Il gran momento delle scuole di politica
Voglia di competenza. Approssimazione e antipolitica non si portano più. Proliferano i corsi per giovani di talento dove si impara a capire la cosa pubblica e si analizzano i modi di governarla. E non sono sempre legati ai partiti
È un’onda costante ma poco visibile, una calamita di interesse che va in direzione contraria rispetto a quella che, per un decennio, è stata una costante nel discorso pubblico, e cioè la deriva antipolitica che ha portato sul campo personaggi e forze politiche la cui cifra era soprattutto populistica, e il cui successo era legato a parole d’ordine inneggianti a una sorta di “beata incompetenza” dei governanti, come se l’essere competenti li rendesse facile preda dei cosiddetti “poteri forti” (altro mantra). Da un paio d’anni, però, come ci racconta (dopo aver partecipato come docente a seminari, lezioni e workshop) il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta, sembrano avere sempre più successo e quindi più domanda “dal basso” le scuole di politica, e non soltanto quelle già conosciute e legate a personalità politiche (come la nota Scuola di Politiche di Enrico Letta). Si tratta di scuole dove si impara a capire la cosa pubblica, dove si analizzano i modi di governarla, dove si approfondiscono nozioni utili a chi vuole candidarsi a una carica o lavorare nelle istituzioni, anche dopo essersi laureato e aver lavorato altrove.
La domanda, come si è detto, è cresciuta al punto che anche durante il lockdown sono nate nuove scuole di politica in tutto il paese, con lezioni a distanza e poi, in fase di uscita dalla pandemia, con lezioni in presenza concentrate nei fine settimana. Che siano delle piccole Ena strutturate o dei centri di raccolta e selezione informali per future classi dirigenti, i “modelli” di scuola variano a seconda del tipo di committenza e offerta, e del legame più o meno forte con alcune realtà produttive. Gli studenti, in genere dai 25 ai 40 anni, sono per la maggior parte laureati e con esperienze lavorative alle spalle, come se si cercasse attraverso un corso (di solito di durata annuale) di arricchire il curriculum, sì, ma soprattutto di uscire dall’approssimazione nell’approccio ai temi politici, vista l’esigenza di lavorare nella politica per amore della politica in sé.
Proprio durante il lockdown, per esempio, è nata la scuola “Vivere nella comunità”, su impulso del professor Pellegrino Capaldo, nel quadro della Fondazione Nuovo Millennio, con sede in piazza Navona, a Roma. Nel supervisory board che coordina e supervisiona la scelta dei docenti e la collaborazione con altri enti e fondazioni nazionali e internazionali, con indirizzo tecnico, scientifico e accademico, si trovano nomi del mondo accademico e produttivo, dice al Foglio il presidente di “Vivere nella comunità” e docente di Management alla Luiss Paolo Boccardelli: dallo stesso Cassese a, tra gli altri, Francesco Profumo (Intesa San Paolo) a Luigi Ferraris (Ferrovie dello Stato) a Marta Cartabia, ex ministro della Giustizia nel governo Draghi. “La scuola”, dice Boccardelli, “è un percorso integrativo apartitico che risponde a un rinnovato interesse dei giovani, vista anche la crisi dei partiti cui abbiamo assistito in questi anni, e all’esigenza di portare un proprio contributo attivo alla società con idee, impegni, progetti innovativi che possano avere reale impatto”. Gli studenti, tra i 30 e i 40 anni, hanno tutti un curriculum di eccellenza. Quali gli sbocchi? chiediamo a Boccardelli. “Questo percorso”, dice il professore, “mette gli studenti in grado di cogliere diverse opportunità per l’inserimento in realtà di rilievo per lo stato e in aziende private, mirando alla competenza nel ruolo di civil servant”. I corsi durano sei mesi, da ottobre ad aprile, con frequenza nel fine settimana, con il corollario di una serie di seminari, laboratori e conferenze di personaggi politici di ogni schieramento. Ogni anno (la scuola è attiva dal 2020) si cerca di individuare una serie di proposte innovative, dice Boccardelli, “che possano produrre una nuova forma di policy. Sfide concrete, insomma, offrendo intanto una opportunità di formazione politica e culturale a giovani di talento, puntando sulla meritocrazia per rafforzare la preparazione della futura classe dirigente”. La partecipazione è gratuita, dietro bando, con copertura degli sponsor e della Fondazione Nuovo Millennio. Le materie sono suddivise in varie aree tematiche: politica, finanza, esteri, lavoro, ambiente, economia, comunicazione.
Fermo restando il capitolo a sé delle suddette scuole legate a realtà partitiche o a fondazioni di area (oltre alla Scuola di Politiche di Enrico Letta, quella di formazione politica di Italia Viva, quella per amministratori comunali del M5s, quella della Lega, di Fratelli d’Italia e di Forza Italia – scuole che non possono essere assimilate alle antiche “Frattocchie” per durata, tipo di docenza e tipo di materie insegnate), la novità non è soltanto l’interesse “dal basso” degli studenti, ma anche quello delle istituzioni pubbliche e private che cercano personalità formate ad hoc.
