il retroscena

Letta scalpita, ma Renzi lo avverte: "Per Draghi al Colle manca un accordo politico"

C'è un filo diretta tra il segretario del Pd e lo zio Gianni per capire gli umori di Arcore

Valerio Valentini

I due vecchi nemici si vedono, parlano di Amato e della Severino. Il leader dem ha fretta di definire un'intesa sul premier, e sente anche Salvini: "Se Lega e Pd chiudono su Draghi, Conte e Berlusconi non potranno opporsi". I timori per la virata a destra del M5s, l'attivismo di Franceschini che spinge i grillini a non cedere all'ex banchiere 

Ha fretta perché nel prolungarsi dell’incertezza vede crescere le insidie. Ma poi Enrico Letta s’arrende all’evidenza di un paradosso che anche Graziano Delrio, il quale pure per la causa si spende come pochi, gli segnala: ché sì, i favori per  Draghi crescono, ma che è proprio Palazzo Chigi che sembra non fare ciò che si deve per agevolare l’operazione per cui mezzo Pd si è attivato. Obiezione che il segretario dem si sente fare pure da Matteo Renzi. I due si vedono di buon mattino, negli uffici del senatore di Scandicci. E analizzano nomi e scenari. Quello di Giuliano Amato, tra gli altri, evocato da Letta come si fa con le cose che possono risolvere un rebus: “Un profilo  autorevole, che può raccogliere voti trasversalmente”. Ben più di un’ipotesi, nella mente del segretario del Pd. Renzi prospetta anche nomi che troverebbero più facilmente il favore del centrodestra: e oltre ai soliti noti, l’attenzione si sofferma su quella Paola Severino di cui anche Matteo Salvini ha parlato con Giuseppe Conte. Perché in fondo, Renzi ne è convinto, con l’incognita del Cav. che gravita sui pensieri di tutti, il leader della Lega potrebbe accettare di evitare l’azzardo della conta su Pera o la Moratti, e chiudere un accordo più agevole su personalità meno polarizzate. Eccola qui, l’aura di Pier Ferdinando Casini

Ma  la strada che con più convinzione Letta batte è quella che conduce Draghi al Quirinale. E’ qui che sta la fretta del segretario. Perché i corridoi di Palazzo Giustiniani, dove i due migliori nemici si vedono a colazione, risuonano ancora dei pettegolezzi intorno al rendez-vous notturno tra Luigi Di Maio ed Elisabetta Casellati. “Un fatto preoccupante”, per Letta, perché denuncia, insieme alla farsesca vicenda di Riccardo Fraccaro che millanta a Salvini voti grillini per Tremonti, una tentazione mai  sopita, nel M5s: quella di una strambata a destra nel segreto dell’urna. Per questo Letta prova a forzare i tempi. Per questo, tramite la diplomazia famigliare con lo zio Gianni, prova a indicare una via d’uscita che sia indolore per tutti. “Stiamo provando a convincerlo su Draghi, ma il Cav. resiste”, fanno sapere da Arcore. E allora il segretario del Pd, quando in mattinata sente Salvini, rinnovando contatti attivati dalla vigilia di Capodanno, lo fa col tono di chi addita un accordo buono per entrambi: se Pd e Lega stringono il cordone intorno al premier, davvero Berlusconi o Conte avranno l’ardire di tagliarlo?

Il resto, Letta lo fa con davanti la mappa del Parlamento. Incontra per tutta la giornata i responsabili delle varie componenti, da Bonelli dei Verdi a Maraia del Psi, e poi ancora le minoranze linguistiche. C’è perfino, tra i suoi consiglieri, chi gli suggerisce di tentare l’azzardo supremo, di proporre Draghi al primo scrutinio. Perché, nella concitazione della vigilia, il fatto che Renzi prenoti una stanza al Senato per una conferenza con degli studenti “sulle modalità di elezione del presidente della Repubblica”, per la mattina di lunedì, diventa motivo d’angoscia. “Vuole intestarsi qualcosa?”. Non sembra, in effetti, se Letta e Renzi si rivedranno domenica per concordare una tattica comune  per le prime tre votazioni.

E non che il leader di Iv disdegni l’ipotesi Draghi: è che la subordina, con fermezza, alla stesura di un patto di legislatura definito. “Draghi c’è solo se c’è un accordo politico sul dopo. Se Mario va è per scelta politica, non per rinuncia della politica”, dice Renzi. Per il quale anzitutto bisogna capire chi sarà il nuovo premier. E invece per lo più, per trasversale – e unanimemente risentita – constatazione di tutti i partiti, l’idea è che da Palazzo Chigi per ora arrivino più preclusioni che soluzioni: tipo l’idea che se non sarà Draghi, a salire al Colle, sarà comunque al vaglio di Draghi che bisognerà sottoporre il nome individuato, “per evitare che ci molli”, come ripete Giancarlo Giorgetti.

Ci sta insomma che il premier scommetta sull’inconcludenza della politica, sull’impossibilità di risolvere lo stallo se non ricorrendo a un’ipotesi che vede o lui stesso o il solo Sergio Mattarella come uniche alternative. Ma in quel caso, anziché andare al Colle con l’aiuto dei partiti, accetterebbe il rischio connesso al volerci andare nonostante i partiti. Che è una strada su cui nessuno, né Renzi né Delrio, dà garanzie a Letta. E forse è per questo che ancora ieri i parlamentari del M5s si vedevano intercettati a Montecitorio dagli ambasciatori di quel Dario Franceschini che della tesi della “supremazia della politica” si fa massimo sostenitore: “Se è così, su Draghi non dobbiamo cedere”. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.