L'ansia di Giorgetti

L'allarmismo eccessivo sul credito fiscale può essere nocivo. Servirebbe l'equilibrio di Draghi

Giuliano Ferrara

In emergenza abbiamo fatto esplodere il “debito buono”. Ora il ministro dell’Economia ce lo accolla come una diavoleria senza senso. Non esistono pasti gratis, d'accordo, ma prima di ritirare seccamente il Superbonus bisogna pensarci due e forse tre volte

Non esiste il pasto gratuito, d’accordo. Ma se lo stato in emergenza depressiva paga il pranzo senza infrangere le regole europee e questo significa più investimenti privati, rilancio possente di un settore in crisi e trainante (l’edilizia), creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro produttivi, incremento netto e forte della ricchezza sociale, del fatturato del paese, rinnovamento eco e tecnologico di una parte del patrimonio edilizio, e per soprammercato una discesa del debito pubblico certificata dall’Istat e il bengodi della rete bancaria che intermedia, prima di ritirare seccamente il buono-pasto, il Superbonus, bisogna pensarci due volte e forse tre volte.

     

Il ministro dell’Economia Giorgetti è un fulmine di guerra. Dentro fino al collo all’emergenza depressivo-recessiva della pandemia e dei lockdown (-9 per cento del prodotto interno lordo), seguendo gli assennati consigli di Draghi fresco ex presidente della Bce erogati al Financial Times, abbiamo fatto esplodere il “debito buono”. Ora lui ce lo accolla come una diavoleria senza senso, scellerata, una droga, un’illusione. Il ministro esagera, come esagerava quando di fronte al magari giusto rafforzamento della capacità ospedaliera predicò la fine della funzione della medicina territoriale, e si è poi visto con la pandemia, con i focolai ospedalieri, con la crisi perdurante dei pronto soccorso e il resto. Non si deve essere precipitosi, enfatici, assertivi fino al grottesco.

     

Siamo di fronte a un ricalcolo contabile che pone severi problemi di gestione del deficit, è comprensibile l’ansia del capo della fiscalità e dell’economia. C’è in prospettiva la scadenza imminente della sospensione della regola Ue del 3 per cento di deficit annuo, peraltro da ridiscutere e ricontrattare. Difendere la credibilità di mercato dell’ingente debito pubblico italiano è comprensibile, un intervento era necessario. Passare dalla predicazione della crescita come toccasana per i mali di un’economia improduttiva, immobilista, di un cavallo che non rispondeva mai alla frusta, alla retorica dei conti a posto costi quel che costi, ecco un errore blu da non commettere. Lo dicono le opposizioni non pedagogiche, il sobrio Pd e i demagogici grillini, lo dicono i sindacati, le corporazioni dell’artigianato, del commercio, le imprese edili colpite dal rischio di chiusura, lo dice anche Confindustria. E il governo sa di dover correggere rapidamente, con deroghe e nuove strategie di incentivo, la misura che ha bloccato il credito fiscale benedetto intorno al quale, o anche intorno al quale, ha ruotato la ripresa a livelli cinesi e più che cinesi dello sviluppo italiano.

     

A leggere la stampa internazionale l’Italia ha un problema tecnico-contabile di matrice Eurostat, nuove regole scritte in un manuale, dunque il processo dai toni moralistici al Superbonus della truffa e della diseguaglianza è un nonsenso.

   
Un governo serio, che ha trovato il modo in molti campi di combinare il suo programma con la continuità istituzionale, e non ha stravolto le coordinate della politica europea come avvenne nel 2018, per fortuna solo parzialmente e brevemente, non deve avallare l’idea che anche stavolta abbiamo sbagliato tutto. Si fa presto, in un paese senza memoria attiva, a dannare nell’opinione pubblica ciò che è stato necessario e giusto fare. Purtroppo anche il senatore Monti, che in un’altra emergenza divise meritoriamente e coraggiosamente il paese allo sbando finanziario con un atto percepito enfaticamente come di suprema ingiustizia, la correzione della dinamica delle pensioni, si è tolto un sassolino dalla scarpa e ha dannato Draghi per non aver posto rimedio agli squilibri contabili e di finanza pubblica implicati dalla sacrosanta decisione, da lui indirettamente auspicata, di drogare un’economia in depressione apocalittica. Draghi al limite finale del suo governo avvertì che bisognava fare qualcosa, ma tra il fare qualcosa per nuove norme interpretative sul carattere dei crediti fiscali e il rinnegare in modo imprudente e sprezzante una droga che era una medicina, e che ha avuto successo terapeutico indubbio, c’è una bella differenza. Draghi con il suo laconismo pragmatico sarebbe intervenuto, al posto di Giorgetti, con una correzione tecnica e un discorso al paese equilibrato e tranquillizzante su debito e crescita, e non con un’alzata d’ingegno distruttiva alla quale adesso, per eccesso di logorrea demagogica, bisogna di nuovo porre rimedio. 
       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.