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L'intervista

Abodi: "Io, Vialli e l'ospite indesiderato: un giorno mi toccai il collo, ora l'ho seminato"

Simone Canettieri

Vivere con il cancro: "La malattia mi ha ridato il valore del tempo". E poi la militanza nel Fronte della gioventù e la mancata candidatura a sindaco di Roma, il rapporto con Meloni. Parla il ministro dello Sport

Pensare oltre e agire veloce. E’ il libro che giace sul divanetto giallo dell’ufficio del ministro Andrea Abodi. Il volume parla di innovazione e giovani, anche se il titolo sembra racchiudere la storia personale di questo manager sessantaduenne che un giorno, nel gennaio del 2021, si è toccato il collo. “E ho sentito due ghiandole, due linfonodi, che mi facevano male. Si erano ingrossati. Giorgia Meloni un paio di mesi prima mi aveva proposto di candidarmi sindaco di Roma per il centrodestra. Seguiranno una biopsia, la scoperta della cellula primitiva tumorale nella parete tonsillare. Dunque un ciclo di chemio e uno di radio. Finito il ciclo di cure, ancora stavano lì. Lo diceva la Pet. Niente da fare: mi sono dovuto operare. Era il 3 agosto 2021. Nel frattempo avevo spiegato a Giorgia che non potevo candidarmi in Campidoglio, nonostante lei mi avesse aspettato il più possibile, bloccando in un certo modo le altre candidature di quelle amministrative a Milano, Torino, Bologna. Per un periodo non ho potuto parlare”. Andrea Abodi è il ministro dello Sport e delle politiche giovanili. Riesce a incontrare il Foglio in un frenetico venerdì mattina. Appuntamento alle otto. In un’altra stanza lo attendono i sindacati per un incontro, mentre alle 13 lo aspetta un aereo per Parigi. Riunione con l’omologo francese che si occupa di giovani. Come sta, ministro? “Credo e spero bene. Credo di aver seminato l’ospite indesiderato. Certo, quando ti tolgono la catena linfonodale sei asimmetrico, sembra che ti manchi qualcosa”. 


L’ospite indesiderato: anche Gianluca Vialli chiamava il tumore così. “A volte riascolto i messaggi vocali di Gianluca. La sua morte mi ha addolorato e fatto pensare. Da presidente del Credito sportivo avevo organizzato la presentazione del suo libro, che però non siamo riusciti mai a finalizzare. Non c’è stato tempo”. Il suo ultimo messaggio? “Buona fortuna Andrea. Non solo per la nomina a ministro dello Sport, ma anche per il resto”.


C’è un voyeurismo esistenziale da parte di noi media nei confronti delle persone malate di tumore? Per esempio Pierluigi Battista, su Huffington Post, ha scritto che dopo la morte di Vialli sui giornali c’è stato un abuso di retorica, ormai consueto quando si parla di cancro: la guerra, la lotta, la morte come una resa. Cosa ne pensa?

“Tutte le sensibilità vanno rispettate. Nel caso di Vialli e Mihajlovic c’è stato un meccanismo importante: sono stati due grandi personaggi pubblici che hanno infuso coraggio a tanti malati. Penso all’abbraccio di Luca con Mancini agli Europei e al ritorno di Sinisa in panchina. Due riferimenti per chi, al di là della retorica, cerca la normalità nella malattia. Con Vialli avevo un rapporto personale. Al di là dei ruoli. Con me non si è mai lamentato della sua patologia. Mi spiegò che il suo caso era complicato. Nonostante la scienza e la ricerca possano fare tantissimo. Di Luca mi colpiva il non voler mai cercare compatimento”. Come ha vissuto la scoperta della malattia? “Con incoscienza all’inizio. Poi il secondo pensiero che ho avuto è stato un altro: è troppo facile apprezzare solo le cose belle della vita. E c’è anche un altro tema: riguarda chi ti sta intorno. I tuoi cari la vivono molto peggio. Nel momento più complicato, quello delle cure e dell’operazione, il policlinico Umberto I era il mio ufficio. Scrivevo e leggevo da lì. Sono diventato amico di tutti i pazienti. Ancora ci sentiamo. Uno di loro non ce l’ha fatta”.


Abodi scarta un cioccolatino. E’ in maniche di camicia. Il cellulare lo reclama. E’ Meloni? “No, con Giorgia ci scriviamo molto spesso. Noi ministri abbiamo una chat di gruppo in cui lei scrive poco, però. Preferisce i bilaterali, diciamo”. 


L’ufficio del ministro si trova al primo piano di un palazzo del governo alle spalle della Fontana di Trevi. Colpo d’occhio: foto del presidente Mattarella dietro la scrivania, foto con il capo dello stato incorniciata sulla scrivania, a fianco a un’altra foto, questa volta della sua famiglia. Su un mobile in mezzo alla stanza: palloni di un po’ tutte le discipline sportive, la fiaccola dei Giochi olimpici invernali di Torino 2005 in mostra. E poi, certo, quel libro – “Pensare oltre e agire veloce” adagiato sul divano – potrebbe essere anche lo slogan di un manifesto futurista. 


Abodi dopo l’operazione alla gola riceve un’altra telefonata da Giorgia Meloni: “Andre’, ti candidi alle politiche con noi?”. “Le risposi di no, che mi sentivo un tecnico, nonostante non rinneghi il mio passato di attivista a destra”. Anche perché nel frattempo c’era stata una convergenza abbastanza netta sul suo nome per gestire le prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. La capa della destra vince le elezioni. Ancora una chiamata: “Allora, che fai? Vieni a fare il ministro”. Questa volta Abodi ci pensa. E fa inversione a U sulla sua decisione iniziale. Aveva messo in conto con la sua famiglia di trasferirsi a Milano per i Giochi. “Ne ho parlato con mia moglie Maria Grazia. Mi ha detto: ‘Ora sei soddisfatto, ma nei tuoi occhi non c’è felicità’. E così sono restato a Roma”.


La Capitale di Abodi, figlio di dipendente Siae e di una casalinga, liceo al Righi in via Sicilia, zona piazza Fiume. Compagni di scuola: Gianni Alemanno e Fabio Rampelli. “Militavo nel Fronte della Gioventù e continuai la politica anche alla Luiss dove poi mi sono laureato. Erano anni complicati. Molti fratelli sono morti. Ho sofferto. Ma non ho mai fatto del male a nessuno e nessuno lo ha mai fatto a me. Ricordo l’omicidio di Miki Mantakas, ma anche quello di Walter Rossi. Due fatti che mi sconvolsero”. Abodi non cambia mai registro.

La voce è sempre piana. Senza tradire emozioni. Dice di non arrabbiarsi mai, ma che quando questo accade l’espressione del volto lo tradisce. Adesso si concede un sorriso: “Ricordo quando i miei genitori di notte uscivano a cancellare le scritte contro di me nel quartiere dove abitavamo. C’era scritto: Abodi boia, Abodi fascio, Abodi ti ammazziamo”.

Anche lei fa parte della categoria di chi, tipo Isabella Rauti e Ignazio La Russa, evoca con onore i tempi del Msi? Anzi, c’è una continuità tra Fratelli d’Italia e il partito post fascista di Almirante? “Io penso che non si possano tagliare le radici, bisogna fare esperienza degli errori e anche autocritica. Non bisogna autoassolversi né riconoscere tutto”. Né rinnegare né restaurare? C’è, ministro, una continuità valoriale tra il Msi e FdI? “Sono periodi storici troppo diversi per fare comparazioni. Di sicuro sulla nazione, sul senso dello stato e sulla giustizia sociale ci sono dei punti di contatto. Personalmente da ragazzo non ho mai frequentato ambienti borghesi di destra, ma ho preferito sempre stare con il popolo. Né Parioli né San Babila”.


Fa capolino nell’ufficio un ragazzo dello staff: “La stanno aspettando i sindacati per l’incontro”, dice con il tono gentile di chi è pressato. “Ci sono. Dieci minuti e ci sono”, risponde Abodi con un sorriso che gli disegna gli occhi a fessura. Il suo curriculum, quello che lo ha portato a diventare ministro, è fatto di cda e decisioni. Un manager tra sport e comunicazione. Debutto come direttore marketing della filiale italiana della multinazionale statunitense International management group, controllata dalla holding Endeavor group. Poi: co-fondatore di Media partners group, multinazionale a matrice italiana specializzata nella gestione dei diritti di marketing e mediatici di eventi sportivi e federazioni. Dal 2003 al 2006 presidente dell’Azienda strade Lazio e dell’Arcea Lazio, sotto il governo regionale di Francesco Storace. Poi ancora: consigliere di amministrazione per Coni servizi per sei anni, per diventare in seguito presidente della Lega di serie B e consigliere federale della Figc nel 2017, a un passo dalla Lega di A.

Se non fosse stato per la cordata capitanata da Claudio Lotito, senatore che ora fa parte della sua maggioranza. Infine, con decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, è stato nominato presidente dell’Istituto per il credito sportivo, una banca sociale per lo sviluppo dello sport e della cultura. Il 10 luglio 2020 è stato poi eletto consigliere dell’Associazione bancaria italiana per il biennio 2022, e rinnovato poi fino al 2024. Insomma, la politica? Meglio fare il manager. Anche se all’ultima chiamata di Meloni non ha potuto dire no. Nonostante adesso guadagni un quinto di quanto avrebbe preso alla guida del comitato Milano-Cortina. “Ecco perché anche la malattia l’ho affrontata con serenità, per quanto possibile. In quarant’anni ho vissuto e ho preso tanto dalla vita. Con la malattia ho capito che non esistono solo le cose belle. Che il tempo non va sprecato, questo è sicuro”.


Per concordare questa intervista, mercoledì scorso, Abodi ha squadernato dodici appuntamenti per il giorno seguente arrivando a dire: “Per giovedì è impossibile, facciamo venerdì alle otto di mattina da me”. Il ministro, quando lo incontriamo, è entusiasta: stanno per tornare i Giochi della gioventù. Un progetto che dice di aver portato a casa a partire dal prossimo anno scolastico. “Siamo un paese sedentario con molti giovani sovrappeso. Gli stili di vita sono indicatori importanti contro le patologie. Lo sport è una difesa immunitaria per la società”. Viene in mente subito l’uscita di questa estate di Meloni sullo sport come antidoto alle devianze giovanili con tanto di modello islandese da seguire. “Bisogna fare politiche pubbliche dal basso. Andare nelle scuole. Pensare ai nostri impianti, a quanto siamo arretrati anche dal punto di vista digitale. E poi: orientamento, educazione. Stile di vita sano”. L’iniziale voglia di approfittare dei golosi cioccolatini tondi e ripieni di chissà quale bontà offerti dal padrone di casa finisce subito in un circuito di autocoscienza e autofustigazione.
Il ministro è un tecnico, certo. Ma fa ragionamenti politici. Sono le reminiscenze di quando era fiduciario del Fronte al liceo Righi. Bisogna chiedergli dello spoils system, disciplina olimpionica di Palazzo che adesso vedrà coinvolto anche lui. Per esempio: cosa deciderà sulla nomina in scadenza di Vito Cozzoli a Sport e Salute, centro di potere e cassaforte? Abodi non entra nel merito di società e persone. Ma parla di metodo. Questo: “Sullo spoils system non bisogna avere un approccio ipocrita: occorre affidare ad altri le responsabilità che non hanno potuto avere per precedenti scelte politiche. Poi certo bisogna fare in modo che eventuali cambi siano il meno traumatici possibile. La forma è sostanza. Noto un’asimmetria morale in questa polemica: perché se altri governi hanno cambiato e deciso noi non possiamo fare altrettanto?”.
Dicono che Abodi voglia fare il sindaco di Roma un giorno, che questo rimane il suo sogno. Lui nega. Anzi, con una risposta molto politica dice che ha sempre criticato chi, svolgendo un ruolo, già pensa a ricoprirne un altro. Lei che peso dà al tempo? “Non voglio sprecarne, questo sì. Cerco di prendere tutto dalla vita, senza risparmiarmi. Provo a non arrabbiarmi, do il giusto valore alle cose. L’ho capito con la mia esperienza: i giorni, le settimane, i mesi non vanno gettati all’aria”. 
Ma il governo Meloni durerà cinque anni? Dopo cento giorni c’è un discreto odore di napalm in maggioranza, tra voi, Forza Italia e Lega. “Non voglio fare il furbo, ma le assicuro che in Consiglio dei ministri c’è la massima armonia. Io ho deleghe interdisciplinari e vado d’accordo con tutti”. Meloni soffre di ansia da prestazione, come dicono in Forza Italia? “Giorgia ha un forte senso del dovere. La politica è veloce. Vedremo come si assesterà la maggioranza”. Abodi risponde per cortesia a queste domande obbligate. Aver seminato “l’ospite indesiderato” gli assegna un’aria pacificata, ma deve sempre correre. “Ministro, la riunione: l’attendono i sindacati!”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.