Viale Mazzini

Rai dem. Ecco la mappa del potere Pd nella tv di stato

Carmelo Caruso

Per Palazzo Chigi lo scontro Fuortes-Orfeo dimostra che i dirigenti del Pd "hanno un rapporto patologico con la Rai". L'irritazione per quello che sembra a tutti gli effetti la proiezione del congresso dem

Prendete le correnti del Pd, sovrapponetele all’organigramma Rai e avrete la catena di comando della tv di stato. Secondo il governo di Mario Draghi, dopo lo scontro tra l’ad Carlo Fuortes e Mario Orfeo, entrambi uomini vicini al Partito democratico, è palese che “esiste un rapporto patologico, malato, e di possesso, tra questo partito e la rete pubblica. E’ una malattia che solo Enrico Letta può guarire”. La direzione nazionale del Pd è composta da 124 componenti. La Rai stipendia invece 11.536 dipendenti. La stima dei funzionari del governo è che almeno il 60 per cento (6.921) siano del bacino Pd. I manager sono invece 67 e 10 le direzioni di genere. Si ritiene  che almeno 9  di quei direttori facciano riferimento al Pd e che si dividano in “veltroniani”, “bettiniani”, “riformisti”, “nazareniani, “orlandiani”, “franceschiniani”. Quanto sta accadendo in Rai viene definito nelle stanze di Chigi  “la proiezione del congresso Pd, un partito che sta misconoscendo Fuortes”. C’è dunque una televisione nella televisione. Si chiama Raidem e non è scalabile. Le reti Rai sono le Assicurazioni Generali del Pd.


Hanno preso atto che “la governance della Rai è una governance folle”, che non esiste al mondo un’azienda in cui il cda non “risponde all’azionista classico (il Mef) ma a un terzo (il Parlamento)”. Fosse per il governo di Mario Draghi la Rai andrebbe studiata come un caso di distopia. E’ una duplice malattia. Una è organica. L’altra è invece somatica e riguarda il Pd. Le telefonate del Pd, in seguito alla decisione di Fuortes di sollevare dall’incarico il direttore dell’Approfondimento, Orfeo, hanno irritato Draghi e dimostrato che c’è un partito che “crede di aver rilevato la Rai e di disporne”. Non è Enrico Letta che vuole disporne, ma ministri e dirigenti, capibastone, guru. Dario Franceschini, ad esempio, prima della nomina di Fuortes, si era rivolto a Palazzo Chigi chiedendo la nomina di Salvo Nastasi, segretario generale del Mibact. I riformisti del Pd avevano invece fatto il nome di Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema.

 

Quando ministri e dirigenti del Pd hanno chiamato Palazzo Chigi, per chiedere spiegazioni sul caso Orfeo, da Palazzo Chigi hanno ricordato che “l’ad è un uomo della vostra area”. Fuortes è infatti di area Pd ma di corrente “veltroniana”, una corrente che in questo momento è minoritaria nel partito. Si è perfino lasciatto fotografare al compleanno di Goffredo Bettin; una partecipazione che dal governo viene ritenuta, e questa sì, “uno degli errori più clamorosi di Fuortes”. La Rai, e il momento che sta attraversando, può dunque essere compreso solo se lo si racconta per quello che è: l’appendice del congresso Pd, un congresso che in questo momento stanno vincendo i franceschiniani/bettiniani.

 

La dirigente che ha scalato la segreteria Rai, quasi la “vicesegretaria” di Fuortes, si chiama Silvia Calandrelli, direttrice di Rai Cultura. E’ vicina alla corrente Franceschini. L’organizzazione del partito Raidem è appannaggio dei “bettiniani”. Ne fanno parte Giuseppe Pasciucco (nominato da Fuortes direttore della direzione staff) e Pierluigi Colantoni (direttore della direzione della Comunicazione). Sono due ruoli rilevantissimi e le nomine più discusse di Fuortes. Il potere passa da quelle stanze. Stefano Coletta, direttore del Prime time intrattenimento, è invece il “dem” trasversale: Bettini-Letta, liberal. I dirigenti di Raidem che “rispondono” al partito come idea, a prescindere dal segretario, sono Paola Sciommeri, direttore della  Produzione Tv (gestisce un budget dalla mole straordinaria) Elena Capparelli (dirige Rai Play e Digital) così come lo stesso Antonio Di Bella, che sta per prendere il posto di Orfeo, oltre che, la competente, Mariapia Ammirati, direttrice di Rai Fiction. Nell’elenco vanno aggiunti Andrea Vianello, direttore del Giornale Radio, Monica Maggioni, direttrice del Tg1, Luca Mazzà, direttore delle Relazioni istituzionali.

 

Un “gentiloniano” sarebbe invece Luca Milano che dirige Rai Kids. Esiste pure un caso di “strano ma vero”. Sarebbe quello di Fabrizio Zappi, un professionista vicino all’area di Romano Prodi che adesso è fuoriuscito dal partito. E’ oggi un riferimento della Lega. Per uno che hanno perduto c’è un “condirettore” (bettiniano) che è stato infiltrato nel Tgr di Alessandro  Casarin. Si tratta di Carlo Fontana.  Le ragioni del socialismo, che stanno a cuore ad Andrea Orlando, sono difese da Francesca Bria, che siede nel Cda Rai. “Lettiano” è Gianrico Carofiglio che conduce il programma “Dilemmi” (Rai 3) e che fa anche parte delle “Agorà” del segretario. Per Bianca Berlinguer basta  il cognome. Al governo ora dicono così: “La Rai non è più una missione di Draghi ma è la nuova missione di Letta. Pacifichi la succursale del suo partito. Convochi le primarie”.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio