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Andate in pace

Cattolici in marcia (adagio)

Zuppi prova a chiarire bene le idee

Maurizio Crippa

Lanciata in modo roboante da Avvenire, la forza d'urto della manifestazione del 5 a Roma si è un po' spenta in casa cattolica. Colpa della politicizzazione ambigua di Conte, di troppe ambiguità di giudizio e di un concetto di "pace" astratto che non piace a tutti. Nemmeno al Papa e alla Cei

Milano. Con una sobria lettera “a chi manifesta per la pace” nella prima colonna di Avvenire, sobriamente firmata Matteo Zuppi (le qualifiche in basso a pagina due), il presidente della Cei ha offerto ieri qualche riflessione ecumenica (“desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti”) in vista della manifestazione per la pace di Roma (Milano, questa sconosciuta) cui hanno diligentemente  aderito anche tutte le sigle cattoliche.
Sono 54 i gruppi cattolici firmatari dell’appello “Insieme a Francesco, per la pace” pubblicato sempre da Avvenire la scorsa settimana. Esortativo il tono, “alcuni diranno che manifestare è inutile… invece è importante”, e prepolitiche le idee: “La pace mette in movimento. E’ un cammino, ‘è, per giunta, cammino in salita’”, scrive Zuppi citando don Tonino Bello. Un tono attento ed equilibrato, così diverso dall’intervista piena di ambigui slogan di Giuseppe Conte cui Avvenire aveva concesso la prima pagina il mese scorso, proprio per lanciare la marcia “senza bandiere” – cioè senza saper nominare il responsabile di una guerra d’aggressione e senza chiedere a lui per primo di ritirarsi. E diverso ancor più dall’incredibile manifesto “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, sempre su Avvenire e sul Fatto, firmato nelle scorse settimane anche da alcuni intellettuali cattolici, così ambiguo con la guerra d’aggressione e le ragioni presunte di Putin da avere suscitato, in casa cattolica, più di una forte perplessità. Di cui qualche segnale è probabilmente giunto anche ai piani alti della Cei dove il cardinale di Bologna, buon conoscitore della raffinata diplomazia di Sant’Egidio, ha il suo daffare a tenere il timone di un impegno desideroso di fermare “i pezzi dell’unica guerra mondiale”, ma senza cadere in un irenismo poco realista né in una logica di resa imbelle, intinta nell’ambiguità morale e politica che pure sarà in piazza a Roma, almeno in una parte dei partecipanti. Del resto gli strafalcioni visti in altre occasioni giustificano qualche preoccupazione non solo del mondo cattolico, ma anche di una parte del “poliverso” pacifista. Questo contribuisce all’impressione generale che la giornata romana del 5 novembre abbia perso un po’ della sua sbandierata forza d’urto iniziale. Almeno in casa cattolica, dove, al di fuori di Avvenire, pur sempre quotidiano ufficiale, la risonanza è andata un po’ in discesa. Certo, pesa non poco la coloritura politica e strumentale assunta dalla manifestazione, con Giuseppe Conte che si intesta una prova di forza per la leadership della sinistra. Le dichiarazioni del leader del M5s ammiccanti a Mosca – tra cui l’indecente definizione della resistenza ucraina come “ossessione di una ipotetica vittoria militare”, e persino l’idea che “non sia più necessario che l’Italia invii le armi all’Ucraina” – hanno poco da invidiare a quelle di Berlusconi e hanno destato imbarazzo in chi si batte per il ripristino della verità, unica strada per trattative serie. Ma non c’è solo questo: pesa anche una certa, storica, debolezza culturale e politica dei cattolici a elaborare posizioni non solo genericamente “pacifiste”, spesso ancillari verso l’anti-atlantismo della sinistra, ma capace di cercare vie concrete di tregua, di cessate il fuoco, di gestione dei conflitti. Si citano spesso i Costituenti e Dossetti, ma mai si cita il Gandhi che pure diceva: “Credo che nel caso in cui l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza”. Resistenza (alla violenza) e non resa. In questa nebbiolina all’orizzonte, e al di là dell’unanimità dell’adesione delle sigle cattoliche – del resto l’ha chiesta Papa Francesco, che però sarà in Bahrein: e sarà interessante vedere la partecipazione reale e il giudizio d’impegno che ne potranno venire – non è così strano che il mondo cattolico abbia smorzato i toni. Non è quello che vorrebbe Zuppi, ovviamente. Che infatti nel finale ricorda le parole chiare del Papa all’Angelus del 2 ottobre: “Chiediamo al presidente della Federazione russa, di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace”, dove il richiamo alle proposte di pace “serie” era diretto contro le falsità equivicine che dall’inizio del conflitto scambiano le – auspicabili – trattative per la pace con una resa più o meno condizionata. Un impegno basato dunque non solo su degli assoluti etici, ma su un realismo tutto da costruire. Sarà importante evitare di farsi strumentalizzare da interessi politici estranei allo scopo. Sobrietà.
 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"