Il governo davanti al muro del Mes: fare retromarcia o avanzare spediti?

Luciano Capone

"Speriamo che l’Italia ratifichi a breve”, dice Lagarde (Bce). Il Pd porta la ratifica in Aula. Giorgetti dopo aver aspettato Karlsruhe temporeggia. E Meloni deve scegliere tra la parola del paese data all'Europa e la sua data agli elettori

“Dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca, è rimasta solo l’Italia a non approvare la riforma del Mes e speriamo che anche l’Italia la ratifichi a breve”, ha dichiarato Christine Lagarde in conferenza stampa a Francoforte dopo la comunicazione delle decisioni di politica monetaria della Bce, anche perché la riforma del Mes è parte integrante del completamento dell’Unione bancaria. Lo spread sale sopra i 205 punti e il governo protesta: “Non ho capito il regalo di Natale che la presidente Lagarde ha voluto fare all’Italia”, dice il ministro della Difesa Guido Crosetto. Ma la responsabilità è del governo, che non doveva mettere l’Italia in questa posizione.

 

L’auspicio di Lagarde arriva dopo le dichiarazioni del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che in Parlamento ha bocciato la riforma del Fondo salva stati, a cui manca solo la ratifica dell’Italia per diventare effettiva: “Il Mes appare un’istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un’istituzione impopolare”, ha detto. E ancora: “Siamo coscienti dell’impegno assunto dall’Italia e che allo stato tutti gli altri paesi aderenti abbiano proceduto alla ratifica, ma alla luce dei dati fattuali emerge con chiarezza la necessità che la decisione di procedere o meno alla ratifica del trattato sia preceduta da un adeguato e ampio dibattito in Parlamento”.

 

Le dichiarazioni del ministro dell’Economia hanno turbato tutti a Bruxelles, a Francoforte e in tutte le 18 cancellerie dei paesi dell’Eurozona che dopo aver firmato l’accordo sul nuovo Mes, come ha fatto anche l’Italia, l’hanno pure ratificato. Fino a poco tempo fa la posizione pilatesca dell’Italia, espressa sempre da Giorgetti, era quella di “attendere la decisione della Corte di Karlsruhe”, visto che la Germania era l’altro paese in attesa di ratifica perché c’era un ricorso pendente. E attraverso questo escamotage poco sovranista il governo pensava di poter evitare di prendere una decisione politica, dato che Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono sempre dichiarati nettamente contrari alla ratifica.

 

Ma la sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha dato il via libera alla ratifica, è arrivata prima di quanto a Palazzo Chigi e a Via XX Settembre immaginassero. E Giorgetti ha tentato un ulteriore lancio della palla in tribuna, parlando di un “adeguato e ampio dibattito in Parlamento”. Premesso che il dibattito sulla riforma del Mes è durato anni e, dopo che l’Italia l’ha firmato, bisogna solo decidere se ratificarlo o meno, per avere un dibattito bisogna che la legge arrivi in Parlamento. E questo presuppone una decisione politica, visto che dovrebbe essere il governo ad approvare in Consiglio dei ministri la legge di ratifica e prima di portarla in Parlamento.

 

Il timore, quindi, è che il governo continui a fare melina senza affrontare il nodo politico, congelando la riforma. Ma in questo caso possono intervenire le opposizione per sbloccare l’impasse, perché come ricorda al Foglio Stefano Ceccanti, ex senatore del Pd e costituzionalista esperto di procedure parlamentari, “a partire dalla legislatura del 1994 è ammessa la presentazione da parte di singoli parlamentari di progetti di legge di ratifica di trattati, cosa che prima era riservata al governo. È stata un’innovazione opportuna, perché consente al Parlamento di superare un eventuale ostruzionismo di maggioranze divise. Esattamente come nel caso attuale del Mes”. Il consiglio di Ceccanti deve essere arrivato al Pd, visto che il vicepresidente del gruppo alla Camera Piero De Luca annuncia di aver “depositato una proposta di legge di autorizzazione alla ratifica dell’Accordo di modifica del Trattato che istituisce il Mes”.

 

Al di là del merito della riforma, che non contiene alcuna delle minacce paventate negli anni da Meloni, ciò che sorprende di più è il metodo usato dal governo. Nel dibattito sull’Ucraina, la presidente Meloni ha detto con chiarezza che: “Solo un’Italia che rispetta gli impegni può avere l’autorevolezza per avanzare richieste a livello europeo e occidentale”. Allo steso modo, Crosetto ha spiegato al Parlamento che “lo Stato funziona così. Non si interrompe il giorno del cambio di governo, ma i vari governi che si susseguono onorano gli accordi che i governi precedenti hanno preso o sottoscritto. Non per scelta politica, ma perché gli stati si comportano così”.

 

È esattamente il contrario di ciò che il governo sta facendo sul Mes: l’Italia si isola e blocca una riforma concordata da tutti, disonorando un accordo sottoscritto dal governo precedente. Certo, politicamente è costoso per Meloni fare una retromarcia su una storica battaglia di FdI. Ma peggio, per il governo e il paese, sarebbe andare con coerenza a sbattere contro il muro.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali