Il ritratto

Letta, addio alle armi. La parabola dell'anima buona del Pd. Segretario controvento

Carmelo Caruso

L'esilio a Parigi, il ritorno in Italia, il sostegno all'Ucraina fino alle dimissioni. Abbandonato dal suo partito, ha vissuto gli ultimi mesi da sequestrato

Ricordo che si dondolava. Enrico Letta usava la sedia come un’altalena. Non so se lo disse ma posso garantire che lo pensava: “Fare il segretario del Pd è come da bambini. Se lasci la presa dell’altalena cadi, ma una volta caduto corri libero per il mondo”. Sapevano tutti che sarebbe stato sconfitto da Giorgia Meloni. Era il più simpatico perdente che avessi mai incontrato. Era la prima volta che intervistavo il segretario di un grande partito. Mi avrebbe dedicato un’ora del suo tempo. In segreteria, al Nazareno, quando entrai, sembrava di stare in un ospedale. C’era odore di ricovero.

 

Tutto era lindo e silenzioso. Mi immaginavo ragazzi ubriachi ballare sui tavoli e invece c’era la pace del camposanto. Un anno prima, Nicola Zingaretti aveva lasciato la segreteria del Pd. Diceva che si sentiva come un San Sebastiano: “Ricevo frecce da tutti”. Frecce, pugnali. Anche Letta era stato maltrattato. Veniva canzonato per il suo esilio a Parigi. Prima che Dario Franceschini lo recuperasse (dicono che sia stata una sua idea: “Chiamiamo Enrico, Enrico!”) di Letta si era persa la memoria. Era in pratica uno zio, come gli zii d’America, quelli che non sai mai che fine abbiano fatto. Hanno incontrato un nuovo amore? Sono felici? Sono ingrassati? Sono delusi? Gli piaceva la parola segretario. La amava. Si può essere postumi anche da vivi. Letta era postumo già quel giorno. Ma era allegro. È molto probabile che lo sia anche ora che non è più il segretario sbertucciato, sputacchiato.

 

“Letta? Ma chi, Letta? Per carità, persona perbene. Ma vuoi mettere con un leader?”. Qualsiasi cronista che incedeva in Transatlantico, alla Camera, si sentiva ripetere questa frase dai deputati del Pd, gli stessi che gli avevano chiesto pochi mesi prima di salvare il partito. Il Pd è sempre stato un partito che vive di disperazione, da salvare. Credo che sia stato Mario Tronti a dire che “gli uomini di sinistra sono felici solo quando sono disperati”. Letta non era disperato. Cercava di convincermi che era possibile battere la destra. Eravamo consapevoli entrambi che non lo fosse ma era come se entrambi avessimo deciso, durante quella nostra ora, di non pronunciare la parola “resa”.

 

Aveva capito che il Pd avrebbe perso quando gli raccontai un episodio. La sera della chiusura della campagna elettorale, a Roma, mentre Letta era in una tristissima Piazza Santi Apostoli a chiedere il voto, incontrai per strada, lungo via del Corso, un noto dirigente nazionale. Gli chiesi perché non fosse in quella piazza, con Letta, il suo segretario. Si doveva sentire uno dritto (è stato eletto ovviamente) e infatti mi rispose “che non si può contrastare il vento della storia”. Il vento soffiava destra e Letta era solo uno sprovveduto che navigava contro vento.

 

Perché non dirlo? Lo ritenevano gli uomini del suo partito un fesso. Un fesso che era tornato in Italia e che si era perfino trasferito a Siena per farsi eleggere deputato alle suppletive. Spiegava che era stata quella l’avventura più bella della sua vita da politico. Aveva ottenuto tutto troppo in fretta, ministro, presidente del Consiglio, e ora voleva tornare indietro, farsi piccino. Voleva godere delle piccole cose. Lo emozionava chiedere il voto casa per casa. Era il primo potente slow food. È sempre stato un uomo magro. Tornato in Italia aveva preso la parte di Mario Draghi. Sulla guerra Ucraina non aveva mai avuto perplessità: “Si sta con gli aggrediti”. Sarebbe andato lui stesso a Kyiv. Ma Letta non voleva piacere. Non cercava di piacere.

