Nel governo c'è caos su chi fa cosa. Per questo Meloni pensa a un tagliando sulle deleghe

Valerio Valentini

Tim e rete unica. Il ruolo delle particepate. Il Pnrr e i balneari. L'aerospazio ele crisi industriali. Tutti i dossier contesi tra i ministri e i dissidi in atto. Giorgetti gioca in solitaria, Tremonti fa il grand commis d'eccezione. A Palazzo Chigi c'è bisogno di gestire il traffico

Non è un’ammissione di colpa. Anzi. Se tra i consiglieri di Giorgia Meloni c’è chi suggerisce di “rivedere l’assegnazione delle deleghe”, se c’è chi invoca “un tagliando”, è proprio perché si vuole mostrare efficienza. La sostanza è che così è difficile andare avanti: con ministri diversi che seguono gli stessi dossier con convinzioni opposte, competenze reclamate da chi non le ha. E tutto, poi, che finisce nell’imbuto di Palazzo Chigi.

Il metodo, o la sua assenza, è un ministro meloniano a descriverlo. “Giorgia all’inizio lascia fare: chiede, si consulta,  permette a ciascuno di dire la sua, sapendo che alla fine sarà lei, con le pochissime persone di cui si fida, a decidere”. E siccome  si fatica a canalizzare il traffico, a volte il traffico lo si interdice del tutto: “Si preferisce lo stallo al caos”. Solo che nello stallo, il caos prende consistenza, in un perverso cortocircuito.

Ecco allora che ai vertici di Tim e di Cdp, dopo una fase in cui a metter bocca sui destini della rete erano  in troppi – due ministri, Urso e Crosetto, e un sottosegretario, Butti, con tre soluzioni diverse – ora che il dossier è tornato a Palazzo Chigi, si registra un’interruzione delle comunicazioni. Dall’interventismo esasperato al “chissà” nel giro di poche settimane. E così manager e lobbisti interessati alla partita, vedendo serrata la porta che introduce all’inaccessibile sancta sanctorum di Giorgia, trovano udienza da grand commis d’eccezione, che più o meno ufficialmente tracciano scenari. Giulio Tremonti, per dire, ha un filo sempre  diretto con Gaetano Caputi, capo di gabinetto della premier. Insieme a Vittorio Grilli, amico ritrovato dopo una vecchia lite burrascosa su Mps, tessono una tela di relazioni  che coinvolge anche Paolo Savona, presidente di Consob sempre molto ascoltato nel mondo dei patrioti. Chi non ottiene, e sono tanti, un appuntamento dai fedelissimi di Meloni, si rivolge a loro. E pare sia in questo flipper tutto romano di chiacchiere sottovoce che vada maturando, tra le molte, un’ipotesi azzardata in merito a Tim: spingere gli americani di Kkr a un’Opa, insomma a uscire allo scoperto fino in fondo, oppure favorire, in alternativa, l’ingresso in partita di altre grandi partecipate, come Ferrovie o Terna, in soccorso o magari in sostituzione di Cdp per prendere controllo di Telecom. Ohibò.

L’imperativo di Meloni, pare, è “affrontare un problema per volta”, fissando una chiara gerarchia delle priorità. Molto draghiana, come ambizione. Solo che senza risolutezza, l’ambizione diventa velleità, e la lista d’attesa aumenta. Succede così che Giancarlo Giorgetti, percependo l’affanno del governo sulle partite industriali, ha chiesto e ottenuto che della trattativa su Whirlpool – una questione che gli bussa in casa, essendo lo stabilimento di Cassinetta a due passi dalla sua Cazzago – continuasse a occuparsi lui, anche ora che dal Mise è traslocato al Mef. E’ stato lui a parlare, durante il G20, col suo omologo turco coinvolto nella partita. E’ lui a tenere i contatti coi vertici dell’azienda. E forse ne discuterà a Washington – di questa come di altre faccende, tipo Intel – durante la missione fissata per metà aprile.
D’altronde una certa confusione sulle aree di competenza dei vari membri dell’esecutivo ce l’hanno anche all’estero. Dopo aver ignorato l’Italia nella preparazione del loro viaggio americano, i ministri francese e tedesco Bruno Le Maire e Robert Habeck si sono affrettati a rassicurare sul fatto che “chiameremo subito Giorgetti”. Non sapendo, però, che la partita degli aiuti di stato la segue Urso, col quale poi è stato necessario allestire una videoconferenza di riparazione.

Da Via Veneto, del resto, passa anche un altro conflitto di attribuzioni. Riguarda l’aerospazio, la cui delega operativa, che spetta al ministro delle Imprese, è sempre più oggetto di critiche e malumori non solo e non tanto del comparto industriale, quanto soprattutto di quello militare.

Per una delega che pare contesa,  ce n’è una che  tutti scansano. Per cui dei balneari – prima di competenza di Daniela Santanchè, poi di Palazzo Chigi, quindi di Nello Musumeci, infine boh – tocca a Raffaele Fitto occuparsi (la tanto attesa riunione di maggioranza, per sanare la frattura  col Quirinale, ieri è stata rinviata nell’attesa che il ministro per gli Affari europei tornasse da Bruxelles). Con l’inevitabile effetto collaterale, però, di generare ulteriori tensioni: perché Fitto saprebbe come risolverla, questa partita su cui la Commissione continua a strigliarci, ma lo farebbe seguendo un percorso che molti  suoi colleghi patrioti bollerebbero come una resa. Ed è un discorso che oggi riguarda le spiagge; domani riguarderà la ratifica del Mes. D’altronde, quando Fitto varò quel decreto sul Pnrr che prevedeva, tra le varie, 89 nuove assunzioni per il ministero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida trasalì: “Davvero  tutte queste persone?”. Non sapeva, evidentemente, che a richiederle erano stati i suoi stessi uffici. Forse, insomma, un tagliando serve davvero.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.