Prove di sovranismo adulto

L'Europa è scomparsa dal dizionario di Meloni, ed è una buona notizia

Luciano Capone

La premier rivendica “responsabilità” sui conti pubblici senza usare l'alibi dei vincoli di Bruxelles. Ma a fianco al sovranismo adulto c’è ancora un residuo di sovranismo infantile, quello del gioco delle “tre tasse piatte” in cui nessuna lo è per davvero

Nell’illustrazione della legge di Bilancio fatta da Giorgia Meloni, attorniata dai suoi ministri, manca completamente l’Europa. E si tratta di una novità rispetto al passato, in cui le regole comunitarie venivano spesso usate come alibi, sia da parte degli europeisti che presentavano cose spiacevoli dicendo “ce lo chiede l’Europa”, sia da parte dei sovranisti che dicevano di non aver potuto fare di più per colpa dei “tecnocrati di Bruxelles”. Questa sorta di sovranismo adulto del governo consiste invece nel rivendicare la “prudenza” sui conti pubblici perché è nell’interesse del paese, senza scaricare responsabilità su Bruxelles. “Questa è una manovra figlia di scelte politiche – ha detto la presidente del Consiglio – ed è una manovra coraggiosa, coerente con gli impegni che abbiamo preso con il popolo italiano”.

 

Su questo c’è piena sintonia con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha rivendicato la linea “responsabile” e il “coraggio di prendere scelte impopolari per ragioni di equità e giustizia”. A un certo punto, è parso che Giorgetti punzecchiasse il vicepremier Matteo Salvini, seduto accanto a lui, che almeno dalla primavera scorsa chiede pesanti scostamenti di bilancio: “In tanti invocavano sforamenti di qua e sfondamenti di là, si aspettavano che facessimo un po’ di follie, mi dispiace non aver assecondato questo tipo di aspettative”.

 

Questo approccio responsabile (“responsabilità” è una delle parole più citate da Meloni) sull’equilibrio di finanza pubblica caratterizza l’impianto della manovra, che è per circa tre quarti in continuità con la linea del governo Draghi: su 35 miliardi complessivi, 21 miliardi sono impiegati per la proroga delle misure contro il caro energia e 4 miliardi per la proroga e il potenziamento (da due a tre punti) del taglio del cuneo fiscale. L’altro elemento interessante è che in buona parte delle misure il governo ha introdotto elementi di selettività per indirizzare le risorse alle famiglie più bisognose: taglio del cuneo fiscale (il punto aggiuntivo di sconto è riservato ai redditi fino a 20 mila euro), rivalutazione delle pensioni (le minime verranno aggiustate rispetto all’inflazione del 120 per cento, fino a scendere al 35 per cento per le pensioni 10 volte la minima), allargamento del bonus sociale per l’energia alle famiglie con Isee fino a 15 mila euro, aumento dell’Assegno unico per le famiglie numerose e con figli disabili.

 

Anche sui tagli di spesa, dal contenimento del Superbonus (al 90 per cento) alla riduzione del taglio delle accise sui carburanti, il governo va nella stessa direzione tagliando i trasferimenti ai redditi più alti. In controtendenza con l’approccio “sociale” c’è l’annuncio dell’abolizione del Reddito di cittadinanza a partire dal 2024, e una riduzione di spesa (massimo 8 mesi di erogazione) per il 2023. In realtà anche questo intervento, visto insieme al taglio dei contributi per i redditi più bassi, ha una coerenza con il messaggio politico di Meloni che è quello di promuovere il lavoro e premiare i lavoratori.

 

A fianco però a quello adulto, c’è ancora un residuo di sovranismo infantile. Ad esempio quando Meloni dice che “ci sono tre tasse piatte”, italianizzando il termine “flat tax”, come peraltro fa annunciando l’introduzione dei “buoni” (invece di “voucher”) per i lavori in agricoltura e di cura della persona. E non perché sia sbagliato tradurre gli anglicismi, anzi il lavoro avviato alla Camera da Fabio Rampelli che dice “dispensatore” al posto di “dispenser” deve proseguire visto che anche alla patriottica Meloni scappa ancora di dire “sugar tax e plastic tax”. Ma perché nella presentazione delle norme fiscali, più che della lingua italiana la premier dovrebbe avere rispetto degli italiani. E quindi della verità.

 

Delle “tre tasse piatte” annunciate, nessuna lo è. Una è l’estensione del regime forfettario per gli autonomi da 65 a 85 mila euro con aliquota al 15 per cento; l’altra è l’introduzione della cosiddetta “flat tax incrementale” del 15 per cento, sempre per gli autonomi, sugli aumenti di reddito rispetto al triennio precedente; l’ultima è il taglio dal 10 al 5 per cento dell’aliquota sui premi di produttività fino a 3 mila euro. Non solo nessuna di queste è una flat tax, che è un’imposta sui redditi a una sola aliquota, ma tutte vanno in senso opposto al suo spirito che è quello di semplificare il sistema e rendere ampia e omogenea la base imponibile. È evidente che il governo, per mancanza di risorse, cerca degli espedienti per dire di aver rispettato il programma elettorale. Ma, per rispetto della verità, oltre che della lingua, Meloni dovrebbe tradurre il suo gioco delle “tre flat tax” con “gioco delle tre carte”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali