Profferte, lusinghe, minacce. Così Lotito ha sbaragliato opposizioni e governo sul "salva calcio"

Valerio Valentini

Il ministro dello Sport Abodi era contrarissimo, e s'è sfogato coi colleghi di governo. Ma Ciriani temeva ripercussioni in commissione Bilancio: "Se gli diciamo di no, non abbiamo più i numeri". E così il patron della laziale ha piegato le resistenze del Mef. Intanto, cercava di rabbonire anche i senatori di Pd e Terzo polo, tra abbonamenti allo stadio e cene. E anche proposte più cameratesche

Martedì mattina, alla buvette di Palazzo Madama, la sfida tra senatori delle opposizioni era sulla qualità delle offerte ricevute. “A me ha proposto una cena”. “A me abbonamenti allo stadio per figli e parenti”. Ha vinto a mani basse un esponente del Terzo polo, che s’è visto tentato dalla più cameratesca delle lusinghe: “Semo omini, no, se sa quello ce piace a noi: nun fa’ complimenti…”. Semplice “goliardia”, si difende lui. Ma se alla fine l’impuntatura di Claudio Lotito sull’emendamento “salva calcio” ha avuto buon esito, è perché oltre alla scapataggine da buontempone ha saputo adottare minacce ben più raffinater. E così alla fine anche Giorgia Meloni, la quale pure si dichiara romanista convinta,  ha ceduto al patron biancoceleste.

La proposta di Lotito non piaceva al governo.  Carlo Abodi, ministro dello Sport in quota FdI, a un certo punto è dovuto intervenire  per mettere a verbale la sua contrarietà, visto che le telefonate e i messaggi del senatore di FI si configuravano come una vera manovra ostile: “Perché se è un favore a poche società, non ne voglio sentir parlare. Se invece pretende di essere un intervento a sostegno dello sport italiano, non capisco perché dovrebbe portarla avanti un singolo senatore con un emendamento estemporaneo e non il ministro titolare”, s’è sfogato in privato Abodi. E del resto diluire – tra gli altri, assai marginali nel computo complessivo, delle varie società sportive professionistiche – i debiti delle squadre di Serie A col fisco,  e farlo proprio mentre si chiedono sacrifici agli italiani, non appariva una grande mossa neppure alla premier. Perché 890 milioni, tanto vale alla fine – almeno sul saldo netto –  la misura che consente di spalmare su cinque anni gli arretrati che le società sportive professionistiche avrebbero altrimenti dovuto sborsare entro fine anno, con una sanzione irrilevante del 3 per cento, è grosso modo la stessa cifra che racimolata dal taglio del Reddito di cittadinanza.

Solo che poi, al dunque, tutto s’è placato. E il promotore dell’accordo è stato Luca Ciriani, responsabile dei Rapporti col Parlamento, che ha fatto di conto e s’è allarmato. Perché Lotito è il vicepresidente commissione Bilancio, a Palazzo Madama, dove il centrodestra ha un margine di due voti: quelli di FI. E per dare un segnale inequivocabile, il patron laziale ha ottenuto che a firmare l’emendamento del contendere, inizialmente pensato per il dl Aiuti, fosse il suo collega Dario Damiani. “Insomma, se glielo bocciamo, nella commissione più importante del Senato non abbiamo più la maggioranza”.

Così è maturata la mediazione: emendamento traslocato in legge di Bilancio, nel caos generale che accompagna i lavori della Camera di queste ore, e blindato dalla fiducia. “Dunque un grande tifoso di calcio inglese – incalza Matteo Renzi, riferendosi a Giancarlo Giorgetti, sfegatato sostenitore del Southampton – anziché scommettere sugli investimenti della Serie A, scommette sugli emendamenti notturni di Lotito”. Lo dice, Renzi, perché nel frattempo anche su questo il ministro leghista è riuscito a dirsi, sul tema, contrario e favorevole al contempo. Scettico sulle prime, fattosi riottoso quando la Ragioneria dello stato gli ha quantificato la portata del “Superbonus Lotito”, è infine arrivato a spiegare, tramite una nota del Mef, che “non è previsto alcun trattamento di favore o sconto o deroga” per le società sportive, che dovranno comunque pagare i contributi previdenziali accumulati, sia pure “in 60 rate” anziché in una. 

Ennesimo colpaccio di Lotito: essere riuscito a convincere, da solo, tutto il governo. D’altronde, se è vero che i suoi detrattori biancocelesti lo chiamano “Lotirchio” per via della sua riluttanza a spendere, martedì mattina, alla buvette del Senato, tutti convenivano che quando vuole sa essere davvero magnanimo. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.