Il personaggio

Giuseppe Carboni, il milite noto del grillismo in Rai: dalla guida del Tg1 alle Teche

Saltato per fare il posto a Monica Maggioni, non è stato ricollocato da nessuna parte. Adesso ha un ufficio nella sede dell'archivio

Simone Canettieri

E' stato il direttore del telegiornale più importante del servizio pubblico durante l'epoca contiana con numeri importanti. Ora è finito intrappolato nella crisi di relazioni del Movimento. 

E’ finito sotto teca. Parcheggiato in un sovietico ufficio in via Col di Lana dov’è custodito lo sterminato archivio Rai, autobiografia della nazione. Tra gli scaffali, alla lettera “c” c’è lui. Prima di Carrà Raffaella. Carboni Giuseppe, romano della Balduina di anni sessanta, direttore uscente del Tg1. Nel 2018 fu “il signor Nessuno” – nonostante una carriera da marciapiede al Tg2 culminata come caporedattore – catapultato dal M5s alla guida del telegiornale ammiraglia. Chi? Lui? Sì! Puff. Erano gli anni della grande abbuffata grillina a viale Mazzini. Obbligatorio avere il numero di Rocco Casalino o di Vincenzo Spadafora per sperare e puntare a un posto al sole. Pellegrinaggi di mezzi busti a Palazzo Chigi.

Tuttavia alla fine Giuseppe Carboni ebbe la meglio, a sorpresa, sulla concorrenza di Alberto Matano, Franco Di Mare e Giuseppina Paterniti. Fu il direttore che non ti aspetti, miracolo (o miracolato) del Movimento al 33 per cento. Mezzo marziano, mezzo cossuttiano (simpatie giovanili, dicono). Ma poi subito benvoluto dalla redazione e soprattutto premiato dagli ascolti, i numeri, il biglietto da visita. Prima, dopo e durante la fase più acuta della pandemia. Molto alla mano, raccontano che prima di fare bagaglio fosse solito dire: “Mi vogliono così bene i miei  redattori che chi fra di loro è diventato padre ha chiamato il figlio Giuseppe”. Voci di corridoio e mitomanie, la solita zuppa in cui sono intrise tutte le redazioni.  
Lo scorso novembre però è saltato, sostituito da Monica Maggioni. 

Carboni è stato “l’uomo barricata” del M5s nella trattativa con l’ad Carlo Fuortes e Palazzo Chigi. Ma si è trovato in mezzo alle guerricciole grilline (“con due partiti che trattavano per conto del M5s”, raccontano dal governo). E alla fine eccolo qua. La caduta del milite diventato noto, sempre in attesa di un audace colpo dei pentastellati. E invece... E invece “m’hanno rimasto solo ‘sti quattro cornuti”.  In questa storia c’è la crisi dei grillini, il partito che “lancia ma non mantiene”. In grado di perdere, con il passare del tempo e della legislatura, addentellati un po’ ovunque. 


Carboni, come tutti i direttori Rai, ha sempre fatto vanto di autonomia dalla politica (il Pd chiamava il Tg1 “Giggi uno” vista l’occupazione militare di Di Maio). E lo dice anche in questi giorni dal suo ufficio stile Ddr, “Le vite degli altri”. Il ritornello che echeggia nei corridoi polverosi è il seguente: il governo dei migliori ha cacciato il migliore negli ascolti. E dunque: carbonicidio, carbonicidio. Ma il problema a questo punto è proprio nel partito che lo lanciò lassù. E che adesso si è pure autoesiliato dal servizio pubblico, così amato e maneggiato fino a qualche settimana fa.  


Negli ultimi giorni c’è stata un’altra tornata di nomine: il cda ha varato i direttori  di genere. Ma il nome dell’ex capo del Tg1 non è comparso fra quelli di Stefano Coletta, Antonio Di Bella, Silvia Calandrelli, Elena Capparelli, Francesco Di Pace... Le trattative questa volta per i grillini erano nelle mani di Alessandro Di Majo, membro del cda in quota M5s e dal cognome quasi uguale al famoso omonimo di Pomigliano d’Arco. Pure in questo giro all’ex direttore del Tg1 hanno detto di stare tranquillo, che insomma ci avrebbero pensato loro a rendergli giustizia. Ma è andata come è andata. 

Ora forse sembra, ma chissà, che Carboni possa andare a dirigere Radio 2, il suo primo amore, al posto di Paola Marchesini che dovrebbe ritornare a occuparsi di risorse umane e personale. Ma ci si può fidare di tali (o presunti) sponsor? Carboni ha consumato nel frattempo un po’ di ferie arretrate, si è messo leggere tutto ciò che aveva accatastato in questi tre anni di dirette e gestione dei Dpcm notturni di Giuseppe Conte. Si sente messo da parte e forse espulso da un sistema, che ha già iniziato a espellere il Movimento. Ma tace. Rifiuta qualsiasi intervista al motto: sono un’aziendalista. Sotto teca. Nel frattempo si può andare a cercarlo. Di persona. Scendere in Archivio. Si trova sotto la la lettera “c”. Milite noto del grillismo in Rai.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.