un discorso politico

Democrazia e giudici. Non solo Open, Renzi ha fatto un discorso tosto sulla giustizia

Ha detto il leader di Italia viva: “Chi decide che cos’è politica e che cosa non lo è? Nei paesi democratici lo decide il Parlamento. Dove lo decidono i magistrati non si definisce correttamente il sistema democratico: se è un giudice a decidere, la libertà democratica è a rischio”. Il vero nodo cruciale di un dibattito che in Italia si trascina da decenni, e che ha visto troppe volte soccombere la democrazia

Il recente mood vittimista dell’Anm che si sente offesa dai comportamenti di Luca Palamara, e che con lo stesso sentimento ha criticato Matteo Renzi, reo di aver pronunciato alla Leopolda “parole che gettano discredito (…) sull’intero ordine giudiziario”, ha qualcosa di difficilmente credibile. Se solo si ha memoria delle parole dure e accorate del presidente della Repubblica, nonché del Csm, Sergio Mattarella, che ancora in una recente lettera al presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha ribadito: “Occorre impegnarsi per assicurare la credibilità della magistratura che, per essere riconosciuta da tutti i cittadini, ha bisogno di un profondo processo riformatore e anche di una rigenerazione etica e culturale”. Avrebbe molto altro di cui offendersi, l’Anm: almeno con quella parte della magistratura divenuta – come ha detto il professor Sabino Cassese alla Leopolda – “una sorta di stato nello stato”. Le parole di Renzi hanno suscitato un po’ di fumo polemico, in verità il leader di Italia viva sabato ha fatto sul tema della giustizia un discorso politico. Duramente politico, come in Italia non se ne sentono spesso. 
Pur dedicandosi ampiamente, forse troppo, a tracciare la fenomenologia kafkiana dell’inchiesta Open – costruita  su 92 mila pagine, non tutte penalmente rilevanti, e che arriverà a conclusione, forse, nel 2027 – Renzi ha posto invece il problema cruciale, in un’epoca di antipolitica, di cosa sia un partito, cosa una fondazione, cosa una corrente di partito (a proposito delle correnti in magistratura: “I magistrati pensano che le correnti funzionino come in magistratura, dove poi al Csm assegnano gli incarichi. Se noi facessimo quello che fa il Csm prenderemmo gli avvisi di garanzia per traffico di influenze”, ha detto con l’ironia sferzante che lo fa tanto odiare).
Poi è andato al punto: “Il fatto di definire cosa è una fondazione o cosa è un partito è una scelta di natura politica, su cui non un giudice penale deve decidere, ma chi svolge un’attività politica”. Un nodo decisivo e volutamente mai risolto, e che una volta risolto sottrarrebbe, tra l’altro, quote di discrezionalità alla magistratura: “Chi decide che cos’è politica e che cosa non lo è? Nei paesi democratici lo decide il Parlamento. Dove lo decidono i magistrati non si definisce correttamente il sistema democratico: se è un giudice a decidere, la libertà democratica è a rischio”. E l’affondo: “Se mi chiedete cosa penso, bene io penso che investigatori e inquirenti abbiano violato la Costituzione”. Viene da pensare al discorso in Parlamento di Craxi del 1992 sul finanziamento dei partiti, ma il paragone non è solo eccessivo: è che in trent’anni la faccenda è ulteriormente degenerata, e non tanto sulla parte della “corruzione” dilagante che tanto  piace denunciare, a proposito e no. C’è oggi una differenza importante, che Renzi ha segnalato, ed è un peccato che non se ne sia notata la portata. Quando ha detto: “In questo processo le 92 mila carte parlano di reato di finanziamento illecito alla politica”, anche se poi si scopre che “quei denari non solo sono tutti tracciati, ma tutti bonificati”. Il vero aspetto cruciale è  perciò un altro: “Il tema del contendere non è il finanziamento illecito. Il tema è il finanziamento illecito alla politica. Questi denari tracciati sono andati a una fondazione. Ma secondo il pm faceva finta di essere una fondazione, ma era un partito”. Quindi non è più nemmeno tanto la natura dei finanziamenti – su cui, ai tempi, fu facile per la magistratura affondare la lama nel burro, poiché non esisteva (tuttora non esiste) una regolamentazione di cosa sia un “partito”. Qui addirittura per poter ipotizzare – perseguire – il reato, un reato che sta in capo alla politica, i magistrati hanno dovuto operare l’inferenza indebita per cui una fondazione “è” un partito, o quantomeno è una sua corrente. Se pensiamo questo, se accettiamo che sia un magistrato a stabilire cosa è partito politico e cosa no (del resto, non si è già voluto vietare a ex politici o amministratori di presiedere persino una ong o una bocciofila, casomai fossero addentellati partiti sotto mentite spoglie) la democrazia liberale è oggettivamente a rischio. Questo ha detto Renzi. Ma questo nessuno, ovviamente non l’Ann ma nemmeno l’informazione, che preferisce il gossip delle intercettazioni e il teatrino, ha voluto prendere in considerazione. “In questo scenario noi rivendichiamo il diritto della politica di organizzarsi come meglio crede”, ha invece rivendicato l’ex premier, nel luogo sacrale del suo “fare la politica” saltando gli schemi. Siccome Matteo Renzi è notoriamente un temperamento polemico che poco si tiene, non ha tralasciato di rinfocolare la polemica con Pier Luigi Bersani, che forse dal punto di vista mediatico avrebbe fatto meglio a lasciar evaporare. Però anche qui c’è un tema politico che non andrebbe eluso. I finanziamenti che, lecitamente, l’allora segretario Pd ricevette da imprenditori, rimandano al solito nervo scoperto della vecchia Ditta, spalleggiata dalla vecchia e nuova magistratura. E alla domanda del segretario del Psi cui nessuno  seppe e volle rispondere: si tratta di finanziamento illecito, o di finanziamento alla politica? O è illecito solo per qualcuno? E chi lo decide? Il discorso politico di Renzi non avrà risposta.