Il retroscena
"Draghi bis". Si lavora all'appello trasversale dei governatori. Lega in fermento
Dopo i sindaci, i presidenti di regione potrebbero chiedere al premier di rimanere a Palazzo Chigi. Movimenti nel Carroccio. Ma Fratelli d'Italia si sfila. Marsilio: "Non aderiamo"
E' già accaduto per due storici bis: quelli di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. "Alla fine si finisce sempre al Colle", raccontava lo scorso gennaio in Transatlantico il veneto Luca Zaia.
E anche in queste ore si lavora, con enormi difficoltà, al medesimo schema: l'intervento trasversale dei governatori, dopo quello dei sindaci uscito oggi. Cambia però il citofono e dunque il contesto diventa ancora più ingarbugliato: la pressione dei presidenti dovrebbe essere indirizzata verso Palazzo Chigi e non nei confronti del Quirinale, come da precedenti. Per le rielezioni dei due capi dello stato - nel 2013 e nel 2022 - una delegazione di governatori salì al Colle per chiedere a entrambi i presidenti della Repubblica di accettare la richiesta di un secondo mandato. Il parallelo si ferma qui. Prima di loro si era presentati davanti a Napolitano i leader politici e al cospetto di Mattarella i capigruppo delle forze parlamentari.
Perché ora la faccenda è molto più ingarbugliata: ci sono di mezzo le divisioni interne ai partiti con i rispettivi calcoli elettorali, specie nel centrodestra che conta 14 presidenti contro i 5 del centrosinistra (più uno a guida autonomista).
E' però secondo quanto risulta a Il Foglio sono in corso contatti per provare a uscire con un appello pubblico bipartisan indirizzato a Draghi affinché ritiri le dimissioni e accetti di continuare a guidare il governo. La spinta viene dal Pd e tocca anche Giovanni Toti, per esempio.
Anche dentro Forza Italia c'è chi non è indifferente a questa strategia. Non resterebbe con le mani in mano - al netto delle smentite di rito - nemmeno Attilio Fontana, presidente della regione Lombardia in quota Lega, il quale è il terminale delle preoccupazioni degli imprenditori del suo territorio.
Il problema è proprio nel Carroccio. Al momento la linea di Matteo Salvini non prevede questa evenienza e una possibile fuga in avanti del fronte del Nord creerebbe sconquassi. D'altronde è proprio Massimiliano Fedriga, alla guida del Friuli Venezia Giulia, il presidente della conferenza stato-regioni: qualsiasi lettera-appello non potrebbe non riportare la sua firma. La strada che accompagna il governo fino al giorno della verità di mercoledì è ancora molto lunga, va detto. E i confronti sono in corso. Anche se da Fratelli d'Italia, che conta tre presidenti, arriva lo stop a questo progetto. Ma rientra nella linea di Meloni.
Dice Marco Marsilio, presidente della regione Abruzzo, al Foglio: "Avevo pronosticato (non era difficile) che dopo l’elezione del presidente della Repubblica sarebbe iniziata la campagna elettorale. In un governo di tutti - e quindi di nessuno - la corsa a radicalizzare le posizioni in vista del voto a fine legislatura, avrebbe creato instabilità e ingovernabilità. Per questo avevo sostenuto la necessità di porre fine alla legislatura e andare al voto entro giugno. Ora avremmo già un governo eletto con 5 anni di legislatura davanti. E magari con Draghi al Quirinale per 7 anni. Invece, si sono scambiati 7 anni al Quirinale e la stabilità di un governo legittimato dal voto popolare per 7 mesi di stipendio e il vitalizio assicurato. Non è mai troppo tardi per capirlo e per andare al voto subito". E infatti poi Marsilio, insieme ai presidenti delle Marche e Sicilia (Acquaroli e Musumeci, sempre di Fratelli d'Italia) ha pubblicato una nota in cui si ribadisce che non sottoscriveranno l'appello pro Draghi a cui stanno lavorando i governatori. "Non condividiamo questa iniziativa, lanciata da alcuni colleghi, sia nel merito che nel metodo. Nel merito: crediamo che in questo momento l'Italia possa permettersi tutto tranne che un governo immobile, paralizzato dai giochi di palazzo e dagli scontri tra i partiti di maggioranza. Nel metodo: un Presidente di Regione o un Sindaco rappresentano anche i cittadini che vogliono andare a votare e non possono permettersi di utilizzare le Istituzioni che rappresentano per finalità politiche o, peggio, di partito. Sono forzature che chi ricopre un ruolo istituzionale non può permettersi, né tanto meno promuovere".
Lo scorso gennaio salirono al Colle da Mattarella anche i presidenti del partito di Giorgia Meloni, nonostante il no al bis di Mattarella espresso da FdI, ma era una partita politica comunque diversa diametralmente. In questo caso basterebbe la spinta dei governatori espressioni delle forze politiche di maggioranza: occhi puntati su Forza Italia e Lega, dunque.
L'editoriale del direttore