Foto LaPresse

Con le nomine di primavera ci giochiamo il prossimo inverno

Luigi Di Maio

Tutto ruota intorno all’energia. La scelta dei nuovi vertici dei colossi di stato è una cosa troppo seria per essere lasciata alle brame dei partiti

Sul tavolo del presidente del Consiglio Meloni è in arrivo il dossier per le nomine nelle partecipate di stato. Subito dopo l’approvazione dei bilanci, infatti, è in arrivo in primavera un’infornata di nomine da far tremare i polsi: ogni tre anni si rinnovano amministratori delegati, presidenti e consigli di amministrazione di società con fatturati da miliardi di euro e migliaia di dipendenti. Musica per le orecchie dei partiti, desiderosi di orientare le scelte strategiche dei colossi di stato.

 

La tornata di nomine che sta per arrivare nella primavera 2023, non è una delle tante: riguarda le regine di cuori, il gotha delle nomine Mef. Parliamo di Leonardo, Eni, Enel, Terna e Poste Italiane, oltre ad alcune controllate di Ferrovie dello Stato

 

Chi frequenta i Palazzi romani sa che non si parla d’altro. E chi ha avuto esperienza di governo sa che da queste società, e poche altre, passa l’execution delle politiche pubbliche. Dal sindaco del più piccolo comune di Italia fino alle massime cariche dello stato, tutti sanno che il raggiungimento dei principali target politici – anche del Pnrr – dipendono dalle capacità dei migliori manager d’Italia di gestire la macchina: governare i consigli di amministrazione e i relativi presidenti.

 

Se possibile, questa volta la posta in gioco è ancora più alta. Per intenderci, è vietato sbagliare. Tutti sappiamo che dalle società che si occupano di energia dipende il prossimo inverno degli italiani e per essere ancora più chiari, il futuro della seconda forza manifatturiera d’Europa. 
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il governo Draghi, con il ministro Cingolani in prima fila, ha approvato un piano energetico di emergenza con obiettivi molto ambiziosi. Il piano, tutt’ora vigente, prevede azioni repentine e massicce per abbandonare il gas russo e rendere l’Italia indipendente dai ricatti di Putin. Questa strategia ha uno schema molto chiaro e coinvolge soprattutto quattro società partecipate che in questi mesi hanno implementato le diverse direttive di governo.

 

Eni, che è essenziale per la diversificazione delle fonti nel breve-medio termine, ha il controllo delle pipeline dall’Algeria e dalla Libia, oltre a essere titolare o partner dei grandi giacimenti di gas naturale in Qatar, Egitto, Congo, Angola e Mozambico. Con la sua rete di relazioni e investimenti in tutto il mondo, ha consentito all’Italia di costruire un’alternativa valida alla dipendenza dal gas russo. Non è un caso che il presidente del Consiglio Meloni negli ultimi giorni si sia recata in Libia e Algeria accompagnata dall’ad Claudio Descalzi.

 

Enel possiede asset fondamentali per la realizzazione del piano energetico. Oltre all’attività sulle energie rinnovabili – essenziale per l’indipendenza energetica sul lungo termine – Enel possiede tutte le centrali a carbone più importanti d’Italia (Civitavecchia, Brindisi, La Spezia e Fusina) alcune delle quali hanno ricominciato a produrre a pieno regime per compensare la riduzione del gas russo. E’ bene ricordare che la società è titolare del rigassificatore di Porto Empedocle, che insieme a quello di Gioia Tauro saranno fondamentali per l’approvvigionamento – nel lungo termine – di gas liquefatto dal Mediterraneo.

 

Terna è la società che trasmette l’energia alle aziende e alle case. E’ ben noto che l’Italia non ha una produzione energetica omogenea sul territorio nazionale. Nell’ultimo periodo sia la forte accelerazione nell’installazione di nuovi campi eolici e fotovoltaici, sia la messa a regime delle centrali a carbone, sia la riduzione delle forniture elettriche dall’estero, hanno richiesto – e richiederanno – molti investimenti nella rete, per gestire le profonde differenze. 
Snam, anche se ha già rinnovato i propri vertici un anno fa, dipende da Cdp e quindi dal Mef. Ha un compito fondamentale su tre fronti: deve rafforzare le infrastrutture energetiche già esistenti sul territorio nazionale, in particolare risolvendo il collo di bottiglia delle condutture gas in centro Italia (autorizzazione Arera permettendo), a causa del quale non possiamo importare altro gas dalla Libia e dall’Algeria e non possiamo usare i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle. E’ titolare delle due navi-rigassificatore che si stanno installando a Ravenna e Piombino, ed è anche azionista diretto del Tap, la terza conduttura (dopo quelle dalla Libia e dall’Algeria) proveniente dall’Azerbaijan che vale circa 10 miliardi di metri cubi.

 

Da non sottovalutare Leonardo, che sebbene non abbia progetti diretti nelle reti energetiche, è detentrice di relazioni privilegiate con i nostri principali partner energetici, con cui ha commesse da miliardi di euro: dai paesi nordafricani al Mediterraneo orientale, dal medio oriente fino al sud-est asiatico. Guai a minimizzare questi rapporti: un battito d’ali qui può provocare un uragano dall’altra parte del mondo, parafrasando il film di Eric Bress.

 

E’ ormai noto che il prossimo inverno non è detto vada come quello che stiamo attraversando oggi. Sono passate abbastanza inosservate, infatti, le dichiarazioni a Davos di Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, circa i rischi nel prossimo inverno per l’Italia. Al netto degli ottimismi di rito, il prossimo inverno potrebbe non essere mite come l’ultimo: la capacità di riempire gli stoccaggi potrebbe subire un rallentamento proprio a causa della riduzione del gas russo e mentre noi stiamo ancora costruendo i primi e ultimi due rigassificatori flottanti, la Germania è già alla terza inaugurazione. E tra pubblici e privati potrebbe riuscire a raggiungere l’obiettivo di averne addirittura dieci.

 

Pur con un lavoro sinergico, le nostre partecipate si muoveranno lungo una lama di rasoio. Motivo per cui in questo momento di grande incertezza, sarebbe bene evitare traumi o scelte totalmente estranee a chi ha gestito questi processi negli ultimi anni. Al netto delle ambizioni politiche ci sarebbero tre criteri da seguire per esercitare correttamente il potere di nomina.

 

In primis serve nominare o confermare dei vertici capaci di collaborare tra di loro – è fondamentale evitare conflitti tra presidenti, amministratori delegati e relativi consigli di amministrazione. Per fare questo, piuttosto che la lottizzazione politica, servirebbe che la politica chiarisse bene quali sono gli obiettivi che la società deve raggiungere: economico-finanziari, di ricaduta occupazionale sul territorio e di proiezione all’estero. Questo richiede autorevolezza dei manager, fiducia da parte della struttura aziendale e capacità di relazionarsi con le istituzioni.

 

In secondo luogo va preferito un management incline alla collaborazione tra le società, piuttosto che alla competizione sfrenata. Se l’obiettivo è quello di implementare insieme il piano energetico di emergenza, e quindi assicurare autonomia e indipendenza al nostro paese, serve gente che faccia squadra, non solisti.

 

Terzo, vanno individuate persone che abbiano già avuto esperienza di società di stato. Governare realtà come queste, da miliardi di euro di fatturato, è un lavoro totalmente differente dal farlo per una società privata. A maggior ragione se in ballo c’è il futuro energetico di un paese del G7. E’ per questo che servono persone che abbiano già avuto esperienze o che abbiano già lavorato a stretto contatto con questo realtà. Non c’è tempo per l’apprendistato.

 

Mentre l’Italia discute ancora di Sanremo tra polemiche più o meno edificanti, i fari della politica e del business sono tutti puntati sul ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista diretto o indiretto di queste società, e su Palazzo Chigi, che lavoreranno all’unisono. Non è un mistero, anzi è ormai una certezza il rapporto tra il premier Meloni e Giancarlo Giorgetti. Loro è la firma e loro sarà lo schema del gioco. Ma gli ostacoli non mancheranno, prime fra tutti le ambizioni politiche dei partiti che vorranno dire la loro su ogni nome di ad, presidente, cda e revisore dei conti. E non è da sottovalutare un tema importante come la parità di genere. Da non sottovalutare le società di head hunting, chiamate a verificare la sussistenza dei requisiti per i candidati. Sono sempre loro a dare l’ultima luce verde, e molto spesso i sogni di gloria di qualche peones, si infrangono qui.

 

Meloni e Giorgetti stanno mostrando molta prudenza, come è normale che sia per chi gestisce i cordoni della borsa. I partiti di maggioranza – e anche qualcuno di opposizione – invece, non vedono l’ora di mettere a segno le cosiddette partite della vita. Quelle che in gergo si raccontano con la frase “un’occasione del genere è un treno che passa una volta sola...”. Sarà il primo vero check-up dell’era Meloni, dove si potrà disegnare la vera geografia dei rapporti di forza all’interno dell’esecutivo. Una partita dove di solito non si pareggia.

Di più su questi argomenti: