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I tormenti di Schlein, alla guida di un Pd con le correnti in disfacimento

Valerio Valentini

L'area di Franceschini è spaccata in due, e Braga e De Biase scalpitano per un posto da capogruppo. I Giovani turchi sono un ricordo. Base riformista vacilla, Bonaccini non ha tanta voglia di fare il leader della minoranza e Guerini prospetta una cosa nuova di matrice cattolica moderata

Ci sta che qualcuno s’era già perso di vista durante la campagna congressuale. Ci sta un certo comprensibile stordimento degli sconfitti. Ci sta che poi, tra gli sconfitti, ci sia chi provi a cercare un posto al sole e chi, al contrario, vorrebbe veder scorrere il sangue. Ci sta soprattutto che l’imperscrutabile silenzio di Elly Schlein – che ha dato libera uscita ai suoi: “Fino a lunedì non si decide nulla” – contribuisca ad aumentare l’entropia disgregante dentro il partito. Sta di fatto che il Pd che la neo segretaria si ritrova a guidare presenta una geografia quanto mai fluida. Le correnti che da un lato e dall’altro si volevano rottamare sembrano dissolte per inerzia. E ora il Nazareno è un pulviscolo d’anime perse, o quasi.

Qualche rottura, certo, s’era già consumata. Il gruppo dirigente uscente, quello di Enrico Letta, era stato smantellato. E ora Francesco Boccia, coordinatore politico della mozione Schlein, gioca in proprio. Marco Meloni e Anna Ascani hanno già dato segnali concilianti alla nuova segretaria, all’esatto opposto di Enrico Borghi, che è sulla linea più belligerante insieme ad altri fedelissimi dell’ex segretario, il quale ha deciso di restare a guardare, tirandosi fuori da ogni contesa e facendo sapere che “di assumere la presidenza non ci penso proprio”. 
I Giovani turchi di Matteo Orfini – lui bonacciniano, ma forse il meno inconciliabile con la nuova vague neosocialisteggiante – avevano già visto la defezione di Chiara Gribaudo, che aveva fatto, in solitaria, una scelta di campo che ha pagato: andare a rappresentare l’ala meno di sinistra di una mozione molto di sinistra.  

Nicola Zingaretti ha visto molti dei suoi venire assorbiti direttamente nella macchina di Schlein: è il caso di Marco Furfaro, il più smagato della meglio gioventù schleiniana, e di Stefano Vaccari. Il corpaccione di AreaDem, poi, pure quello s’era già smembrato alla vigilia della contesa. Quando Dario Franceschini aveva scommesso sul rinnovamento radicale di Schlein, Piero Fassino, e con lui una buona dozzina di dirigenti e parlamentari, aveva preferito l’usato che si credeva sicuro di Stefano Bonaccini. Ma non basta. E ora proprio a quell’area centrista guarda chi, come Lorenzo Guerini, crede che il vecchio correntone di Base riformista, uscito assai malconcio dal congresso, debba trovare un nuovo orizzonte proprio favorendo la nascita di una cosa nuova, di matrice cattolica e moderata: un blocco unico, insomma, che coinvolga anche Graziano Delrio (che pure, va detto, sul fronte della guerra ha idee diverse rispetto a quelle dell’ex ministro della Difesa) e che bilanci lo scivolamento a sinistra del partito, col conseguente spauracchio di abbandoni e diserzioni.

Sarebbe un’area, questa, che si riconoscerebbe – e a questo lavora il senatore Alessandro Alfieri – nella leadership di Bonaccini. In teoria. Perché in pratica, e qui si inizia a percepire la disgregazione generale, non tutti sono convinti di affidarsi a chi, come il presidente emiliano, nei confronti delle correnti s’è mostrato “un po’ schizzinoso”. E insomma chi sta vicino a Luca Lotti, altro maggiorente di  quel che resta di Base riformista, predica invece il verbo della pugna: minoranza interna e battaglia senza quartiere. E ad alimentare l’incertezza, poi, c’è l’atteggiamento un poco amletico dello stesso Bonaccini: che, se non riluttante all’idea di intestarsi l’opposizione a Schlein, è quantomeno tiepido rispetto alle richieste di un maggiore impegno sul fronte romano.

Certo, molto dipenderà da quel che gli dirà la segretaria, con la quale finora le comunicazioni sono state sostanzialmente inconsistenti. La richiesta minima da parte degli sconfitti, più che la presidenza del partito, è quella di uno dei due gruppi. Difficile si tratterà del Senato, dove Francesco Boccia è convinto di riuscire a superare le resistenze non banali di una truppa abbastanza ostile al nuovo corso. Più probabile alla Camera, dove del resto a presidiare la pattuglia starebbe la stessa Schlein, che è deputata. Rassicurare Bonaccini in questo modo, però, significherebbe indispettire chi Schlein l’ha sostenuta. E qui iniziano i tormenti. Perché nell’area franceschiniana sono almeno due le pretendenti, e tra loro non corre buon sangue: una è Chiara Braga, l’altra Michela De Biase. Ma non è da escludere che pure Peppe Provenzano – anche lui ormai autonomo rispetto ad Andrea Orlando – possa rivendicare quel posto. Chissà.

E’ qui che insomma inizia a intravedersi una linea di frattura assai più profonda di quella dettata dalla dialettica correntizia, e che risponde semmai a una logica generazionale. Conterà, e molto, nella definizione dei nuovi assetti. E forse è anche per questo che nella vecchia guardia che ha scommesso su Schlein – da Orlando, a Franceschini, a Zingaretti – si vada diffondendo una certa ansia per il dopo. Un dopo che è già oggi.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.