 

Diceva che gli bastava fare le cose perbene. Perbene. Cominciò a parlare di diritti civili. Sembrava più a sinistra della sinistra del Pd, lui che era stato popolare, un democristiano. Inutile ripetere che nel partito appariva come un rimbambito. Qualcuno lo disse pure. “Poco da fare, la Francia lo ha rimbambito”. Giorgia Meloni, se solo in questo paese si potesse dire la verità, lo avrebbe preferito ai suoi compagni di strada. Ci avrebbe fatto pure un governo insieme. Si completavano nella diversità. Quanti matrimoni funzionano così? Pochi giorni fa, Letta è stato disprezzato, mancava solo che gli sputassero i suoi amici, per aver detto che “Meloni è più brava di quanto immaginavamo”. Lo ha detto al Nyt. C’era chi chiedeva il processo per direttissima e c’è da scommettere che, dopo questo caso evidente di “diserzione”, il Pd si doterà del tribunale militare. Disertore, si. Un disertore.

 

Non è stato capace neppure di candidare, e lo avrebbe davvero desiderato, Monica Nardi, quella che non è mai stata, solo, la sua portavoce, ma una donna del Pd quanto è forse più di tutte le donne elette del Pd. Prima delle elezioni Letta aveva cercato l’accordo con Carlo Calenda salvo essere scaricato da Calenda e il “modo ancora lo offende”. Dissero tutti, naturalmente, che si era lasciato turlupinare. Fesso. Ancora. Il fesso aveva deciso di non correre con il M5s dopo la decisione di far cadere il governo Draghi. Letta doveva conoscere bene il suo partito al punto da chiedere, in una direzione, il voto: “Siamo tutti d’accordo?”. Erano tutti d’accordo e tutti, dopo aver votato la fiducia al segretario, commentavano: “Perderemo, che cazzata quella di Enrico!”. La sera della sconfitta venne aperta la sala stampa del Nazareno. Nessun deputato del Pd si presentò. Per commentare il voto arrivò Debora Serracchiani. A Letta, che l’aveva fatta nominare capogruppo, contestarono pure questo: “Ha mandato una donna, vergogna!”. Il segretario si presentò il giorno dopo e annunciò che avrebbe lasciato la guida del Pd ma che lo avrebbe accompagnato al Congresso, con ordine come si fa nel terremoto: “Usciamo pian piano”.

 

Ha trascorso questi mesi come un sequestrato. Nel Pd gli volevano chiedere i danni d’immagine. Aveva ottenuto il miglior risultato che potesse sperare il Pd ma nel Pd i segretari sono come la legna d’inverno. Servono come i ceppi per alimnetare il fuoco. Forse ricominciando, lentamente, passati cinque anni … forse, avrebbe potuto anche battere la destra. Chissà. Sul cannibalismo del Pd si possono scrivere enciclopedie, ma sarebbero noiose pure quelle come è oggi il Pd. È la noia la vera malattia di questo partito. Letta non è mai stato un Ugolino. Preferiva mangiarsi il fegato. Il suo. C’è chi crede sia stato il miglior segretario che questa comunità abbia avuto negli ultimi anni. Aveva solo un problema. Era fesso come quasi tutti gli italiani, popolo magnifico di fessi che amano il malandrino. Da oggi Letta è la “buon-anima” di sinistra. Amava guardare dalla sua finestra di segretario i tetti di Roma: “Guardi che vista”. Un giorno tornerà con la sua scopa, come nel Miracolo di De Sica, ma a Parigi, e sarà Segretario di tutti i perdenti del mondo. Segretario dell’Internazionale Lettiana: “Avanti, perdenti. Possiamo ancora vincere!”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio