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O la va o la sfascia

Salvini tenta lo strappo. Tutto tranne Draghi

Valerio Valentini

“Dove ci porta Matteo? Boh”, dice il leghista Centinaio. Alleati spiazzati (e  profili). Renzi: “Non è X-Factor”. Negoziare o forzare?

Dove voglia andare, nessuno lo capisce. “Neppure noi, non gli stiamo più dietro e non sappiamo dove voglia portarci”, confessa Gian Marco Centinaio, che pure sarebbe un suo fedelissimo. Pure gli alleati alzano le mani. Giovedì mattina, al vertice di centrodestra, Matteo Salvini si è presentato dicendo che “il nome in testa ce l’ho, ma non ve lo dico perché devo fare verifiche”. E siccome già la sera prima li aveva mandati in bianco (“Dovevo sentirmi con Letta, ma non mi ha risposto: aggiorniamoci  domani”), Giorgia Meloni è sbottata: “Ma allora che ci stiamo a fare?”. Perfino Matteo Renzi, che pure finora se lo è coccolato, coi suoi sbotta: “E’ incomprensibile”. 
Lui si agita, fa cose, vede gente. “Ma la sensazione è quella della mosca nel bicchiere”, sbuffa sconsolato il forzista Andrea Cangini. “Un mese fa a Salvini avevo suggerito un profilo alla Cassese”, ha raccontato Renzi ai suoi parlamentari. “E lui mi ha chiesto chi fosse, Cassese. Al che gli ho suggerito alcuni libri del professore, gli ho inviato i discorsi che ha fatto alla Leopolda e ad Atreju”. Ed ecco che due giorni fa, poco dopo pranzo, Salvini prende e va dal giurista. Due ore  di colloquio, il cui scopo, il giudice della Consulta, lo ha capito forse solo giovedì, quando è andata prendendo consistenza l’indiscrezione per cui il suo nome fosse uno di quelli inseriti nella nuova terna da offrire al vaglio degli alleati. Ma se Cassese significherebbe mettere due dita negli occhi a Giuseppe Conte ammiccando a Renzi, l’altro profilo indicato è quel Franco Frattini che invece è una provocazione verso il leader di Iv – che già lunedì lo aveva incenerito, in accordo con Letta – e un rinnovare l’asse col capo grillino. “Quel canale è ancora attivissimo”, mugugna il dem Antonio Misiani.

 

“E del resto anche Elisabetta Belloni è una candidatura che nasce lungo la direttrice Conte-Salvini”, ragiona, preoccupato, il ministro Andrea Orlando. E infatti a metà mattina tra i dem si ritrovano con un’agenzia che esprime apprezzamento per l’attuale capo del Dis a nome di “fonti Pd”. Solo che a dettarla non è stato il Nazareno, ma, si scoprirà poi, Rocco Casalino. Alla fine non sarebbe la Belloni, il nome inserito nella rosa salviniana, ma quel Giampiero Massolo che a capo dei servizi c’è stato nel 2012, e ora presiede Fincantieri, il colosso il cui ad, Giuseppe Bono, è assai ascoltato dal leader leghista. O forse c’è Marcello Pera? Alle nove e mezza di sera, nessuno può dirlo con certezza.
Vuole andarsi a contare, pare evidente. Ma a modo suo. Ignazio La Russa, che per conto della Meloni lavora ai fianchi la tenuta di Salvini, voleva spingerlo a misurarsi su Elisabetta Casellati. L’ha incoraggiata fino all’ultimo: “Hai visto che con  Crosetto abbiamo raccolto 51 voti extra? Lo stesso avverrebbe con te”. Ma il calcolo della presidente del Senato era fallato dalla sua eccessiva confidenza nella tenuta del centrodestra: “Metto nel conto un 10 per cento di franchi tiratori”, diceva. Al che i centristi hanno spiegato a Salvini che il rischio era assai maggiore, e lui ha preferito attendere un giorno. “Se avessimo avuto i nomi per eleggere uno di centrodestra, lo avremmo fatto oggi”, ragiona il saggio forzista Renato Schifani. “Se non lo abbiamo fatto, è perché non abbiamo i numeri. Matteo deve capire che quando non puoi forzare, devi negoziare. Allora perché bruciarsi i ponti verso Casini?”. E’ in questa confusione che lo scrutinio – a cui il centrodestra decide di non partecipare – vede  crescere dei consensi su  Mattarella.  Ma per Salvini quelle 166 schede per l’attuale capo dello stato sono un segnale allarmante. Sa che anche Maria Stella Gelmini, anche Mara Carfagna, spiegano ai propri parlamentari che, piuttosto che assecondare le indecifrabili mosse del leghista, conviene convergere su Mattarella. “Ma chi l’ha detto che dobbiamo dare a Salvini la delega in bianco per mandarci a sbattere?”. 

 

Anche per questo Salvini decide che è il momento  dell’all-in.  Giorgetti spera che in fondo tutto questo trafficare serva a giustificare l’unica via d’uscita possibile: “Andare su Draghi”. Ma Centinaio, ai colleghi di Iv, dice che non è così: “Giorni fa ci ha riunito e ci ha chiesto cosa ne pensassimo di mandare il premier al Colle. Noi gli abbiamo detto di no, e lui si è irrigidito”. Infatti Edoardo Rixi e Andrea Crippa,  colonnelli fidati, vanno in giro tra i grillini a fare terrorismo psicologico: “Con Draghi al Colle  si va a votare”. Massimiliano Romeo il tatticismo esasperato del capo, davanti ai capigruppo degli altri partiti, lo giustifica dicendo che “Matteo ha paura della Meloni, bisogna dargli tempo”. E questo tempo potrebbe riempirlo provando a misurarsi su uno dei nomi vagliati in queste ore. O su altri. E’ l’azzardo estremo: se l’urna gli darà ragione, dimostrerà di averci visto più lungo di tutti. Sennò, meglio non pensarci

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.