Intanto, a Roma, si è affermata come realtà “anti-antipolitica” la Scuola di Formazione della Fondazione De Gasperi, nata per cercare di invertire la tendenza sul tema della crescita inesistente e della fuga di cervelli all’estero. O la scuola di Formazione Politica Crea che nasce per “coinvolgere la società civile sui problemi di politica comune e per fornire un supporto tecnico e di competenza che possa consentire di ricalibrare l’azione politica verso interventi di miglior sostegno al benessere collettivo”, sviluppando la conoscenza e le competenze tecniche in materia di governo della pubblica amministrazione, con quattro finalità: conoscere i principi teorici ed etici della politica, il sistema amministrativo italiano, gli strumenti e le principali tecniche per svolgere l’azione politica; riflettere sulle questioni più rilevanti per lo sviluppo sociale ed economico del paese, eleggere i propri rappresentanti a tutti i livelli amministrativi con consapevolezza e responsabilità e amministrare gli enti che concorrono all’esercizio della funzione pubblica nel rispetto dei principi del merito e dell’equità. “Nel 1955, in un discorso sulla Costituzione fatto ai giovani, Calamandrei spiegava che l’offesa più grave che un cittadino possa fare alla Costituzione è disinteressarsi alla politica”, si legge sul sito della scuola. Il cui obiettivo è legato alla definizione di benessere collettivo: “L’indifferenza resta oggi il male più comune. Nasce dalla convinzione che il benessere collettivo non sia nella responsabilità dei singoli e che la ricerca affannosa del bene individuale non abbia nulla a che vedere con l’altruismo. Si perde di vista, così, la dimensione partecipativa della libertà, che è conquista continua. Vincono ora gli slogan. Poi la delusione”.
A Milano, invece, si trova la Scuola di formazione politica “Conoscere per decidere”, iniziativa apartitica promossa da Fondazione per la Sussidiarietà, Società Umanitaria e Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine. Nata nel 2019, ogni anno si dedica a un aspetto rilevante della vita pubblica. Motivazione: contrastare la perdita di credibilità della politica, “ridotta a palestra di conflittualità” e rimettere al centro la società civile e i corpi intermedi, offrendo contenuti e creando criteri e ambiti di discussione utili a riformare e rivitalizzare la vita democratica. E’ pensata “per tutta la cittadinanza, in particolare per i giovani e per tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nella vita sociale, politica ed economica del paese o sono interessati a farlo, approfondendo i principi guida e i problemi concreti del vivere comune”. Dislocata come attività tra Napoli e Milano, è invece la scuola PolìMiNa, della Fondazione Salvatore, che nasce per ovviare “alla fragilità del quadro politico” e “alla dispersione delle culture politiche tradizionali”. Aperta a tutti, la scuola “non si propone una formazione vincolata all’adesione a un partito o a una dottrina ideologica”, anche se si ispira a un orizzonte ideale di “riformismo liberal-solidaristico”, nella massima libertà di pensiero e per creare l’occasione di formarsi “nei percorsi culturali e materiali che devono sostenere la decisione politica”.
A Firenze è nata qualche anno fa la Piccola Scuola di Politica, esperimento che aveva la finalità di mettere a disposizione di chi fosse interessato, “con particolare attenzione alle cittadine e ai cittadini più giovani, il sapere professionale di un gruppo di docenti universitari”, impiegati nella scuola a titolo gratuito che, senza ripetere le proprie lezioni accademiche, “affrontano le domande e le incertezze che tutte e tutti proviamo dinanzi agli sviluppi italiani, europei ed internazionali”, con un approccio interattivo: la scuola cioè non è nata per fornire un addestramento funzionale a carriere politiche o amministrative, ma per aiutare “l’aumento quantitativo e qualitativo del sapere relativo alla politica, e per fornire i cittadini di strumenti e motivazione per partecipare alla vita politica e istituzionale, oltre la disaffezione attraversata nei primi due decenni del millennio”. Sempre in Toscana è stata da poco inaugurata la Scuola di Formazione Sociale e Politica “Il Poliedro”, con focus su transizione ecologica e innovazione.
Spostandosi a Nord, a Padova, in seno all’Università, ha visto la luce “Riappassioniamoci di politica”, scuola di politica apartitica che mira a fornire le competenze per la leadership e il buon governo delle istituzioni. Temi: funzionamento della Repubblica, governo della Repubblica, governo locale e corpi intermedi, comunicazione politica e public speach, con rappresentanti delle istituzioni, della politica attiva e dell’associazionismo. Si sta poi consolidando la scuola della rivista Limes, giunta alla terza edizione e nata per contribuire “alla formazione della classe dirigente di oggi e di domani” come “non-accademia di geopolitica e di governo”: visto il “cambio di paradigma”, si legge nella presentazione, ci si trova “senza strumenti per capire le crisi che ci circondano”, motivo per cui “non è possibile prendere decisioni per proteggere e promuovere gli interessi nazionali”. La scuola trasmette “un sapere applicato, da spendere nelle istituzioni, nell’amministrazione, in aziende pubbliche e private”. Poi ci sono le scuole “eque e solidali” nate nel post-pandemia in ambito sociale, come la “Scuola di attivazione politica”, presente a livello diffuso in varie città. Si propone di “far emergere limiti e fragilità del modello economico lineare basato sui passaggi ‘prendi, produci, consuma e scarta’”, ed è organizzata dalle associazioni Fairwatch, con la collaborazione dell’Arcs Culture Solidali nell’ambito del progetto “Reti Solidali Competenti”, finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in collaborazione a livello nazionale con la Rete Italiana economia solidale. Obiettivi: far crescere “la cultura della economia trasformativa ecologica, circolare, sociale e solidale”; “aiutare a riconoscere, sostenere, allargare la partecipazione e la cooperazione delle esperienze in corso”; “promuovere l’innovazione sociale diffondendo buone pratiche socialmente ed ecologicamente sostenibili e “sviluppare competenze per implementare nuove forme di imprenditorialità”.
Vista la domanda, nasceranno scuole tematiche, pronostica un docente universitario che insegna in una scuola di politica a Roma, “sul Pnrr, sui diritti, sulla gestione delle carceri e sulla sanità”.
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