Il profilo

Pichettinelli. Ritratto del tenero pasticcione Gilberto Pichetto, il ministro erede di Cingolani

Carmelo Caruso

Ministro della Sicurezza energetica quasi per errore, l'infanzia difficile, le gaffe, i sorrisi di Silvio Berlusconi e le sue tre oche. Ascesa di un ministro nel mirino

Ha scambiato “compromise” per complimento così come Giorgia Meloni gli aveva scambiato ministero. Per venti minuti (“scusateci, c’è stato un errore nella lista”) Gilberto Pichetto Fratin, deputato di Forza Italia, è stato l’erede di Renato Brunetta, ministro della Pa. Venti minuti dopo lo era di Roberto Cingolani, uno di cui dicono che sia un mezzo genio, ministro della Sicurezza energetica. E’ passato così dai fannulloni al decoupling, al price cap, al Ttf, “ e “l’Eni cosa dice?”… A chi non sarebbe girata la testa? E’ umile al punto che, a Bruxelles, quando si è confuso, “do you find compromise?, ha risposto: “Bah, complimenti, insomma”. I giornalisti, e i suoi colleghi  gli vogliono mettere le orecchie d’asino. Lo chiamano “Pichettinelli”, come Danilo Toninelli, l’ex ministro citrullo dei 5s, ma Pichetto è in realtà il Mozziconi di Luigi Malerba (Quodlibet) il piccolo vagabondo solitario che si era scelto un cane per amico perché solo lui “lo ascoltava e non rideva”. Anche  il ministro Pichetto, quando torna a casa, a Gifflenga, in provincia di Biella, 104 abitanti, ragiona con il suo cane Ginger e gli liscia il pelo, come  il goffo  Mozziconi, “e poi gli racconta le cose che ha letto sui giornali o su un libro di storia che ha imparato a memoria”. Si è rimesso infatti pure lui  a studiare di sera, a memoria, come fanno i timidi, quelli che non vogliono dirlo perché hanno paura di non farcela.


Raccontano che pochi giorni dopo la sua prima uscita, quella che gli è valsa le prime pagine dei quotidiani, la prima gaffe, il tenero Gilberto sia andato in libreria e abbia chiesto con la sua solita dolcezza: “Scignora, scia mica un libro per imparare questo ingleeese?”. Lo aveva capito pure Mario Draghi quando scherzando aveva ammonito, “ma poi perché tutto questo inglese?”, che in Italia chi lo parla sul serio non lo usa come olio di ricino: “Ma hai sentito che pronuncia? Che ovrore”.

  

Prima di Cingolani, che lo maneggia meglio dell’italiano, in quel ministero che non si capisce più quante competenza abbia, “nessuno - rivela un funzionario -  ha mai parlato inglese. Neppure Bersani che è ritenuto il miglior ministro dello Sviluppo Economico di questi anni. Tutti i ministri si appoggiano agli staff. E poi lo sapete quanti anni ha Pichetto?”. Ha 68 anni e a otto rimase senza padre.

  

Ci sono uomini che a volte si rompono senza preavviso. Iniziano a stringere più forte la cintura perché i pantaloni cadono. Significa che stanno perdendo peso, che piangono quando la moglie esce di casa e che non mangiano.  Si  nutrono. Quando accadde, e accadde, Gilberto fece tutto per bene. Rimboccò il lenzuolo. Terse il volto. Uscì di casa. Andò a chiamare la madre. Stava lavorando. Lo ha cresciuto in pratica il nonno. Era figlio unico. Prese il posto del babbo in fabbrica: “Puoi venire tu al suo posto”. Per andare a scuola, Pichetto, oltrepassava i torrenti. Si metteva in spalla la bicicletta. Quando arrivava in classe aveva sempre i piedi inzuppati. E’ nato a Veglio, vicino la Valle di Mosso, una valle che nel 1968 venne sconvolta da un’alluvione. Per tre mesi restarono tutti fuori casa. Anche Pichetto. E’ quella parte di Piemonte risaia.

 

Le famiglie sono liberali, anticomuniste. Sul comodino tengono ancora il libro di François Furet, “Il passato di un’Illusione”. Pichetto si è diplomato geometra, laureato in Economia e Commercio, da studente lavoratore, e prima di aprire il suo studio da commercialista, a Biella, aveva lavorato, e tanto, in un altro, sempre da morbido orso. Ha tre oche. Ancora oggi riceve nel suo studio che è rimasto al figlio e alla moglie Renza, segretaria comunale. Pure l’amore lo ha trovato in servizio. Il più piccolo dei figli, Davide, si alza per primo: vuole  vedere cosa hanno scritto del padre.

 

Alla Camera una volta ha dichiarato: “Amo solo due signore. La mia e la Vecchia, la Juventus”. Il film che si rivede è “I magnifici Sette”, la canzone che riascolta è “Rimmel”. Neppure gli avversari del Pd riescono a parlarne male. Nel suo primo mese da ministro della Sicurezza energetica ha fatto confusione tra il Consiglio dell’Europa e il Consiglio d’Europa e pochi giorni fa, dopo la tragedia di Ischia, un’uscita che ha fatto infuriare  Giorgia Meloni: “Io metterei quei sindaci in galera”. Si riferiva ai sindaci che permettono gli abusi.  Gli è venuta male tanto da precisare: “Il mio discorso era più ampio”.

 

In Forza Italia si sa che è vicino ad Antonio Tajani. A Biella il suo rivale è Roberto Pella, anche lui deputato di Fi. Nello scorso governo Pichetto ha invece ricoperto l’incarico di viceministro dello Sviluppo Economico. Per la sua battaglia contro il rinnovo delle concessioni balneari, una battaglia liberale, i giornali, progressisti, lo elessero, giustamente, a eroe: “Chiamiamo Pichetto”. Funziona sempre così: “Ma hai visto quante ne combina oggi Pichetto?”.

 

Non si sa come, ma, sempre da vice di Giorgetti, era riuscito a fare amicizia con Alessandra Todde, altra vice di Giorgetti e vicepresidente del M5s. L’unico vizio, si può chiamare vizio?, che Pichetto si concede è l’aperitivo del sabato con i vecchi amici. Il caffè sempre allo stesso posto, il bar all’angolo di Biella. Pochi metri dopo è già autostrada.

 

Gli rimproverano, oggi, di non saper parlare male di nessuno in questa città, a Roma, dove tutti parlano male di qualcun altro, dove si misurano gli affetti e pure la dolcezza: “Ma non lo sai che quello alto e magro… ma come? Non lo sai?”. E si può ancora sopportare se a farlo è la schiuma dei palazzi, ma cosa succede quando a irriderti è il sovrano, Silvio Berlusconi? O ti fai lupo o resti Pichetto.

 

In Forza Italia, Pichetto, è la “gag Pichetto” (“ma come, non lo sai?”). E’ in questo partito dal 1994 ma Berlusconi, e non è certo una colpa, non ha mai avuto modo di conoscerlo davvero. Quando il non ancora ministro ha cominciato a frequentare le stanze reali, Berlusconi, di fronte a tutti, chiese: “E lui, chi è?”. E in coro: “Presidente, ma è Pichetto, il segretario di Forza Italia in Piemonte, nostro assessore regionale, vicepresidente del Piemonte con Roberto Cota, senatore, deputato”. Berlusconi: “Ah, giusto”. Si è ripetuta un’altra volta in Parlamento.

 

Berlusconi: “Ma questo da quanto tempo sta con noi?” e Pichetto: “Da trent’anni, presidente. Trenta”. In verità, ricorda un suo caro amico di Biella, “Pichetto è stato militante del Partito repubblicano. E’ cresciuto politicamente con il senatore Giuseppe Barbera, medico, eletto con il Partito socialdemocratico. E’ stato perfino vicesindaco ma mai sindaco. Ha avuto un passaggio pure in Alleanza democratica, anni Novanta. Era la capanna degli italiani con il loden: Giuseppe Ayala, Pietro Scoppola, Giorgio Ruffolo. In Fi c’è dalla fondazione.

 

Nel 2013 gli tolse il seggio Angelino Alfano. Scelse il Piemonte a scapito di Pichetto. Venne così chiamato da Cota, ex governatore leghista, in giunta, che di lui dice: “Gilberto, grande lavoratore. Stava sempre nel suo ufficio”. Nel 2014 venne candidato contro  Chiamparino, ma perse. Eletto in Parlamento si è meritato la fama nel luglio del 2011 come relatore della legge finanziaria. Nello stesso anno presentò con i senatori Paolo Tancredi e Cosimo Latronico un pacchetto di norme di sanatoria fiscale. Nello stesso pacchetto Tancredi provò a inserire anche il condono edilizio. Venne stralciato. La parola “condono” è come la lucertola: non c’è bambino che non ne abbia uccisa almeno una nella vita. Più fortunato è stato senza dubbio il sodalizio tra Pichetto e la senatrice Cinzia Bonfrisco. Erano un po’ come Messi e Di Maria, i goleador dell’emendamento.

 

A loro si deve l’emendamento “poker live” che ha permesso l’apertura di oltre 1.000 sale da gioco. Nel 2019, di emendamenti, il solo Pichetto riuscì a depositarne 500. Al Corriere, all’eccezionale Lorenzo Salvia, spiegò la filosofia: “Mai dire mai. Anche se l’emendamento non passa, segna un tema, apre un dibattito. Magari passa la volta dopo”. Dopo la morte di Marco Biagi, da membro della Commissione lavoro, gli venne assegnata la scorta. Il resto, le cariche, fino a quest’ultima, addirittura ministro  gli deve essere sembrata quasi troppo.

 

A Cingolani, che anche Draghi riteneva una specie di Enrico Fermi, ha chiesto: “Mi puoi dare una mano? Resti?”. Pichetto è ministro dell’Ambiente e dunque deve tenere conto delle richieste degli ambientalisti. Ma è anche ministro della Sicurezza energetica e deve raggiungere la “sovranità”, termine che piace alla Meloni, contro gli ambientalisti. Non è Toninelli, ma tutto al più un “sincero pasticcione con il sorriso”. E’ come quei nonni che senza i nipoti si sentono perduti: “Nonno, nonno, dicono a te!”. Perfino il suo libro preferito è un biglietto di scuse. E’ di Indro Montanelli. Titolo: “Se non mi capite l’imbecille sono io”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio