Non solo Mes. Perché sull'Europa Meloni rischia di dare dispiaceri a Mattarella

Valerio Valentini

La strettoia sul Fondo salva stati s'avvicina, è questione di giorni. E poi balneari, migranti, Macron. A desra dicono che "il capo dello stato è mal consigliato", sbuffano perché sarebbe "il vero leader del centrosinistra". Ma la realtà è un'altra: tra la premier e il Quirinale c'è l'Unione europea

Il timore paventato, per ora, è più che altro un eccesso di cautela. Che davvero il Quirinale possa intervenire per stigmatizzare i tentennamenti esasperati del governo sul Mes, come pure qualche ministro teme, non sembra affatto scontato. Certo, Sergio Mattarella sulle faccende di rilevanza europea esercita un sovrappiù di scrupolo; certo, non gli sfugge l’inopportunità di esercitare veti strumentali ponendosi, l’Italia sola, in contrasto con gli altri 19 stati membri. Ma la scelta dei tempi e delle procedure da seguire, quella resta una prerogativa dell’esecutivo e del Parlamento: e su quella, il capo dello stato non interferirà, anche a costo di sopportare qualche contorcimento di troppo. Semmai è proprio quello, il problema per Giorgia Meloni. Che a breve, anche sul Mes, le ambiguità dovranno cadere. Questione di giorni.

Perché mercoledì, alla Camera, grazie a un’iniziativa di Enzo Amendola, del Pd, inizia la discussione su una proposta di legge presentata  dal dem Piero De Luca e dal renziano Luigi Marattin, per ratificare il Mes. Il tutto, nella commissione Esteri presieduta da quel Giulio Tremonti che, dopo aver dato fiato per anni alla propaganda antieuropeista della destra, a gennaio scorso suonò la ritirata: “Il Mes va ratificato”. Che ci possano essere  defezioni in maggioranza, che  l’insubordinazione di FI possa cambiare  gli equilibri in commissione, chissà. “Ma sarà, finalmente, un momento di chiarezza”, ragiona Marattin. “Ora a destra la smetteranno con le ambiguità: dovranno decidere se dire sì o no. Saremo lì a leggere il labiale, qualora non abbiano il coraggio di dirlo a voce alta”.

 E qui sta dunque l’insidia, per la premier. Perché, arrivati al dunque, non si potrà più ricorrere ad arzigogoli retorici. E se cedere alle pressioni dell’opposizione poco si confà al cipiglio decisionista patriottico, esplicitare una contrarietà netta alla ratifica sancirebbe  una frattura con Bruxelles, proprio nei giorni  in cui la premier sarà impegnata al Consiglio europeo. E allora sì, che forse davvero lo scrupolo potrebbe diventare apprensione, al Quirinale.

E non perché – a dispetto degli sbuffi d’insofferenza di FdI, dove c’è chi descrive Mattarella come “il vero leader del centrosinistra” – il capo dello stato abbia alcuna intenzione di giocare un ruolo politico. E’ piuttosto il governo che, come in un’estrema incapacità di scrollarsi di dosso le incrostazioni della propaganda sovranista, è in affanno su dossier che interrogano il modo di stare in Europa dell’Italia. Ed essendo il Colle il presidio di garanzia del rispetto dei patti tra Roma e Bruxelles, le frizioni sono una logica conseguenza di questa recrudescenza populista di Meloni.

Perché certo, è vero che alcune fibrillazioni si erano registrate su specifici provvedimenti  (l’invio di armi all’Ucraina infilato nel decreto Calabria, l’inserimento nel Milleproroghe della norma sui diritti tv della Serie A voluta da Lotito…), ma quello ha a che fare con la consueta vigilanza del Quirinale. Quanto al viaggio di Mattarella a Crotone per omaggiare le vittime del naufragio di Cutro, o peggio le sue parole sulla rissa fuori dal liceo fiorentino, solo una lettura dei fatti interessata ha voluto vedere in quegli  atti del capo dello stato una sua volontà di critica alle mancanze e alle omissioni della premier.
   Laddove un attrito  può esserci, invece, è proprio sulle faccende europee. Vale per il Mes, certo, come è valso, e lì in modo plateale, per i balneari. La proroga delle concessioni voluta dal governo pone l’Italia in pieno conflitto con Bruxelles. E la situazione potrebbe degenerare tra qualche settimana, quando  la scontata sentenza della Corte di giustizia di Lussemburgo – temuta assai, e non a caso,  anche dal ministro Raffaele Fitto – arriverà a far decadere, di fatto, tutte le concessioni attuali. Eppure, malgrado nella lettera con cui Mattarella aveva promulgato il Milleproroghe si sollecitavano governo e Parlamento a prendere “a breve” nuove iniziative per correggere la stortura, nulla al momento, in area sovranista, pare muoversi. Del resto, se la posizione della maggioranza è quella che il senatore azzurro Maurizio Gasparri condivideva giorni fa con dei colleghi – quella per cui Mattarella sul tema è “mal consigliato” e va anzi “difeso” da chi gli suggerisce di seguire la linea sbagliata del Consiglio di stato – è difficile attendersi svolte imminenti.

Quanto ai migranti, se davvero una moral suasion da parte del Colle c’è stata, per evitare un ennesimo avvitamento trucista sulla protezione umanitaria, è  perché pure quello della gestione dell’immigrazione è un tema europeo. Lo dimostra, non a caso, anche la sollecitudine con cui Mattarella ricucì lo sbrego diplomatico con Emmanuel Macron dopo il caso della Ocean Viking, a novembre, con una telefonata che scongiurò ulteriori baruffe. Un intervento che spiazzò  i vertici di FdI, al punto che Ignazio La Russa, presidente del Senato con licenza di incursioni polemiche su ogni fronte, arrivò  a criticare, neanche troppo velatamente, l’operato del capo dello stato, dicendo che “la fermezza del nostro governo dovrebbe essere condivisa”. Del resto, cosa si pensi al Quirinale dei puntigli antifrancesi, quanto utili agli interessi italiani vengano ritenute, lassù, le paranoie “contro il partito della Legion d’Onore”, non è difficile ipotizzarlo, se si pensa allo zelo con cui, proprio grazie gli ottimi rapporti tra Mattarella e Macron, si facilitò l’incontro romano tra il presidente francese e la neo incaricata premier. A proposito: sono quasi cinque mesi che Meloni è presidente del Consiglio, e ancora non c’è traccia di un viaggio a Parigi. Una negligenza, per così dire, senza precedenti. Possibile che sia apprezzata, al Quirinale?

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.