Giorgia Meloni (LaPresse)

L'approccio diversamente populista di Meloni manda l'opposizione nel panico

Claudio Cerasa

Il trasformismo meloniano ha spiazzato i follower del populismo ma ha messo in crisi anche le opposizioni. Tema: come evitare il modello mulini a vento? Un viaggio tra le parole di Pd, M5s e Terzo Polo, con una traccia su una sfida futura

Il loden e i mulini a vento. Il disorientamento prodotto dall’approccio diversamente populista mostrato da Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico approvato con larga fiducia sia alla Camera sia al Senato ha provocato un doppio smarrimento nell’universo politico. Il primo smarrimento, inconfessabile, è quello vissuto da tutti i follower del nazionalismo che avevano puntato forte su Meloni come testa d’ariete dell’internazionale sovranista e che di fronte al discorso non estremista della presidente del Consiglio hanno dovuto inghiottire bocconi molto amari di fronte a ogni prova di europeismo offerta dalla nuova premier italiana.

 

Il secondo smarrimento, più evidente, anch’esso inconfessabile, è quello vissuto dalle opposizioni, arrivate all’appuntamento della non fiducia a Meloni con in mano discorsi, idee e ragionamenti vecchi, superati dai tempi, dai fatti, dalle parole e in larga parte non più validi dopo aver ascoltato e riascoltato martedì il discorso della premier. Smarrimento perfettamente sintetizzato ieri da Repubblica, che dopo aver descritto per molti mesi Meloni come un’estremista incapace di tagliare i ponti con il passato fascista è stata costretta a dare spazio a una mirabile Concita De Gregorio, che ha definito Meloni nientepopodimeno che “una fuoriclasse”. Non sono arrivate a tanto le opposizioni, nei due giorni di dibattiti alla Camera e al Senato, ma è sufficiente scorrere rapidamente gli interventi consegnati alle Camere da alcuni deputati e senatori dell’opposizione per fotografare lo smarrimento dei partiti alternativi a quelli della maggioranza.

 

E il problema è evidente: si può fare una campagna contro Meloni basata sulle “reticenze sul fascismo”,  sui “diritti sotto attacco”, sulle “ambiguità sull’anti europeismo” in presenza di una Meloni dura sul fascismo, poco ambigua sull’europeismo e desiderosa di dimostrare a tutti i costi di non voler cambiare nulla della 194? Detto in modo più brutale: se Meloni, tradendo il suo passato, costringe l’opposizione a uscire dalla comfort zone delle battaglie semplici in che modo i partiti che non sostengono la maggioranza possono provare a sfruttare la possibile trasformazione di Meloni per reinventare se stessi?

 

Da questo punto di vista, a proposito di smarrimento, ascoltare i discorsi dei partiti dell’opposizione, in questi giorni, è un’operazione più che istruttiva. Il movimento 5 stelle accusa Meloni del grave delitto di non essere in discontinuità con un governo che lo stesso M5s ha appoggiato per due anni (“non ho sentito alcuna discontinuità politica con l’ultima parte del governo Draghi”, ha detto martedì non senza tradire un po’ di imbarazzo l’onorevole Ricciardi del M5s). Lo stesso Movimento 5 stelle accusa Meloni di essere incoerente sul Pnrr riconoscendo involontariamente che sul Pnrr ora la posizione di Meloni non è attaccabile (“fa specie che voi definivate il Pnrr un cappio al collo degli italiani e che oggi invece vi sia addirittura un ministro per il Pnrr”, ha detto ancora l’immenso Ricciardi).

 

+Europa attacca Meloni riconoscendo i suoi progressi (“noi di +Europa saremmo compiaciuti se, all’improvviso, lei si fosse accorta che l’interesse nazionale coincide con il rilancio dell’integrazione politica europea, che Orbán non è un baluardo di valori contro il globalismo delle élite europee”, ha detto martedì alla Camera Riccardo Magi). Il Pd, sempre martedì alla Camera, ha polemizzato con Meloni sull’uso gravissimo della parola merito (“aggiungere la parola merito a istruzione, così lo elevate a ideologia, a legittimazione etica delle diseguaglianze”, ha detto Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd). Bruno Tabacci, presidente di Impegno Civico, ha elogiato Meloni per il suo atlantismo (“mi è piaciuta molto l’affermazione che non possiamo barattare la libertà dell’Ucraina con le nostre comodità”). Matteo Richetti, capogruppo di Azione/Italia viva, ha notato anche lui, in un discorso comunque critico contro Meloni, l’incoerenza della nuova premier (“Presidente, se l’Europa diventa la soluzione e non è più il problema, io sono la persona più felice del mondo, ma se lei mi spiega che non ha mai cambiato idea su nulla”).

  
Beatrice Lorenzin, senatrice del Pd, ha riconosciuto, nell’intervento di Meloni, “un onesto richiamo alla realtà del momento storico in cui il suo governo si insedia”. Enrico Letta, segretario in carica del Pd, ha notato che nel discorso di Meloni vi è, con il governo passato, “la ricerca di continuità su tanti temi: il Pnrr, le regole europee, la lotta alla mafia, l’Unione europea” e ha detto che su questi temi, su questa eventuale ricerca di continuità con il passato, “noi ci saremo e faremo di tutto per fare il nostro dovere”. Giacobbe, del Pd, ha tenuto a far arrivare a Meloni il suo plauso alla Camera su un tema strategico, per così dire, “presidente, ho apprezzato il suo brevissimo accenno alle comunità italiane nel mondo e all’importanza dell’insegnamento della lingua italiana”.

 

E lo stesso, ieri, ha fatto l’onorevole Maria Stella Gelmini, di Azione, che, con pragmatismo, ha detto “le diamo atto di un vistoso cambio di tono”, ha aggiunto di augurarsi “viste le affermazioni dei suoi alleati, che lei, da Presidente del Consiglio, riesca a mantenere questa posizione all’interno della sua maggioranza” e ha elogiato Meloni per l’incontro con Macron (“speriamo che dia frutti”) insistendo anche lei sull’incoerenza con il passato (“non possiamo dimenticare il suo legame con Orbán, le dichiarazioni rispetto a Vox e anche la vicinanza ai partiti estremisti nell’Unione europea”). E dunque, certo, le tracce di populismo di Meloni non sono state del tutto cancellate. Ieri, nelle repliche alla Camera, Meloni, impeccabile sull’Ucraina, ha nuovamente alimentato, in un momento importante per il successo delle quarte dosi dell’Italia, nuovo scetticismo sui vaccini (“Non c’erano certezze che i vaccini facessero bene ai ragazzi di 12 anni ma li abbiamo vaccinati”), ha nuovamente evidenziato la sua volontà di intervenire sull’ergastolo ostativo (dicendo l’opposto di quanto sostenuto tra l’altro dal suo ministro della Giustizia Carlo Nordio, secondo cui “l’ergastolo ostativo, il principio cioè che al reo non venga concessa la possibilità di alcun beneficio, un’eresia contraria alla Costituzione”), ha mostrato nuove ambiguità sul tema della lotta all’evasione fiscale (proporre la revisione del tetto del contante il giorno dopo aver proposto un condono fiscale è, a modo suo, un manifesto politico) e ha purtroppo sorvolato su un punto importante sollevato in mattinata dall’ex premier Mario Monti (“anche la concorrenza è essenziale per dare spazio al merito: è una curiosa situazione che, mentre in generale nei paesi europei le sinistre sono piuttosto frenatrici sul fronte della concorrenza e le destre sono più liberali e spingono, da noi le destre sono tutrici di singole corporazioni, tutte meritevoli di attenzione, ma che nell’insieme frenano il merito e la crescita”).

   

Eppure, nonostante questo, il trasformismo politico di Meloni è un fatto reale, seppure non completo, che costringerà le opposizioni a compiere  scelte complicate. Costringerà il M5s a scegliere se inseguire l’evanescente linea Dibba o provare a fare concorrenza al Pd sul terreno del laburismo. Costringerà il Pd a scegliere se inseguire la linea  “Meloni pericolosa per il suo non sufficiente anti fascismo” o la linea  “Meloni pericolosa per la sua non sufficiente capacità di difendere la libertà economica”. Costringerà le opposizioni a scegliere se costruire, contro Meloni, le stesse barricate costruite ai tempi di Berlusconi, provando a trasformare la destra in una nemica della Costituzione, o se approfittare delle trasformazioni di Meloni per reinventare se stessa, mettendo di fronte al sovranismo con il loden un’alternativa diversa dal modello donchisciottesco dei mulini a vento. Meloni è cambiata. Lo farà anche l’opposizione?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.