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L'intervista

Michele Santoro: “Letta e Meloni sono uguali. Tornerà Draghi”

Salvatore Merlo

La politica in stato comatoso, l’eterno ritorno del Tecnico e una Rai fallita, specchio del paese: “Guidata da mediocri”

Enrico Letta e Giorgia Meloni sono pressoché uguali “perché non offrono idee né soluzioni”. E insomma, per Michele Santoro i due leader avversari sono all’incirca la medesima espressione del più generale stato comatoso in cui versa la politica italiana “che non a caso si rifugia nella tecnica di Mario Draghi per manifesta e pericolosa incapacità”. Quindi “vedrete che in un modo o nell’altro tornerà lui. Il Tecnico”, dice. Maiuscolo. Ecco allora il dispiegarsi della tecnica, cui non corrisponde però una téchne politica.

 

 “Un fallimento, perché il tecnico vive nell’emergenza. E l’emergenza porta la compressione del dibattito”. E la Rai, invece? Com’è messa la Rai che di Santoro è stata madre e nutrice? “Mediocrità politica chiama mediocrità televisiva”, dice lui in un soffio. “Poiché il servizio pubblico è controllato da partiti senza testa, ecco che fatalmente fa programmi senza cervello”. E un po’, ad ascoltarlo, viene spontaneo dire che non c’è speranza. Vedi solo nero? “Ancora penso che mi piacerebbe fare politica, vorrei dare una mano a rifondare la sinistra in questo paese. Non è un’idea che ho abbandonato”. Con Giuseppe Conte, forse. A proposito sei contento che il M5s ha candidato Roberto Scarpinato, il pm della mitologica Trattativa? “Penso che la magistratura più che esaltata, oggi andrebbe messa in discussione”.

  

Ma partiamo dall’inizio. Dunque Letta e Meloni non sono il giorno e la notte, il polo nord e il polo sud della politica? “Se nel parlare della guerra in Ucraina non mostri di avere una visione differente da quella del tuo avversario, allora è difficile trovare delle differenze tout court”. Eppure lunedì hanno duellato, il segretario del Pd e la leader di Fratelli d’Italia, ospiti del Corriere della Sera: l’Europa, Orbán, la Polonia... “Sta arrivando un disastro sociale spaventoso per effetto di una guerra che si estende e di cui non si vede la fine. Qua, se ho ragione, chiuderanno centinaia di migliaia di aziende nel nostro paese. Ci saranno tensioni sociali pericolose. Una situazione che richiederebbe risposte politiche. Ascolto. Di fronte a tutto questo Letta offre soltanto il miracolo civile di convincere Draghi a tornare, magari con Berlusconi e Salvini che potrebbero trovarsi alla fine d’accordo con lui. Mentre Meloni ci prospetta un sovranismo sempre più annacquato e spiazzato di fronte a drammi globali così imponenti che la sola idea di una risposta nazionale, sovranista, mi fa sorridere”. 

 

“Quindi Letta e Meloni sono entrambi senza risposta”, dice Michele Santoro. “E di fronte a una politica senza idee e senza risposte ecco che torna fatalmente il tecnico”. Mario Draghi. Santoro lo ha scritto anche in un pamphlet da poco uscito il libreria per l’editore Marsilio: si intitola “Non nel mio nome”. Uno schiaffone alla politica che abdica e si affida alla tecnica. “Alla fine l’eterno ritorno della figura tecnica è come un bolero. Prima cresce, poi cala, poi riprende... Un bolero che ricomincia, sì, ma con sempre con meno partecipanti. Perché la gente non vota, si disaffeziona, pensa di non contare più nulla”. 

 

Santoro guarda a Draghi con perplessa gentilezza, per così dire. Il suo ritorno sarebbe un male? “A me Draghi sta simpatico. E anche se lui immagino non sappia che farsene della mia stima: lo stimo. Ma non credo sia lui la soluzione. Questa lunga stagione dei tecnici, da Mario Monti a Draghi, ha trasformato tutto in un’emergenza da affrontare con i metodi tipici dell’emergenza. E con quali risultati, mi chiedo? Le condizioni di vita sono migliorate o peggiorate in Italia? Ci sono meno poveri o più poveri rispetto a quindici anni fa nel nostro paese? La televisione è più libera o è più spenta e stupida?”. La seconda, immagino. “Sai qual è l’unico miracolo della figura tecnica?”. No. “E’ che tiene in piedi quella baracca che i politici non sanno mantenere. Una baracca sempre più pericolante, che rischia di crollare addosso alle persone che stanno sotto. Io penso che nella società si stia formando una specie di ‘zona passiva’, composta da gente che non partecipa alla vita pubblica e che potrebbe esplodere in una rivolta. E invocare qualsiasi cosa. Qualsiasi genere di soluzione. E’ questo che mi preoccupa”.

 

Ma non credi di esagerare? “Lo spero, ma non lo credo. La democrazia ha bisogno della politica. Se tra un mese accade quello che penso io, chi vuoi che si metta a parlare di riforme istituzionali e di semi presidenzialismo alla francese a novembre, con i forni che non fanno più il pane e le bollette che non si possono pagare? Se poi noi pensiamo che l’Ucraina tra qualche settimana riconquista la Crimea, mette in fuga i russi e tutto torna tranquillo... Va bene, daremo una mano alla ricostruzione in Ucraina e ci ritroveremo in un altro scenario. Ma non mi pare questo il caso. E ci dobbiamo preoccupare. Sul serio. Altro che Meloni che fa il presidenzialismo. Non è mica lei il rischio democratico. L’unico rischio di Meloni è la farsa che tiene in piedi con Salvini e Letta”. Salvini che parla di pace, come Santoro

 

Non ti impressiona dire le stesse cose che dice all’incirca anche il segretario della Lega? “Salvini dice ‘pace’, ma la donna che sta per diventare presidente del Consiglio con lui dice ‘guerra’. E’ una farsa, lo ripeto: il segno di questa frammentazione della politica che ha perso la bussola. Parliamoci chiaro: per me siamo in una repubblica di Weimar strisciante”. Addirittura. E per chi voti il 25 settembre? “Io sono pienamente dentro quella metà della società italiana che non si sente rappresentata. Magari all’ultimo momento troverò una ragione per mettere un segno da una parte e dall’altra, ma anche non votare è una scelta politica”.

 

Non voti nemmeno Giuseppe Conte? Gli tendevi una mano settimane fa. Avresti voluto aiutarlo a rifondare la sinistra in Italia. “Vediamo che tipo di strada vorrà intraprendere dopo le elezioni: quella dell’autosufficienza, della chiusura in un mondo autoreferenziale, o quella che porta alla nascita di qualcosa di completamente nuovo”. Con o senza Beppe Grillo?  “Se Conte non si misura con la politica dovrà prima o poi fare i conti con Grillo, che per il momento si è chiuso nell’armadio. Lo dico con affetto, Grillo ha fatto cose importanti. Ma il Movimento 5 stelle adesso deve andare oltre il suo padre padrone”. Questa espressione riferita a Grillo, “padre padrone”, dopo di te l’ha usata anche Alessandro Di Battista. Voi vi parlate. “Non siamo collegati, se è questo che vuoi suggerire. Qualche telefonata, sì, certo. Ogni tanto. Lo guardo in televisione quando lo invitano. E immagino che lui legga qualcosa di quello che dico io”. A proposito: che ne pensi della candidatura nel M5s di Roberto Scarpinato, il magistrato della famosa trattativa stato-mafia? “Penso che il M5s abbia fatto una scelta duplice in questa fase, investire nella popolarità di Conte e tornare ‘ai fondamentali’, per così dire.

 

E tra i fondamentali c’è anche questo culto per la magistratura. Che però è completamente fuori tempo”. Ovvero? “La magistratura più che esaltata, oggi andrebbe messa in discussione. Da sinistra, non alla maniera di Berlusconi. Credo che nel futuro bisognerà ripensare anche il rapporto che c’è stato tra politica e giustizia più in generale. Oggi con il tramonto del Cavaliere si può discutere con tranquillità di quello che succede nei nostri tribunali, nelle correnti delle toghe e al Csm. Dobbiamo porci il problema di una giustizia che non è più percepita come elemento di equilibrio, imparziale e rassicurante. La sinistra dovrebbe anche riscoprire il garantismo che le apparteneva un tempo, prima che Berlusconi lo inquinasse”.

 

Nel suo libro Santoro è ferocissimo con la televisione. Con la Rai. Lo specchio d’Italia. “La tv è occupata dalla politica, e la politica non ha idee. Quindi di conseguenza anche la tv non ha idee. Sai come funziona?”. Più o meno, ma dillo tu. “Le società di produzione private vendono alla Rai i format, molto spesso comprati all’estero, facendo attenzione a non fare scelte che possano creare scandali e quindi problemi a chi acquista; i dirigenti del servizio pubblico scelti dai partiti. I quali non hanno nessuna visione del mondo da affermare, se non l’obbedienza a leader che a loro volta non avendo idee da valorizzare si riducono a suggerire qualche parente, famigliare, amante, simpatizzante o fan dell’ultima ora”.

 

Mediocrità chiama mediocrità. “La mediocrità dei manager ha bisogno di una mediocrità televisiva che sia al di sotto della mediocrità della politica. In pratica siccome il manovratore è ignorante si fanno programmi più ignoranti del manovratore”. Ma non c’è scampo, Michele Santoro. Sei diventato un pessimista cosmico? “Non credo. Sono angosciato, questo sì”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.