Viale Mazzini

La Rai della Meloni passa dalla riforma della governance e dall'uscita di Fuortes

Carmelo Caruso

Per la leader di Fratelli d'Italia la Rai va "messa in sicurezza". Dietro alla lettera del Cda contro Fuortes i segnali per logorarlo e spingerlo all'uscita. Ci lavora anche il Pd

Ha un’idea chiara della Rai. E’ la sua. Per Giorgia Meloni serve una legge di riforma della governance per “allungare l’orizzonte temporale di chi  guida l’azienda”. Ma la Rai va anche messa “in sicurezza, rasserenata, tutelata”. E’ l’industria che “regge l’intero sistema audiovisivo italiano”. Nell’eventualità di una vittoria di centrodestra, dopo la notizia data dal Foglio, la lettera del cda contro i vertici Rai, l’uscita dell’ad, Carlo Fuortes, sembra l’inevitabile. Serve a sanare un grave strappo istituzionale che si è consumato in precedenza. FdI si troverebbe infatti un ad Rai di centrosinistra e un cda senza rappresentanti. Un inedito. La novità: a certe condizioni sarebbe il Pd a favorire le dimissioni di Fuortes.

Non può essere il primo dossier del prossimo governo, ma rischia di diventarlo. Innanzitutto occorre partire dalla lettera dei membri del cda ai vertici Rai. Dopo che il Foglio, ieri, ha diffuso la notizia dell’esistenza di questo documento, il presidente della commissione di Vigilanza, Alberto Barachini, ha chiesto ufficialmente di “conoscere i contenuti” e “le decisioni che intende intraprendere la governance Rai” in seguito alla nota dell’Agcom. E’ la nota che ha bocciato il duello a due Meloni-Letta. In pratica, la commissione di Vigilanza, vuole sapere come l’ad pensa di muoversi dopo il danno d’immagine causato.

 

La Rai, al contrario di quanto si crede, non è solo un tema editoriale e culturale. Lo ripetiamo senza tregua. E’ un tema industriale, economico, e preoccupa la leader di FdI. Se incaricata premier dal presidente Sergio Mattarella, si ritroverà un’azienda, con oltre diecimila dipendenti, che, primo, non è più sicura delle sue entrate pubbliche: il canone non sarà più in bolletta. Senza il canone la stessa sopravvivenza dell’azienda è messa in discussione. Secondo, la vendita delle quote di Rai Way, operazione portata avanti dal governo Draghi per garantire stabilità alla Rai, al momento non è altro che un’operazione oscura perfino ai membri del cda. La Rai è in ferie. Non è un modo di dire.

 

La lettera del cda indirizzata a Fuortes e alla presidente, Marinella Soldi, nasce dal “silenzio” dei vertici. E’ un silenzio che ai cinque consiglieri (riportiamo i nomi: Alessandro di Majo, Simona Agnes, Francesca Bria, Igor De Biasio, Riccardo Laganà) sembra “strategico”. Da mesi si parla di Rai Meloni. Con questa espressione si indica l’occhieggiare interessato. Uomini vicini storicamente alla destra avanzano, vecchi protagonisti di sinistra indietreggiano. Lo stesso Fuortes starebbe agevolando questo  avvicendamento che anticipa il nuovo corso. La ragione è banale. Sarebbe lo scivolo per la sua uscita, l’Exit Fuortes, che è anche il desiderio del Pd. Fuortes è un uomo di centrosinistra. Il partito di Enrico Letta è adesso consapevole che aver escluso FdI, dal cda, è pericolosissimo anche dal punto di vista costituzionale.

 

La Rai per essere definita televisione pubblica (ed esiste una giurisprudenza, perfino una sentenza della Consulta che risale al 1987) deve essere democratica nei suoi vertici, rappresentare tutti. E’ evidente che la furia del centrodestra (Lega e Fi) con la condiscendenza del Pd, che ha lasciato escludere Giampaolo Rossi, la figura indicata dalla Meloni nel cda, oggi si ritorce contro. Si parla per Fuortes, e con insistenza, di una sua nomina alla guida di un teatro o  di un ente culturale.

 

L’ultimo cielo del Pd, quello dove risiede Dario Franceschini, se ne starebbe occupando. Nelle ultime ore sarebbe perfino circolata l’ipotesi di offrirgli la guida di Enit. Sembra, a tutti gli effetti una fantasia che va tuttavia registrata perché testimonia un moto. La presidenza di Enit è vacante da giugno, ma la nomina dipende dal ministro (leghista) del Turismo, Massimo Garavaglia. Il compenso per quella carica è di 70 mila euro, ed è lontanissimo da quello percepito da Fuortes in Rai. C’è chi legge nella lettera del cda una sorta di “spinta gentile”, un lavoro (iniziato) di logoramento nei suoi confronti.

 

Per FdI il cambio dei vertici Rai o avviene subito o impossibile dopo. Il cambio passa dalle dimissioni spontanee di Fuortes che devono arrivare prima della fine dell’anno. Se non accade sarà lui a traghettare l’azienda fino a giugno e approvare il bilancio. Entrerebbe nel suo secondo anno (il mandato ne prevede tre). Nessun nuovo manager accetterebbe, per un anno, di guidare la Rai. Potrebbe accettare solo un uomo interno alla Rai ma la Rai, che è un’emergenza, ed è questa l’idea di FdI, non si  può  gestire con un “amministratore delegato che non è in linea con l’esecutivo”. Il vero “contrappasso” è un altro. FdI potrebbe trovarsi nella condizione del vincitore e dunque lasciare la Rai al suo destino, permettersi di non intervenire. Ma può anche accadere l’impensabile: l’ultimo fortino culturale della sinistra chiedere alla destra di salvarlo.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio