Palazzo Chigi

Draghi e limone. Il premier contro l'afa della campagna elettorale. Il 24 va a Rimini, da Cl

Carmelo Caruso

Adesso che comincia la campagna elettorale è più presente di prima. Anche la Meloni guarda al suo metodo. La "credibilità" del suo governo è già rimpianta

E però, come è credibile lui…”. Scommetteteci, sarà il disco di fine estate. E lo canticchiano già gli elettori vedendo gli sputacchi twitter di sinistra (Calenda-Franceschini) o i colpi di sole della destra: “Il Viminale? A noi! E per i migranti, blocco navale!”. C’era sicuramente il senso vasto nelle parole di Mario Draghi, nella sua ultima conferenza stampa, in quel “finora l’Italia ha avuto credibilità internazionale”. Non consegnato  alla memoria ma in carica corrente (“il governo è pronto ad agire” ha dichiarato) l’attesa è per il suo prossimo intervento previsto il 24 agosto, a Rimini, al Meeting di Cl, un discorso che lo stesso Draghi vuole che sia “di sostanza”. Riempie dunque la cronaca da non candidato e l’agenda Draghi che, come dice Draghi, “è un metodo”, si “dissolve nell’aria” come il solido di Marx. La “D” di Draghi è l’elemento della tavola periodica elettorale, è l’H2o.  


Avendone la proprietà l’ha trasformata ancora.  Non è più “agenda” ma torna “metodo”, a dire la verità, ha detto Draghi, anche un metodo abbastanza semplice. Si tratta di rigore, significa aggredire le emergenze, non lasciare indietro i dossier. Ecco perché quello di Ita non sarà lasciato in carico al prossimo governo “ma lo affronteremo nei prossimi giorni”. Quando scherzando, e l’ha confessato in conferenza stampa, ha augurato ai suoi ministri che tutti i sogni della loro campagna elettorale si possano realizzare, i più acuti hanno isolato la parola “sogni”. Fateci caso, c’è un lessico che è speculare, doppio. I “sogni”, le “nuvole” che ci attendono e quel richiamo alla credibilità perché se si è credibili, spiegava, non si hanno vincoli esterni, vale a dire che si è sovrani. E’ il patriottismo che dovrebbe piacere a Giorgia Meloni che di Draghi già usa il metodo, lo slogan “essere pronti”.

 

Ogni volta che qualcuno provoca la  squadra di Draghi con: “Ci vediamo tra sei mesi?” tutta la sua squadra in coro intona: “Lo escludo!”. La portavoce Paola Ansuini, che abbiamo scoperto suona la chitarra con un magnifico Borsalino, ma lo abbiamo scoperto solo alla fine, dovrebbe essere accolta a Bankitalia, nel suo vecchio ufficio, con un mazzo di fiori. Ferdinando Giugliano, il responsabile dei rapporti con la stampa estera e non solo, si strapazza invece di coccole il suo figlio Carlo. Nicola Lillo, un altro Draghi boy, che ha spiegato ai cronisti di mezzo mondo i provvediementi Draghi, si avventurerà per mare aperto con i libri di Graham Greene. Francesco Giavazzi dovrebbe quanto meno avere il diritto di tribuna nel Pd per lottare contro il potere tassinaro. E si prendano, ancora, i veri vicepremier di Draghi. Il capo di gabinetto, Antonio Funiciello e il “soprasegretario”, Roberto Garofoli.

 

Al primo, se Pd non gli chiede “candidati con noi” è solo perché ha paura di ricevere un rifiuto. E pensare che Funiciello è stato anche un dirigente del Pd. L’altro dovrebbe essere invece lasciato al suo posto e non solo perché può ricordare a tutti i partiti: “Vi raccomando i decreti attuativi!”. Se c’è una possibilità di portare a termine il Pnrr (quelli che dicono è tutto falso, dimenticano che i soldi li abbiamo già incassati perché evidentemente era tutto vero) è sicuramente più facile con Garofoli.

 

Non è da Draghi suggerire nomi di governo alla Meloni, tanto meno Fabio Panetta, che siede nel board Bce (se lascia non è detto che al suo posto ci vada un altro italiano) ma è vero che, a Palazzo Chigi, sono lette con grande attenzione le ultime interviste del cofondatore di FdI, Guido Crosetto. Per alcuni sono perfino di “maturità politica”. Di certo, FdI è l’unico partito che non può essere indicato come responsabile della caduta del governo. E però, come faranno, i suoi alleati, in campagna elettorale, una campagna appunto di sputacchi, come faranno Lega e Forza Italia a raccontare che hanno lasciato cadere un governo credibile, a pochi mesi dalla fine del mandato, perché Giuseppe Conte l’aveva fatta grossa?

 

Perfino per la Lega è già difficile spiegarlo. Silvio Berlusconi, che è il più abile, svia e continua a dire che Draghi l’ha inventato lui, e forse è il caso, per dirla alla Andrea Orlando, che si dia una calmata con questa stupidaggine. Sarà insomma difficile cancellare per questi due partiti quanto hanno distrutto tanto più dopo Rimini dove Draghi si è sempre esaltato. L’anno scorso da quel palco aveva lanciato il concetto che ha poi fatto il giro d’Europa, il “debito buono”. Quest’anno si punta già sulla lectio credibilità. La campagna elettorale è come se la aprisse lui. E quando le urla cominceranno a salire, quando sarà tutto un parlare di falangi e armate rosse, Draghi sarà ancora “premier corrente”. Negli ultimi giorni, il 20 e 21, nel momento in cui sul serio gli italiani penseranno a chi votare, sarà a New York per l’assemblea Onu. Il 7 settembre, se tutto va bene, “se i partiti non fanno scherzi” ha avvisato Draghi, il Parlamento dovrebbe invece votare la delega fiscale. Ecco perché Draghi sarà il ghiaccio contro gli sbronzati elettorali: è il polo al posto del terzo polo. Cameriere: Draghi e limone.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio