Leonardo non scontenta nessuno. Giorgetti e Crosetto all'ombra di Cingolani

Valerio Valentini

Pronti i due direttori generali: Lorenzo Mariani e Maurizio Tucci. L'ex ministro draghiano d'accordo. E' il segno di come, al di là del cerchio (sempre più) stretto dei fedelissimi di Meloni, si costruiscono trame e movimenti. Quelle dei ministri della Difesa e dell'Economia, ma anche di Mantovano, La Russa e Letta

Doveva essere la nomina della discordia, quella che avrebbe scassato equilibri e destini. E invece forse ha ragione Maurizio Gasparri quando dice che “sarà acqua sul vetro”, una cosa che non fa male. “E’ un po’ come il Congresso di Vienna: si è restaurato tutto, senza che però prima ci sia stata la rivoluzione”, spiega il senatore azzurro. “Anche perché, che rivoluzione vuoi fare? Qui ci conosciamo tutti”. Sorride. Ma in questa celia c’è forse una verità: anche  la più rivendicata delle prove di forza di Giorgia Meloni – l’imposizione di Roberto Cingolani in Leonardo – sta svaporando nel consociativismo. Tutti gli esclusi, i supposti delusi, si sono infatti coordinati. E così Guido Crosetto e Giancarlo Giorgetti, tra gli altri, hanno trovato un compromesso: Lorenzo Mariani sarà direttore generale.

L’ufficialità ancora non c’è. Ma le resistenze del capo di Mbda, il secondo maggior consorzio di missili al mondo, vanno crollando. Il primo a proporgli l’ipotesi era stato, e in tempi non sospetti, proprio Crosetto. E lì per lì a Mariani la soluzione dovette apparire un poco rabberciata, se declinò. Come se il ministro della Difesa, rimasto tagliato fuori dalla catena di comando di Palazzo Chigi, tentasse un compromesso fumoso. Se non che, poi, quello stesso scenario glielo ha suggerito anche Giovanbattista Fazzolari, che agiva col fare del plenipotenziario unico della Grande Capa nelle trattative per le nomine. “Vado a Parigi per alcuni giorni: ci penso”, ha detto Mariani, quasi a volersi sottrarre.

E c’è da capirlo, se è vero che già un anno fa, era d’aprile anche allora, gli stessi ambienti che oggi lo esaltano – con l’aggiunta dell’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini – lo rassicuravano sulle sue buone possibilità di ottenere l’ambita guida di Fincantieri. Finì come si sa: con Mario Draghi che scelse Pierroberto Folgiero come nuovo ad. E siccome non era la prima volta che arrivava a un passo dall’apoteosi, lì nacque una battuta velenosa, sul suo conto: “Il giro giusto, per Mariani, è sempre il prossimo”. Pier Francesco Guarguaglini, uno che il mondo delle partecipate lo conosce bene, sospirò: “In tempo di guerra, a gestire un colosso di navi militari servirebbe uno che è del mestiere”. Draghi provvide a suo modo, scegliendo cioè, come presidente,  Claudio Graziano, generale di levatura europea.

Ma insomma proprio la competenza in tema di cose militari, ora, sembra finalmente tornare utile a Mariani. Perché, al dunque, anche Cingolani, neo amministratore delegato di Leonardo, s’è detto convinto della bontà dell’ipotesi di una sorta di affiancamento, dissolvendo così le voci di chi descriveva i due candidati in tensione tra loro. E così, l’ex ministro potrebbe dedicarsi, come del resto ha già lasciato intendere di voler fare, ai progetti di ricerca più innovativi, convinto com’è delle utili ricadute in campo civile della tecnologia bellica (“Le navi militari son alimentate già da anni da reattori nucleari di nuova generazione, e nessuno si scandalizza…”). E, accanto a lui, avrebbe un direttore – già ufficiale di Marina, una vita passata a occuparsi di sistemi radar sempre sotto l’ombra di Finmeccanica, prima dell’approdo ai vertici di Mbda, consorzio europeo di levatura mondiale – con grande esperienza sul campo.

La stessa che del resto vanta Maurizio Tucci, già consigliere dell’allora capo di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e oggi presidente di Cyber Security Platform, molto stimato in ambienti americani. Dovrebbe essere lui, in uno schema tracciato in una riunione ristretta alla presenza di  Meloni, l’altro direttore generale accanto a Mariani. Una sorta di blindatura geopolitica, che si sublima del resto con la nomina dell’ambasciatore Stefano Pontecorvo a presidente di Leonardo, intorno a Cingolani, l’ad scienziato. E una dirigenza corposa che potrà tornare utile se davvero Meloni, come ha lasciato intendere nel recente passato, sull’idea di una fusione tra Leonardo e Fincantieri vuole puntare sul serio.

E qui la storia racconta  anche altro, però, oltre ai destini dei singoli. Dice, cioè, di una dinamica ormai ricorrente, nell’area di governo: una sorta di moto discreto con cui i vari pezzi forti della maggioranza che per un motivo o per l’altro restano sulla soglia del sancta sanctorum di Palazzo Chigi riescono però a coordinarsi tra loro per fare in modo che i pochi ammessi nell’Empireo di Giorgia debbano, se non venire a patti, quantomeno accettare dei compromessi. Ecco allora le intese sempre più ricorrenti tra Giorgetti e Crosetto, e con le loro quelle di Ignazio La Russa e Alfredo Mantovano e Gianni Letta. E non a caso, visto che il cerchio dei fedelissimi, a Palazzo Chigi, sembra farsi sempre più stretto. “Un club che inizia a diventare davvero troppo esclusivo, quasi un tête-à-tête”, mugugnavano ieri  due dirigenti di FdI alla buvette del Senato.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.