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Caporetto Salvini. Rischia di farsi bocciare Molinari alla Camera. Si è inimicato Giorgetti e Calderoli

Carmelo Caruso

Con la sua strategia sta avvicinando Giorgetti al Mef in quota FdI. Punta su Molinari alla Camera che ha un processo in corso. Calderoli chiama Meloni perchè sogna ancora la guida del Senato

Il generale Cadorna, quello di Caporetto, era un fenomeno rispetto a lui. Questa è la strategia di Matteo Salvini. Per frenare l’elezione di Giancarlo Giorgetti a presidente della Camera (Pd e Calenda sono pronti a votarlo) rischia di vederselo promosso ministro dell’Economia (FdI: “Sarebbe un ministro di spessore”). Per accontentare Riccardo Molinari, a cui Salvini ha promesso la guida di Montecitorio, scontenterà per sempre Roberto Calderoli che sogna  di guidare  il Senato. Qualora Salvini insistesse su Molinari potrebbero esserci franchi tiratori a favore di Giorgetti. Dovesse invece fare eleggere Molinari o Calderoli, Giorgetti lo ricorderà. Se  Salvini fosse capo delle Forze armate ci farebbe invadere dall’Azerbaigian.


Cosa produce l’invidia? La sconfitta. Quando Salvini ha capito che Giorgetti era un valido candidato presidente della Camera ha deciso che il suo sarebbe stato allora “l’abogado” Riccardo Molinari (ha preso l’abilitazione in Spagna). A proposito, chi è? Nella Lega c’è chi lo chiama il “Mol” e chi il “mandrogno”. In dialetto piemontese significa “l’alessandrino” ma anche “il “mandriano”, uomo dai modi spicci. Scriveva Umberto Eco, che era di Alessandria come Molinari (città che la Lega ha perso) che tra i mandrogni “vigeva un’omertà quasi siciliana”. Nel 2018, in totale silenzio, da capogruppo del Carroccio, e contro il parere di Salvini, Molinari diede mandato ai parlamentari di votare il famoso emendamento Vitiello. Con quell’emendamento venivano cancellati i reati di peculato compresi quelli di Molinari. Chi c’era parla di scene di pianto tra i leghisti. Salvini era infuriato. La colpa vene addebitata ai parlamentari che avevano solo eseguito gli ordini del capogruppo. Molinari si chiuse nel suo ufficio della Camera.

 

Il 24 novembre, qualora riuscisse a essere eletto presidente della Camera, e gli facciamo i nostri auguri, Molinari dovrà forse assentarsi. Inizia un processo contro di lui per falso. E’ un vecchio caso che riguarda le elezioni di Moncalieri. Insieme ai vertici della Lega avrebbe depennato un candidato di Fi. In estate, prima di tornare salviniano, il “Mol” aveva la legittima ambizione di sostituirlo. Ha sempre studiato da capo. Per imitare Bossi dicono che guidasse una Volvo e abbia imparato a fumare il sigaro. Cosa accadrebbe a Salvini se la candidatura di Molinari dovesse andare in fumo? Ci ha riflettuto? Quando non riesce a inventarsi un ministero (quello della Natalità) si dedica infatti al suo piccolo piacere: fa il piromane di ministri.

 

In pochi giorni è già andata a fuoco la possibilità che Giulia Bongiorno venga designata alla Giustizia.  Nel caso di Salvini, per farlo stare buono dopo la rinuncia al Viminale, gli alleati si sono convinti della necessità di affidargli il ministero delle Infrastrutture, ministero che l’Italia intera vuole venga affidato al leghista, competente, Edoardo Rixi.  Roberto Calderoli a cui è rimasto solo un’ambizione, diventare presidente del Senato, non si capacita ancora del perché Salvini abbia preferito la Camera per Molinari. Dicono che abbia chiamato personalmente Meloni.

 

La verità è che tutto quello che tocca Salvini diventa adesso bronzo: danneggia chi vuole aiutare e aiuta chi vuole punire. Giorgia Meloni ogni qual volta le rimproverano di non avere ancora individuato il ministro dell’Economia fa replicare in coro: “E però abbiamo Giorgetti…”. Salvini si tiene i brocchi e gli alleati fanno campagna acquisti. Sapendo che Salvini non acconsentirà mai e che piuttosto che vedere Giorgetti al Mef sarebbe pronto a incatenarsi, è cominciata a girare questa frase: “Ma Giorgetti lo sanno tutti che non è un ministro in quota Salvini. E’ ormai un tecnico in quota Lega”. Giulio Tremonti lo sponsorizza perché si ricomporrebbe, alternata, la vecchia coppia. Nel mondo bancario si parla in queste ore di “ritorno al futuro” (nel 2001 Tremonti era ministro e Giorgetti presidente della commissione Bilancio).

 

L’Hegel della Meloni, Giovanbattista Fazzolari, lo apprezza perché sarebbe profumo di Londra contro odore di camembert (è quello di Alessandro Rivera, direttore generale, francofilo che legge il Monde). A Cernobbio, questa estate, sembravano tutti di Sondrio: “Al Mef ci può andare Giorgetti”. Solo Salvini poteva compiere questo miracolo, fare sembrare Giorgetti una specie di Luigi Einaudi. Ormai anche se non dovesse fare il ministro dell’Economia, Giorgetti si muove come se lo fosse. Sabato era a Londra. Se  Salvini fosse furbo gli direbbe: “Mi porti con te e ci beviamo una pinta di birra?”. C’è una fotografia di Giorgetti al pub F3k mentre guarda Milan-Juve.

 

Ieri mattina, lui che ha un guardaroba che neppure il vecchio zio di Canicattì, si è presentato al Quirinale con un abito sartoriale. Si è visto con Mattarella per premiare i Cavalieri del lavoro. Se fosse lui ministro dell’Economia e Salvini alle Infrastrutture la mattina potrebbero darsi la mano e i bacetti come due compagni di scuola: i due ministeri sono vicinissimi. Se Giorgetti rimanesse invece parlamentare semplice farà quello che gli riesce meglio: l’editorialista che spiega a Salvini cosa dovrebbe fare Salvini, uno che questa volta loderemo. E’ il Von Clausewitz alla Nutella. In pochi anni ha sfasciato due governi, cannato l’elezione del presidente della Repubblica, ingigantito la sua alleata, elevato il suo numero due. Il Pd non potrà che ripartire da Salvini alla guida.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio