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Il lato oscuro del 25 aprile

Giuliano Ferrara

Da Pietro Secchia all’Anpi equidistante tra resistenti e invasori. L’ideologia resistenziale che ha sequestrato i grandi sogni di repubblicanesimo moderno

Nella biografia di Palmiro Togliatti scritta da Giorgio Bocca, il successore del capo comunista, il partigiano Luigi Longo, disse all’autore una cosa inaudita: “Penso che Togliatti abbia capito la Resistenza solo quando fucilammo Mussolini a Dongo”. Diffidare della Resistenza è un vecchio vizio o una vecchia virtù che un costruttore della Repubblica e dell’Italia moderna non abbandonò mai, per quanto scandalosa potesse suonare l’idea. Togliatti ebbe le sue ragioni. Il 25 aprile è un fiore di intelligenza, di coraggio e di abnegazione per tutti gli italiani liberi, di quella e delle generazioni successive. Ma se oggi si assiste a un clamoroso abuso di memoria, come quello degli equidistanti tra resistenti e invasori che sono alla testa della celebrazione imminente, una ragione storica dev’esserci, e quel vecchio giudizio di Longo sulle incomprensioni di Togliatti la illustra bene. Un impeccabile Mattarella è tornato sull’abuso parlando di “una data fondativa della nostra democrazia, un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace, che sembra dimenticata da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone”.

       

Morto nel 1964, il capo del Pci fronteggiò lo spirito in ombra della Resistenza da subito, da quando sbarcato in Italia predicò a Salerno la necessità di rinviare la questione istituzionale, monarchia o Repubblica, per unire tutte le forze nell’offensiva contro il nazismo invasore a fianco degli alleati angloamericani. Con lo scudo di Stalin e dell’Unione Sovietica, Togliatti l’ebbe vinta nella componente maggiore dell’esercito di Liberazione, ma dalle file della Resistenza furono forti e malignamente impolitiche le opposizioni, gli equivoci, le obiezioni di varia natura che univano settori del combattentismo comunista con quello azionista. Capire che bisognava combattere anche per e con Badoglio era un revulsivo per molti coraggiosi dalla mente politica fragile e dal cuore ardente. Poi fu la volta delle polemiche contro l’amnistia, varata da Togliatti in persona come ministro Guardasigilli, un gesto di riconciliazione nazionale ambiguo, come ogni riconciliazione, ma efficace allo scopo di perseguire una via italiana alla democrazia e al socialismo nel quadro della Costituzione, come dicevano allora i giovani quadri usciti dalla Resistenza con mentalità politica e disciplina ideologica.

 

I vecchi quadri come Pietro Secchia e molti altri si attardarono in uno schema non limpido, capace di generare l’equivoco sulla Resistenza tradita, sulla grande occasione mancata, e un filone storiografico e culturale ricco di intolleranza, di unidimensionalità, di settarismo politico. Secchia a parte, isolato e estromesso dalle sue responsabilità con la collaborazione di Longo e dei centristi resistenziali, la scia dell’equivoco è continuata nel tempo, fino a G. B. Lazagna e alla sua compromissione con le Brigate Rosse, fino a Giangiacomo Feltrinelli e alle sue avventure “secchiane” neoresistenziali, fino all’orrida stagione dell’antifascismo militante, aggressiva e violenta manifestazione di illibertà. E si potrebbe proseguire.

       

C’è un lato in ombra, storico e politico, del 25 aprile, che si è poi manifestato in tanti altri modi, tra questi l’emarginazione tentata dei combattenti ebraici dalle celebrazioni in odio al sionismo, l’intolleranza verso le forze diverse che contribuirono a liberare l’Italia, la damnatio memoriae che colpì un eroe della Liberazione come Edgardo Sogno. Si può dire che il 25 aprile, con il sangue dei vincitori che nessun sangue dei vinti alla Giampaolo Pansa ultima maniera potrà mai cancellare, fu dato avvio al meglio della nostra storia; e che di lì in avanti nella parte oscura della nostra storia si sono ritrovate le tracce chiarissime di un’ideologia resistenziale che aveva sequestrato sogni e progetti grandiosi di repubblicanesimo moderno nelle chimere e negli incubi di un disegno retrivo e revanscista. Ora è la volta di un apparatcik tra i mediocri del vecchio Pci, poi mediocre agente di Rifondazione comunista, poi portavoce rauco e tonante delle posizioni del Cremlino di Putin, che impadronitosi della sigla dell’Anpi rinverdisce per così dire le ombre di un’ideologia combattentistica estranea ai veri liberatori d’Italia con la pratica oscena, sotto il segno del pacifismo dei carri armati, dell’equidistanza tra resistenti e invasori in Ucraina. Triste, ma è così.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.