare di lavoratori stranieri che sono necessari alle imprese, seguendo la linea che aveva tenuto nella discussione sui flussi. Il ministro ha detto che la crisi demografica va contrastata con un welfare che permetta alle lavoratrici di essere madri, ma poi ha usato un’espressione inqualificabile quando ha detto che “non possiamo arrenderci alla tesi della sostituzione etnica”.
Si tratta di una sciocchezza colossale, in primo luogo perché non si capisce quale “etnia” debba essere protetta dalla “sostituzione”. Solo una visione antiscientifica prende sul serio una qualsiasi autonomia dell’etnia italiana, con l’aggravante che un riferimento di questo genere si presta al sospetto di una discendenza dalle teorie razzistiche. Si fatica a capire perché una persona intelligente, pienamente consapevole della complessità dei fenomeni migratori, si faccia prendere in castagna utilizzando stereotipi assurdi. Nella cultura e nel linguaggio della destra permangono residui inaccettabili di concezioni che vengono condannate anche dai suoi esponenti.
Non si tratta di una questione puramente estetica, perché il messaggio politico è costruito anche dalla forma espressiva che assume. Nello stesso discorso, Lollobrigida ha affermato: “Mi guardo bene dal pensare che l’emigrazione e quindi l’immigrazione siano un problema. Anzi diventano un’opportunità di crescita per una nazione”. Benissimo, ma allora da dove spunta la “sostituzione etnica”. Forse è solo un residuo mal digerito di una cultura sorpassata anche nel pensiero di Lollobrigida: se è così farebbe bene a scusarsi, il che renderebbe meno pesante il giudizio, inevitabilmente severo sulle sue parole avventate.
Equilibri istituzionali